Da qualche giorno tiene banco la trattativa per il rinnovo dell’accordo collettivo tra la Lega calcio e i calciatori di Serie A. E’ una lotta senza esclusione di colpi, raccontata sul filo della demagogia. Una vicenda che dà fastidio perché arriva in un momento di crisi, con l’occupazione ai minimi termini e in un quadro generale di sfiducia. Ma la controparte dei calciatori (la Lega, cioè le società di calcio di serie A) non può certo scaricare sui tesserati, che siano campioni o meno, la responsabilità del dissesto economico del settore.
Troppe le aste selvagge, troppi gli scippi di giocatori e le proposte indecenti per accaparrarsi questo o quel fuoriclasse. Nella scorsa giornata di campionato il Milan ha perso seccamente contro una squadra (il Cesena) i cui stipendi, sommati, sono inferiori a quello guadagnato dal solo Ibrahimovic, il quale ha firmato il proprio contratto senza minacciare a mano armata la società, che, anzi, l’ha presentato tra folle di tifosi entusiasti.
Mettersi il cappello dell’indignazione e fare appello alla continenza, il giorno dopo, sembra poco credibile. In realtà sul tavolo ci sono due nodi principali e riguardano entrambi la sfera dei diritti, mentre non è in discussione la parte economica, con il sindacato dei calciatori che avrebbe accettato la richiesta di legare una parte consistente della retribuzione al rendimento del calciatore.
Il primo nodo è quello degli allenamenti: le squadre hanno troppi giocatori in rosa e vorrebbero far allenare a parte i calciatori che non rientrano nei piani dell’allenatore, il sindacato si oppone ferocemente e chiede parità di condizioni per tutti, in allenamento.
Sul secondo punto lo scontro è ancora più aspro: nell’ultimo anno di contratto le società vorrebbero poter trasferire un calciatore ad altra squadra, di pari visibilità e con pari condizioni economiche, anche senza il suo consenso.
Una richiesta che i calciatori respingono con forza e non a torto, perché configura una reintroduzione, seppur parziale, del vecchio vincolo che permetteva alle società di decidere della vita di un proprio tesserato.
Una vertenza con dei contenuti importanti, insomma, con le società che tentano di fare (parzialmente) marcia indietro sulla strada dello svincolo, conquista di civiltà sulla quale non si può derogare. Neanche se si racconta che si tratta solo di milionari che scioperano. Preoccupa, semmai, che a fare la voce grossa sui diritti sia solo il sindacato dei calciatori, in una fase in cui ci sarebbe bisogno di resistere con più forza.