Questo è il cammino.
Parigi è un po’ un’ Isola che non c’è. Forse, per quelli che ci arrivano dopo tutti quei chilometri, la Tour Eiffel vista da lontano sembra una specie di miraggio. Parigi è sempre stata l’isola bella dopo quel viaggio tormentato. Seconda stella a destra, questo è il cammino. Bisogna crederci a queste cose. Non basta un Peter Pan che ti porge la mano per sapere se si potrà volare davvero, se quel percorso attraverso le stelle ti porterà alla vera stella, al sogno autentico. Non basta. Soprattutto non basta nel ciclismo dove le illusioni non esistono, dove pedalare conta più di tutto e la sofferenza è il viatico per ogni traguardo.
Chissà se Vincenzo Nibali ha mai pensato a quell’ Isola che non c’è. Certo è che ha cominciato presto a cercare la strada per arrivarci. Ha lasciato la sua Messina per poter correre, per inseguire quel sogno strano che è la bicicletta. Strano perché non è figlio del “tutto e subito”: c’è un solo motore e sono le tue gambe, c’è un solo modo per andare avanti ed è fare fatica. Sacrifici. E ancora sacrifici. Tutto per quella strada che ancora non aveva così tanta gente ad aspettarlo. Ne è passato di tempo da allora. O forse no. Sono venute le prime vittorie e poi quelle più importanti. Sempre di più. La Tirreno, la Vuelta, il Giro. Una scalata silenziosa e umile come sé stesso. Forse è passato meno tempo di quanto crediamo. Perché Vincenzo sembra sempre lo stesso, anche sugli Champs Elysees, con la folla di mezzo mondo che lo applaude dalle transenne e l’altra metà che si commuove in televisione. Vincenzo è lo stesso quando, solo, magrissimo, sul palco con lo sfondo dell’Arco di Trionfo, legge un foglietto che tiene nelle mani tremanti. “Leggo perché nell’emozione potrei dimenticarmi di qualcosa” dice timidamente in italiano, al microfono. Sotto di lui sventolano le bandiere. Le nostre bandiere tricolori in silenzio. Tutta Parigi ascolta quel ragazzo che parla della squadra, anche di quelli che non ci sono, della sua famiglia. In quella voce c’è ancora Vincenzo ragazzino che spinge forte sui pedali verso i suoi primi trionfi. Quando si alza sulla bicicletta è sempre lui, lo stesso stile, lo stesso modo di attaccare. Forse un po’ più perfezionato ma suo. Anche nel ciclismo contano le radici. Quello che sei non lo puoi perdere mai. Perché la strada è dura, tenere gli occhi fissi su un sogno che vedi solo tu e pochi altri è difficile. Perdersi, vorrebbe dire lasciare andare tutto. Vincenzo non si è perso nemmeno sulle strade che non conosceva, quelle del pavè. Ha avuto gambe e testa di ferro. E ha usato l’anima quando serviva, gli ha lasciato le briglie per dimostrare a tutti che in questo sport non vincono le macchine. Ha preso le critiche e le ha trasformate in ali, per andare più forte, per dire che sulla bicicletta le parole servono a poco. Anzi, forse a niente. E’ tutta una questione di orecchie e di muscoli. Ascoltare e menare. Dentro e fuori. Quella maglia gialla presa fin dall’inizio gli ha dato grinta e serenità assieme, per affrontare le montagne e le parole taglienti delle conferenze stampa. Il ciclismo è una storia dura, che è bella e senza pietà assieme. Eppure Parigi è un piccolo angolo di paradiso che fa eccezione. L’Isola alla quale ha sempre guardato fin dall’inizio. Non sapeva se fosse vera, se aspettasse proprio lui. Ma queste cose non si sanno mai nella vita. Per guadagnare un traguardo bisogna almeno provare a raggiungerlo. Almeno provare ad andarci vicino.
Ora l’Isola che non c’è è così vera che sembra ancora un sogno. La gente, le luci, le bandiere italiane, l’Inno. Siamo tutti bambini sperduti nella commozione di quegli occhi lucidi, quello sguardo che è nelle televisioni di tutto il mondo. Parigi è tua, Vincenzo. Hai avuto coraggio, hai seguito una rotta che hai tracciato tu stesso. Meriti quest’isola luccicante attorniata da questo mare di folla. Meriti che tutti parlino di te, anche se forse si sono dimenticati che dietro questo trionfo c’è tutto quello che anche noi sopportiamo ogni giorno: umiliazioni, stanchezze, disillusioni. Le hai cancellate con il tuo sorriso un po’ timido, con la tua faccia marchiata dal fango nero del pavè, con la semplicità con cui davi i buffetti ai bambini che ti chiedevano l’autografo. E lo sappiamo che magari ti accorgerai davvero di quello che hai fatto quando tornerai nella tua Sicilia e riabbraccerai gli amici di sempre, i compaesani che sono fieri di te. E sentirai che il loro abbraccio è quello dell’Italia intera. A te e a tutti i ragazzi che sono arrivati lì, a Parigi, come una benedizione dopo la pioggia, il freddo, il caldo, le salite, le cadute.
Grazie Vincenzo per essere stato il nostro Peter Pan con le ali nelle gambe. Riconsidereremo i nostri sogni, prenderemo in mano quella cartina invisibile alla quale pochi hanno creduto fino ad ora. Seconda stella a destra. Questo è il nostro cammino. Dobbiamo crederci e non dobbiamo perdere noi stessi. L’isola che non c’è è più vicina di quanto crediamo.
PS: Ciao Marco. Sedici anni fa su quel podio c’eri tu. Da dove sei ora proteggi i nostri cuori che si sono innamorati senza riserve del ciclismo e che ieri hanno gioito come allora.