Uno di loro non mangia volontariamente da più di ventiquattr’ore. La Croce Verde lo trasferisce al Maria Vittoria. Gli altri restano sotto il Comune. Nessuno li degna di attenzione, nonostante abbiano trascorso la notte qui fuori. Alcuni -donne e bambini- la municipale li ha portati a dormire in albergo.
Sono gli immigrati sfrattati o in attesa dell’esecuzione dello sfratto, quindici famiglie in tutto che hanno scelto di protestare in questo modo. “Restiamo fino alla fine”, dicono. Restano perché si fidano, vogliono risposte dal sindaco, da lui in persona. Il sindaco che scappa vedendoli, dicono; il sindaco che uscendo da Palazzo di città si affretta verso la macchina e ignora i bambini che gli urlano “basta sfratti”. Quel sindaco al quale continuano a rivolgersi. A chi altro dovrebbero chiedere risposte, d’altronde? Da questa gente dobbiamo imparare la democrazia e il rispetto per le istituzioni.
Istituzioni che li hanno rassicurati: nessuno subirà sfratti, il Comune nel frattempo si impegnerà a studiare una soluzione. “Il loro studio ha portato a questo”, dicono indicando i cartoni su cui hanno dormito avvolti nelle coperte. Ne arrivano altri, una donna porta il tè.
Arriva anche Michele Curto, dal quale abbiamo ottenuto un appuntamento. Lo incontriamo nel suo ufficio.
“La politica della casa, uno dei vanti di Torino, è saltata” esordisce. A Torino vengono ordinati tremiladuecento sfratti l’anno, di cui milleduecento vengono effettivamente eseguiti. Degli sfrattati una minima parte -trecento persone- otterranno, forse, una nuova casa. Il Comune, replichiamo, dispone di diverse proprietà che non vengono messe a disposizione”. “Il Comune, ma anche enti pubblici e enti privati, posseggono un numero impressionante di metri quadri. Con l’apertura dei soli spazi pubblici l’emergenza rientrerebbe, molto probabilmente” risponde il consigliere di SEL. Gli spazi però non vengono messi a disposizione.
“Nonostante abbia più volte discusso con il sindaco di questa storia, Fassino non sembra rendersi conto della situazione”. Lo stesso sindaco che le persone fuori aspettano non vede, a quanto pare. La situazione è in effetti molto più complessa: c’è un ampio gioco delle parti, prese dal palleggiarsi le responsabilità a vicenda; i casi vengono trattati in modo forse troppo superificiale. “Servirebbe una maggiore discrezionalità, in molti casi”, sostiene Marco Grimaldi, altro consigliere di SEL membro della commissione emergenza abitativa; c’è poi la scarsa conoscenza, da parte degli sfrattati, dei rischi e delle trappole create dal sistema previdenziale e fiscale. Il Paese si dibatte tra mancanza di fondi e scarsa chiarezza nei confronti dei cittadini, in molti casi lasciati a se stessi.
Quando ribattiamo che il quadro è desolante, ma ci saranno delle risposte, i consiglieri rilanciano la loro linea politica. Come Comune bisognerebbe, nonostante la scarsità di fondi, “attuare un piano energico, che non escluda il ricorso allo stato di emergenza. Questo ‘costringerebbe’ i privati -i grandi privati, banche, istituti di credito- a mettere a disposizione gli appartamenti dei quali dispongono”, sostiene Curto. Il problema sarebbe, di fatto, risolvibile. Ma contro l’attuazione di nuovi piani si erge la già citata “cecità” del primo cittadino.
“Quella gente lì fuori però non se ne va da lì. Quali risposte possiamo dare a loro?” chiedo. I consiglieri ci guardano e stanno zitti per un attimo. “Non saprei cosa dir loro” risponde Grimaldi. Nell’ufficio smettiamo di parlare.
Torniamo in piazza. Gli sfrattati ci guardano e ci chiedono com’è andata. E noi dobbiamo rispondere che “non si intravedono possibili soluzioni, almeno sui tempi brevi”.
“Quindi buone notizie non ci sono?” chiede uno di loro. Rispondo di no. Mustafa forse se l’aspettava. “Allora noi restiamo qui. Restiamo qui fino alla fine, e smettiamo di mangiare, e moriamo qui” dice tranquillo. Guardo le donne e i bambini stesi per terra. Io sono bravo con le parole, e scrivo storie, le racconto. Davanti a tutto questo non c’è però niente da dire, se non la vergogna che provo. Non dovremmo parlare, dovremmo stare con loro fino alla fine. Penso che la nostra redenzione, come cittadini, passi attraverso di loro: attraverso gli sfrattati, gli umiliati, i distrutti.
“Io vi muoverò al pianto con il loro dolore. E il loro dolore e il vostro pianto costruiranno in terra una città migliore”.
Articolo di Jacopo Calzi
Foto Stefano Bertolino.