Magazine Lavoro
È un'iniziativa della Feltrinelli Real cinema che cade in una stagione tempestosa dove la parola "licenziamenti", fatti o da facilitare, cade ogni giorno nelle vite di tanti (esodati e non esodati) e acquista un sapore stridente difronte ad un altra parola abusata: "crescita". Come un terremoto che squassa vite di masse importanti.
L'opera di Segre spesso è rivolta al passato come in “Dinamite” che ripercorre una lotta dei minatori sardi della Carbosulcis, giunta fino alla drammatica e ragionata minaccia di far saltare in aria il proprio luogo di lavoro. Altri lavoratori isolani troviamo in “Asuba de su serbatoiu”, incatenati sui silos, su bombole del gas. Mentre “Morire di lavoro” è una rassegna dolente di familiari che rievocano donne e uomini stroncati da tragedie ancora oggi quotidiane. Qui il “divorzio” dal lavoro ha un epilogo insanabile. Il ciclo di Segre è chiuso da un ultimo documentario dedicato a una delle piu grandi fabbriche italiane, la Fiat (“Sic Fiat Italia“). Narra del modernissmo manager Marchionne che celebra un suo “divorzio” particolare dalla Fiom e dai lavoratori rappresentati dal sindacato di Landini.
Ho conosciuto Daniele Segre, anni fa, nei corridoi dell'Unità. Erano i giorni della chiusura del giornale e lui si era precipitato a "girare" assemblee, incontri. Avevo già visto qualcuno dei suoi documentari e quindi gli avevo rivolto un saluto un po' irriverente: "Ecco il regista degli sfigati". Lui non se l'era presa e anzi mi aveva adottato per aiutarlo nella ricerca di commenti alla vicenda del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, intervistando Ingrao, Cossutta, Cofferati e altri.
Quel che esce ora nel cofanetto della Feltrineli è una sintesi e un tributo alla sua opera. E' il messaggio di un "regista della realtà", come si autodefinisce, che ha dedicato il suo impegno al mondo dei salariati, senza indulgenze troppo commerciali. I suoi personaggi, però, non sono, come qualcuno potrebbe pensare "gli orribili equivoci" del socialismo realizzato" (parole ancora di Ortolani). Non sono gioiose statue di bronzo. Sono donne e uomini visti anche nella loro quotidiana umanità (dove emerge spesso un antico “orgoglio” operaio), spesso in polemica con i sindacati, oltre che con i padroni e la politica. Non arruolabili, però, nell'esercito dell'antipolitica. Emerge, semmai, la ricerca, come si osserva ancora nel libro, di un'uscita da due sinistre entrambe perdenti. Una che agisce facendo “il mantra del mercato che risolve da solo tutti i problemi”. Un'altra che propone di cambiare il mondo “secondo un modello ripetuto liturgicamente”.
Gli operai di Segre si interrogano senza tregua, alle prese anche con i cambiamenti del mondo del lavoro, come l'immissione di fasce crescenti di precari. Un mosaico di facce, di sequenze, di testimonianze che aiuta a capire meglio la realtà di oggi. Oggi, di fronte davvero a un divorzio di massa dal lavoro che segnala insieme l'arresto produttivo, l'impossibile crescita. Perchè è vero che oggi è possibile pensare a forme nuove di convivenza, senza la corsa produttiva affannosa. Ma anche quelli che teorizzano la parsimoniosa “decrescita” o per lo meno lo sviluppo sostenibile, un'austerità propizia al cambiamento, non possono pensare di poter fare a meno di tutte le fonti di ricchezza, capaci di alleviare le nostre vite. Non possono pensare al postfordismo come a una completa desertificazione industriale. Ecco perchè Cgil, Ci
sl e Uil hanno intitolato la manifestazione di sabato 16 giugno “Il valore del lavoro”. Da non calpestare, da non umiliare, perchè il lavoro è fonte, ripetiamo, di ricchezza, e anche di dignità e identità. La lezione di Segre serve anche a questo, ad aiutare la battaglia per riscattare il lavoro.
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