Il cibo non è solo cibo.
Al contrario di ogni altro animale, per l’uomo il cibo non è solo una fonte di sostentamento e di nutrimento; non ci serve semplicemente come fonte energetica, e non lo utilizziamo solo a coprire il nostro fabbisogno di micronutrienti.
Per l’essere umano il cibo assume una tale varietà di valori simbolici che forse nemmeno l’Arte può vantare: è ora premio ora supplizio, ora amico ora nemico, ora lacrima ora diletto, ora coccola ora sfogo.
Sopra ogni altra cosa, il cibo è imprescendibilmente emozione, ed assume un significato diverso a seconda della situazione nella quale lo consumiamo: ci sentiamo meno in colpa a mangiare la pizza in compagnia di amici che non da soli davanti alla tv, un panettone non avrebbe lo stesso gusto se lo compriamo ad agosto, cerchiamo gusti conosciuti e familiari quando siamo giù di morale, e via dicendo.
Molto più che per l’uomo, è per la donna che il cibo assume un fortissimo significato simbolico: vuoi per l’inevitabile sodalizio cibo-estetica, vuoi per il fatto che la pancia è la nostra miniera di emozioni. Quando siamo tristi cerchiamo il conforto in una cioccolata calda con panna, quando siamo nervose continuiamo a piluccare cibo passando dal dolce al salato, quando siamo in ansia per un esame o un colloquio di lavoro ci si chiude lo stomaco.
Avere reazioni di questo genere è perfettamente normale: oserei dire che sarebbe strano per una donna riuscire a mangiare con modalità indipendenti rispetto a quello che le accade nel quotidiano. Voglio dire: le emozioni -siano esse preoccupazioni o gioie- influiscono sulle nostre abitudini alimentari al punto che osservando come una persona mangia possiamo intuire molto del suo stato emotivo.
La normalità comincia ad essere compromessa quando il cibo diventa una divinità, vale a dire quando comincia a modificare i nostri comportamenti al punto da diventare un chiodo fisso quotidiano, compromettendo spesso la vita sociale, l’autostima e il benessere psicofisico.
Se è normale voler perdere qualche chilo quando si è sovrappeso o perderne quasi involontariamente in periodi di stress, non è normale quando per anni si restringe l’assunzione di cibo nonostante si sia perfettamente normopeso e in salute.
E se è normale mettersi sul divano con il pacco di biscotti in mano quando abbiamo litigato con il fidanzato o abbiamo avuto un battibecco sul lavoro, non è normale quando questi episodi compulsivi diventano quotidiani e ci causano vergogna, malessere, confusione.
Tante, troppe donne vivono con un’ossessione del cibo che permea ogni loro decisione, senza però avere un disturbo dell’alimentazione che possa essere clinicamente rilevante.
Contare ossessivamente le calorie, trovare scuse per evitare occasioni che contemplino buffet o dessert, non mangiare qualcosa di cui non si conoscano esattamente gli ingredienti. Pilotare le cene fuori proponendo ristoranti di cui si conosce il menu e dunque rendere possibile non solo prevedere le proprie scelte, ma addirittura programmare l’intera giornata alimentare (e magari anche quella precedente/successiva) in base a questo. Arrabbiarsi se qualcuno in casa ha mangiato l’ultimo pezzo di un “cibo permesso” che si aveva in mente di consumare la sera o il giorno successivo. Organizzare la propria vita in base agli orari in cui andare in palestra, andare a fare la spesa, cucinare.
Oppure.
Essere in sovrappeso e scegliere la cosa meno calorica del menu al ristorante, temendo che gli altri pensino “se mangia in questo modo ci credo che è grassa!” qualora si volesse ordinare un piatto elaborato. Nascondere merendine e biscotti in camera. Aspettare con ansia il momento in cui la casa sarà vuota e la cucina libera per aprire gli armadietti della dispensa. Aver paura ad aprire un pacco nuovo di biscotti, sapendo che un paio non basteranno a saziare quella sensazione che è ben diversa dalla normale fame. Non sentire nemmeno più il sapore del cibo dopo un’abbuffata, e mentirsi dicendosi che “questa è l’ultima volta”.
Questi o simili comportamenti sono un segnale allarmante di una psiche sofferente: il cibo come strumento di tortura, e non come nutrimento. Il cibo strumentalizzato al raggiungimento di un peso ideale che sembra essere sinonimo di felicità, ma che una volta raggiunto lascia l’amaro in bocca. Il cibo come scudo delle emozioni. Ogni singolo sgarro che non è godimento di sapori, ma debolezza, biasimo, punizione.
Il proprio corpo vissuto ora con negazione e ora con esaltazione: se mi sento bella mi vesto bene, mi trucco, mi faccio desiderare e non tocco niente di ciò che la mia mente mi vieta. Se mi sento brutta vado a dormire con la tuta, evito di specchiarmi, cerco persino di toccare il meno possibile il mio corpo quando faccio la doccia.
Da semplice nutrimento e godimento, il cibo viene permeato di un potere che lo rende padrone e tiranno di un’intera vita. Ma siamo noi ad attribuirli un potere così grande e distruttivo: siamo noi a decidere che questo o quel alimento sono assolutamente vietati, e dunque a fare in modo che la minima trasgressione al divieto diventi quando va bene causa di frustrazione, quando va male causa di una vera e propria abbuffata.
Il trinomio cibo-specchio-psiche è la nostra più grande tortura autoimposta.
Siamo al tramontare di un anno e al sorgere di un altro. Quante volte a dicembre avete steso una lista mentale dei buoni propositi, mettendo in cima la voce “mettersi a dieta” o “iscriversi in palestra”? Quante volte il proposito è stato rispettato?
E se invece per il 2014 ci promettessimo qualcosa di diverso? Trovare l’armonia nel modo in cui si mangia e nel modo in cui si percepisce il proprio corpo, anche facendosi aiutare se necessario (a volte il percorso è più irto di ostacoli di quanto ci si aspetti).
Le diete funzionano nel breve termine, ma non risolvono la fame emotiva né sono la chiave della felicità. A volte le diete sono utili a far perdere peso, ma sbilanciano completamente l’armonia del corpo femminile: ad esempio, le diete povere di grassi vanno a innescare meccanismi ormonali che portano ad una sproporzione tra la parte superiore del corpo e quella inferiore, cosicché la donna al termine della dieta peserà meno ma avrà un impatto estetico meno gradevole, con il torace stretto e il seno svuotato, e i fianchi proporzionalmente sbilanciati. Non grassi: sbilanciati.
Sia chiaro: l’obiettivo che voglio proporre non è quello di eradicare ogni possibile relazione psiche-cibo. Non solo non sarebbe possibile, ma a mio parare non sarebbe nemmeno sano. In certi momenti abbiamo bisogno del conforto che un dessert può darci, così come abbiamo bisogno di associare le nostre emozioni a certi sapori, o di lasciarci maggiormente andare in certi periodi dell’anno (…o quando siamo innamorate!).
Il proposito che vi sto suggerendo è quello di non ragionare più in una scala di bianco o nero, ma di apprezzare l’infinita varietà di colori che lo spettro della luce di offre: molte donne fanno lo sbaglio di vivere tra due opposti, ossia dieta ferrea (o alimentazione iper-salutista) oppure delirio alimentare. Quando si oscilla tra queste due antitesi è inevitabile che un singolo sgarro possa compromettere l’intera giornata ed il modo in cui ci guardiamo allo specchio.
So, sapete, sappiamo che un iper-controllo può portare solo a due cose: abbuffate compulsive di rebound, oppure ad una vera e propria ossessione per qualsiasi cosa mangiamo, ossessione che toglie gusto alla vita.
Facciamo però attenzione a non cadere da un estremo all’altro.
Equilibrio alimentare non è concedersi qualsiasi cosa ci passi per la testa. Equilibrio è trovare la giusta armonia tra il nutrimento (cibo vero, fresco, vitale) e il godimento (cibo che è coccola, tentazione, delizia, ricordo). Penso converrete con me quando dico che una cioccolatosissima fetta di Sacher non avrebbe lo stesso gusto se la consumassimo tutti i giorni; dico Sacher ma potete sostituire con qualsiasi cibo rappresenti per voi una tentazione. O un ricordo: l’arrosto con patate della nonna ha senso a Natale, ma avrebbe senso un qualsiasi mercoledì dell’anno?
Equilibrio non è la costante ripetizione di uno schema sempre uguale a sé stesso, ma l’armonico alternarsi di due opposti, senza connotarli del significato di “bene e male”. In questo ci viene d’aiuto la filosofia orientale, con lo Yin e lo Yang: due opposti che si completano, in ciascuno dei quali è compresa una traccia dell’altro.
Ecco quello che vorrei fosse per ciascuno di voi, di noi, l’alimentazione: armonia.
Dall’anno prossimo pubblicherò degli articoli con la collaborazione di una psicologa che lavora in Umbria, in provincia di Perugia (ve la presenterò a tempo debito): insieme andremo ad affrontare alcuni dei problemi più frequenti in chi ha un brutto rapporto con il cibo. Speriamo di poter essere d’aiuto a chi fatica a trovare il proprio equilibrio: non è giusto che il livello di benessere di una persona dipenda dal controllo alimentare, dal numero di sgarri a cui si è ceduto, da modelli di bellezza imposti dalla società.
Con questo articolo chiudo il 2013 del sito: non credo che avrò tempo per pubblicarne altri fino a gennaio, eccezion fatta forse per una ricetta di Cristina.
Ringrazio chi mi ha seguito negli ultimi 12 mesi e chi è mio lettore da poco: vedere (qui e su Facebook) che il numero di chi mi segue è in costante aumento è per me motivo di orgoglio, ma soprattutto è uno stimolo a coltivare il sito, cercando sempre di stuzzicare la vostra curiosità con i miei articoli.
Il 2013 è stato sorprendentemente positivo, che mi ha permesso di crescere professionalmente e umanamente. Parlando di lavoro, per il 2014 ho alcuni progetti da realizzare di cui vi renderò partecipi man mano (anche perché sarete voi i fruitori finali di alcuni di essi!). Ho grandi e piccoli progetti anche sul piano personale, ma su questo sono molto più scaramantica…!
Auguro a tutti voi di trascorrere delle felici feste natalizie e di iniziare il 2014 circondati dalle persone che amate, armati di tutta la positività cui riuscite ad attingere.
Io ora preparo la valigia: mi aspetta qualche giorno in montagna, tra neve, freddo, passeggiate nella natura e… indubbiamente, ottimo cibo!