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SERIAL LOVERS: I revenant in TV (Seconda Parte)

Creato il 01 novembre 2013 da Fascinationcinema
Se non l’hai letto: SERIAL LOVERS: I revenant in TV (Prima Parte)

 

Ritornati in Francia…

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L’idea di un revenant suicida è molto interessante ma non è il primo in TV. Ed eccoci finalmente giunti al motivo che mi ha spinto a scrivervi tutta questa filippica sugli zombie-revenant. Si intitola “Les revenants”, appunto. La più seguita fiction francese mai prodotta dalla pay-TV Canal Plus, dove l’ottavo ed ultimo episodio della prima stagione, nel Dicembre del 2012, ha sfondato la soglia di un milione e quattrocentomila spettatori. Ancora inedita in Italia, è già stata trasmessa in Svezia, in Belgio e quest’estate, con il titolo “Rebound” cambiato poi in “The returned”, è approdata con successo anche oltremanica sulla rete Channel 4, in lingua originale sottotitolata, cosa che su Channel 4 non accadeva da vent’anni. La seconda stagione sarà girata tra Febbraio e Marzo del 2014, per andare poi in onda a Novembre.

Ma procediamo con ordine.

Nel 2004 Robin Campillo, uno sceneggiatore e montatore francese, fa il suo debutto come regista presentando, alla sezione Orizzonti della 61ª Mostra internazionale del cinema di Venezia, un film dal titolo Quelli che ritornano. They came back l’hanno chiamato gli Americani, pubblicizzandolo come zombie-movie ma il titolo originale francese era, appunto, “Les revenants” e non vedrete in esso una sola goccia di sangue perché trama, personaggi e lunghi tempi d’attesa sono sufficienti a far venire i brividi. Settantamila deceduti, morti nel corso degli ultimi dieci anni, tornano improvvisamente in vita. Solo nella cittadina francese che il film ci mostra, ben tredicimila di loro, la maggior parte ultrasessantenni, escono dal cimitero tutti puliti, graziosamente abbigliati, stranamente taciturni, e si ritrovano ad affollare con ordine le strade in un flusso lento ed un poco inebetito, che s’interrompe improvvisamente due ore dopo, senza una spiegazione, così come era iniziato.

I ritornati di Campillo mostrano sintomi quali mancanza di sincronia con la realtà, simili a quelli dell’afasia post-traumatica, scarsa loquacità e lentezza nel parlare. Benché ogni tanto si fermino a fissare il vuoto catatonici, le loro funzioni motorie non sono danneggiate e si ricordano chi sono, come vestirsi, nuotare, guidare.

La classe politica s’affanna allora per reintegrarli nella società. Inizialmente, come rifugiati dopo un disastro, vengono ospitati in grandi centri d’accoglienza e smistamento, per le visite mediche, il riconoscimento e le solite scartoffie burocratiche, prima di essere riconsegnati alle rispettive famiglie e riottenere i loro vecchi posti di lavoro. Ma non è facile trattenerli in casa e nei centri d’accoglienza perché questi renevant scoppiano di salute, son di buona forchetta, sono pieni d’energia, non dormono mai (al massimo fanno finta) e se fosse per loro se ne andrebbero sempre a spasso, notte e giorno, apparentemente senza meta. L’axandrolina, un neuroregolatore, riesce a stento a tenerli buoni. Particolarmente inquietanti le scene in cui l’anziana moglie del sindaco attraversa in vestaglia di notte quasi come una sonnambula, il giardino della villa cercando caparbiamente di scavalcare l’alto muro ed evadere; o quelle in cui il piccolo Sylvian, rinchiuso nel suo mutismo ed incurante dell’amore dei genitori verso il figlioletto resuscitato, passa la notte sbattendo ritmicamente la testa contro la porta d’ingresso, sopraffatto anche lui dal desiderio di evadere. Ma dove mai vogliono andare tutti questi revenant? Che si tratti di un fenomeno migratorio? si domandano gli scienziati. Approfittando del fatto che la temperatura corporea dei revenant è di circa cinque gradi inferiore alla nostra, vengono usate, a scopo di ricerca, delle telecamere termiche per studiarne gli spostamenti. Gli scienziati scoprono così che ogni revenant, vecchio o giovane che sia, se ne va a zonzo percorrendo in media 14 km al giorno e che la notte si riuniscono in alcuni luoghi (uffici, parchi) farfugliando come se stessero organizzando un piano segreto.

Nel frattempo familiari e colleghi iniziano a rendersi conto che i ritornati non sono tornati ad essere esattamente com’erano prima. La loro intelligenza è solo apparente, probabilmente spiegabile con la teoria psicolinguistica “dell’eco e della memoria”: i revenant, imitando i discorsi dei vivi come un’eco e memori delle espressioni che usavano quotidianamente in vita, danno l’illusione di un comportamento normale, ma in realtà sono incapaci di evolvere e formulare nuovi concetti. I loro pensieri assomigliano alle idee confuse che si accalcano nel nostro dormiveglia mattutino, quando non siamo ancora del tutto in grado di pensare. Questo ovviamente li rende inetti a ricoprire posizioni di responsabilità ed adatti solo a lavori umili. Mentre la classe dirigente cerca di capire come gestire la situazione, i ritornati, così come erano tornati, una notte se ne rivanno tutti via, senza una spiegazione e finisce il film.

 

“Les revenants” – la serie: gli zombie diventati poesia

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Le storie senza un finale esaustivo mi sono sempre piaciute, infatti ancora maledico chi ha deciso di aggiungere una sesta stagione a Lost, la cui fine perfetta sarebbe stata l’ultima puntata della quinta, con Juliette che prende a sassate la bomba nel pozzo, lasciandoci lì per sempre a chiederci se fosse riuscita a farla esplodere o no, cancellando o meno tutti gli eventi accaduti.

Ma la trama del film di Campillo è troppo accattivante, bisognava che qualcuno la elaborasse meno frettolosamente. Per fortuna c’ha pensato il francese Francis Gobert a trasformarla in uno sceneggiato televisivo.

Sulle Alpi francesi il pullman di una gita scolastica esce di strada, sentiamo solo le grida ovattate mentre sfonda il guardrail e cade giù nel precipizio. Mi aspettavo il dettaglio dei cadaveri straziati dei bambini e invece: nella penombra di una bella casa di montagna, una collezione di farfalle in una teca in fondo al corridoio. Una di loro inizia a battere le ali. Il vetro della teca va in frantumi e la farfalla vola via tra le schegge. Sono questi i primi due minuti della serie “Les Revenants”, lo splatter rimpiazzato dalla poesia.

Tra le vittime di quel maledetto pullman c’era anche Camille, la rossa quindicenne protagonista, che quattro anni dopo si risveglia nei pressi del luogo dell’incidente, se ne torna a casa a piedi e la mamma se la ritrova improvvisamente in cucina a divorare con foga un panino. Palesemente ignara d’essere morta, si stupisce di fronte all’espressione allibita della madre, che corre di sopra a togliere di nascosto i santini dalla camera della defunta. E se la madre era allibita, alla sorella gemella, ormai quattro anni più grande di lei, viene quasi un colpo alla vista di Camille, che non è invecchiata di un solo giorno. Come non sono invecchiati neanche i pochi (almeno all’inizio) revenant risorti in quell’anonima cittadina francese, tutti ugualmente affamati, stanchi ma incapaci di dormire e che cercano, chi più chi meno, di non dar nell’occhio. Il giovane Simon, ancora attraente nonostante dieci anni passati in una tomba ed inconsapevole d’essersi suicidato poche ore prima del proprio matrimonio, torna dalla sua promessa sposa Adèle, convinta di avere le allucinazioni. L’anziano Signor Costa si sente male dallo shock del ritorno della moglie ma lei intanto se ne sta in cucina ad ingurgitare una pentolone di spaghetti. E chi è quel bambino che si rifiuta di parlare e segue fino a casa Julie, l’infermiera lesbica che pochi anni prima si era salvata per miracolo da un tentato omicidio in un sottopassaggio? E proprio in quel sottopassaggio gli omicidi ora sono ricominciati… che sia risorto anche un serial killer mai catturato? A farne le spese per prima è la bella cameriera del pub locale, ma morirà davvero…?

“Ho visto il film quando è uscito è mi è piaciuto moltissimo.” dice il creatore Gobert “Mi aveva particolarmente impressionato il modo in cui Campillo mescola il fantasy della cittadina in cui risorgono i morti con l’iperrealismo della municipalità che affronta il problema. Mi sembrò molto singolare, forte e metaforico. Ma il film tratta i risorti da un punto di vista socio-politico, mentre noi, volendo affrontare l’argomento in modo più intimo, abbiamo deciso di seguire solo una manciata di ritornati. Non c’è una resurrezione di massa. Era necessario per empatizzare con le conseguenze emotive della loro strana situazione. M’interessava immaginare come delle persone normali affronterebbero un’improvvisa raffica di miracoli nelle loro vite. Alcuni ci credono, alcuni non vogliono crederci, altri pensano che non durerà… Tutti reagiscono in modo diverso.”

Memorabili infatti i battibecchi tra Jérôme, il papà di Camille, ateo convinto e Pierre, il reverendo, ora amante della mamma delle gemelle:

“Allora dottore qual’è la diagnosi? Resurrezione improvvisa?”

“Per favore, non chiamarla così!”

“Dunque che si fa in un caso del genere?”

“Un caso del genere? Non ne ho idea, un caso del genere non ha precedenti! Beh, a parte uno, ma dubito t’interessi…”

“Infatti non m’interessa! Ma avete passato anni a pregare che i morti tornassero in vita, mi aspettavo che almeno avreste saputo come accoglierli!”

Ma in realtà Pierre, più preparato per un simile evento di quanto potrebbe mai esserlo un miscredente, ha già attrezzato l’istituto d’accoglienza con scorte alimentari, armi e sala operatoria e predica di non aver paura, che quel che sta accadendo era già scritto, che i risorti sono tornati per avvisarci che la fine s’avvicina e che quando arriverà sarà meraviglioso… Jérôme intanto s’inferocisce quando scopre che ex-moglie e Pierre usano Camille per dare conforto ai genitori dei compagni di scuola morti con lei nell’incidente… Ma se un vero risorto in carne ed ossa dice, a dei genitori disperati, di aver visto il loro bambino nell’aldilà, e mentendo innocentemente butta lì una frase fatta tipo “…e non vede l’ora di riabbracciarvi…”, le conseguenze potrebbero rivelarsi tragiche…

Alla fine anche la depressa Julie, che ormai ha adottato illegalmente il misterioso, taciturno ed inquietante ragazzino ammazzato trent’anni prima da un rapinatore, entra in crisi esistenziale e finisce per chiedersi: “Per anni sono stata incapace di vivere. E se fosse perché sono già morta?”.

A chi gli fa notare la somiglianza con “Twin Peaks” e “Lost” e gli domanda a quali serie televisive si sia ispirato, Gobert risponde “Deadwood, True Blood, Misfits… Per l’umorismo macabro con cui Alan Ball tratta la morte e la stranezza e la profondità dei personaggi, anche Six Feet Under, ad esempio, è stata una grande ispirazione. Quindi sì, ci siamo ispirati anche, ma non solo, a Lost e Twin Peaks!”

Molti dicono di essersi ispirati alle atmosfere twinpeaksiane ed ai loro misteri, dagli autori di Bates Motel allo stesso Mitchell di “In the flesh”, ma nessuno secondo me ci si era mai avvicinato tanto, così tanto da fare quasi meglio!

La serie è girata tra i paesaggi montuosi dell’Alta Savoia, location principale è la città di Annecy, ma la vera protagonista di “Les revenants” è l’imponente diga ad arco in cemento (in realtà la Barrage de Tignes, sul lago di Chevril, nel Parco Nazionale della Vanoise), dall’aspetto alquanto soffocante, che anni addietro era stata costruita dopo che la piena del fiume aveva spazzato via la città vecchia ed i suoi abitanti. E la città vecchia giace ancora lì, sommersa nelle acque del lago. La sua sola presenza mette i brividi quanto la stanza di drappi rossi del nano di “Twin Peaks”, anche se non ne vediamo che i tetti spuntare per un attimo verso la fine della prima stagione, perchè stranamente, dopo la venuta dei revenant, il livello delle acque del lago ha iniziato pian piano ad abbassarsi. Una mattina addirittura ci trovano dentro decine di grandi animali selvatici apparentemente suicidi, in una splendida scena raggelante che ce li mostra immobili sott’acqua. Frattanto, i vivi che sono più a stretto contatto con i ritornati si ritrovano addosso delle inspiegabili ferite, mentre sempre più frequenti diventano i brevi blackout della corrente elettrica, che lasciano al buio la città nuova. Volete andarvene da qui? Julie e la sua amante poliziotta ci provano, ma non importa quanta strada percorrano, si ritrovano sempre al punto di partenza, sulla strada sopra la diga.

Insomma i misteri in “Les Revenants” non mancano, e sono tutti di ottima qualità, realistici e ben pensati, lasciano protagonisti e spettatori a chiedersi se quel fenomeno naturale sia in realtà un miracolo e se quel miracolo sia in realtà un fenomeno naturale. Ma la splendida aurea di mistero la danno la sensualità, il ritmo sommesso e l’atmosfera plumbea che non ci abbandona mai.

“Una grande influenza visiva” – spiega Gobert – “è stato il film svedese di Tomas Alfredson Lasciami entrare, un fantasy thriller che invece di usare troppi effetti speciali, privilegia magnificamente l’atmosfera e quel che c’è al di fuori della scena.”.

“Fabrice voleva che ci fosse sempre il tramonto!”, racconta Jenna Thiam, che interpreta la gemella di Camille. E’ stata una decisione di Gobert infatti quella di girare solo tra le quattro di pomeriggio e le nove di sera: “La cosa più difficile è stata essere pronti a girare al momento giusto. Facevamo prima le prove, organizzando le giornate in modo da iniziare le riprese proprio quando il sole cominciava a calare. In media avevamo dieci minuti per terminare una scena.”. Beh, ne è valsa la pena!

Altra scelta felice di Gobert è stata, dopo la collaborazione con i Sonic Youth nel suo primo film “Lights out” (2010), quella di chiedere ai Mogwai, gruppo post-rock scozzese, di creare la colonna sonora: “Adoro la forza, la gravità, la malinconia che s’irradia dalla loro musica. Ho insistito perché approcciassero il lavoro liberamente. Gli ho parlato dei miei punti di riferimento in quanto a colonne sonore, come il film di Louis Malle del ’58 Ascensore per il patibolo e Dead Man di Jim Jarmusch del ’95. In questi due film, Miles Davis and Neil Young hanno creato una musica diversa da quella che senti di solito in un thriller o in un western, ed alcuni brani sono così potenti da diventare quasi dei personaggi della trama. Volevo fare lo stesso con Les Revenants”.

“Hanno composto alcuni pezzi prima che iniziassimo a girare” – racconta la produttrice Caroline Benjo – “ed è stato di grande ispirazione poterli usare sul set per creare l’atmosfera, a volte perfino per calcolare la lunghezza delle scene.”.

 

Ritornati nel futuro

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Ci sono stati di recente alcuni revenant anche sul grande schermo, in ridicole commedie horror americane come “Warm bodies” (2013) dove zombie-antropofagi riacquistano miracolosamente i sentimenti, o in The revenant del 2009, dove un militare morto torna a combattere contro la criminalità di Los Angeles. Niente di paragonabile però al fascino gotico del famoso Eric Draven nell’indimenticabile Il corvo del ’94, che è l’archetipo del revenant tipico del folklore europeo, la cui sete di vendetta lo riporta in vita e lo rende immune alle ferite, almeno finchè riesce a tenere a bada i sentimenti. Ed a ben pensarci, l’attore che lo interpretò, Brandon Lee, dopo essere rimasto ucciso sul set da una pistola che non sparò a salve come avrebbe dovuto, fu ‘riportato in vita’ al computer dai montatori, per completare le scene mancanti del film. Più revenant di così…

Grazie forse al successo della serie francese, a quanto pare vedremo presto altri zombie-revenant anche sul piccolo schermo.

Il produttore inglese Paul Abbott, creatore della famosa serie “Shameless”, ha acquisito i diritti e sta preparando un adattamento di Les Revenants per la TV britannica, ambientato in terra natia, dal titolo “They came back”. La Benjo e Gobert dichiarano di non avere idea quanto simile questo remake sarà al loro originale francese e che non avranno nulla a che fare con gli adattamenti stranieri della serie perchè: “E’ meglio così…”.

Intanto il regista Charles McDougall, che ha diretto gli episodi pilota di “The good wife”, “I Tudors” ed ha vinto un Emmy Award per quello di Casalinghe disperate, ha già girato la prima puntata di “Resurrection” per l’americana ABC e per la casa di produzione Plan B, quella di Brad Pitt. Andrà in onda da Marzo 2014 e sono previste due stagioni da dodici puntate ciascuna.

La serie si basa sul romanzo del poeta Jason Mott “The returned”, uscito nel 2012 (poche settimane prima era stato già annunciato che sarebbe diventato presto una serie TV) e parla di morti che tornano in vita, in tutto il mondo, nella stessa maniera in cui se ne erano andati, senza che nessuno abbia idea del perchè, se sia un miracolo o un segno che la fine del mondo s’avvicina. L’idea del romanzo nasce da un sogno di Mott, estremamente realistico e vivido: sognò di tornare a casa e trovare sua madre, morta pochi anni prima, ad attenderlo a tavola per un’ordinaria chicchierata. La totale assenza di elementi onorici di quel sogno lo scioccò per settimane, finchè non ne parlò con un amico che gli chiese: “E se non fosse stato un sogno? E se tua madre non fosse l’unica?”.

La serie, scritta da Aaron Zelman (produttore esecutivo di “The Killing”) si apre con un bimbo americano di otto anni che si risveglia tutto bagnato in una risaia in Cina, senza la minima idea di come ci sia finito. Come il bambino nel film e nella serie “Les Revenants”, Jacob inizialmente è tutt’altro che loquace ma un’agente dell’Immigrazione riesce a farsi dire la sua città di origine, Arcadia, nel Missouri. All’inizio la città doveva essere Aurora, in Colorado, ma la produzione decise la modifica quando nel 2012, proprio ad Aurora, un pazzo vestito da Batman uccise 12 persone e ne ferì 70 alla prima del film “Il cavaliere oscuro – Il ritorno”.

Jacob, che probabilmente sa più quanto ammetta del proprio annegamento avvenuto trentadue anni prima vicino casa, viene riportato ad Arcadia dove riabbraccia i genitori, che ormai sembrano i suoi nonni. L’idea di scegliere come resuscitato protagonista un bambino è eccellente, il personaggio più inquetante sia nel film “Les Revenants” che nella serie, è proprio il bambino tutto sguardi e niente parole. Purtroppo però, a giudicare dal trailer, “Resurrection” sembra americanissimo, non crudo e d’impatto come In the flesh, nè poetico e sensuale come Les revenants, visivamente assomiglia in effetti più allo stile Casalinghe disperate, e quel pretuccio scialbo già mi annoia, ma staremo a vedere. Come disse il vecchio Hershel nella seconda stagione di “The Walking Dead”: “Quando Cristo ha promesso una resurrezione dei morti, pensavo avesse in mente qualcosa di diverso…”.

Secondo voi che cosa aveva in mente?

Barbara Rossini


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