Serie A: l’Inter si prende l’EL nel giorno del capitano
6 maggio 1998, Javier Zanetti sta correndo come un matto per il Parc des Princes, gli occhi sono lucidi e le braccia aperte, quasi a voler abbracciare i suoi tifosi: ha appena segnato un gol memorabile alla Lazio, regalando così la terza Coppa Uefa all’Inter e la gioia del primo trofeo a Massimo Moratti.
10 maggio 2014, a 16 anni – e 4 giorni – di distanza dalla notte di Parigi, Pupi gioca la sua ultima partita nel suo stadio. L’avversario è lo stesso, la maglia – manco a dirlo – è la numero 4 dell’Inter, persino i capelli sono rimasti identici nel tempo: sembra quasi che le lancette dell’orologio si siano fermate a quella notte di Parigi e che in questi 16 anni non sia cambiato niente. Eppure qualcosa è successo, qualcosa è cambiato: le gambe del capitano hanno retto la fatica di 613 partite di Serie A, le sue braccia hanno sollevato 16 trofei, il suo nome è entrato nella leggenda. Javier Zanetti abbandona il calcio giocato dopo 19 anni di Inter, una vita in nerazzurro.
È il 5 giugno 1995, alla Terrazza Martini viene presentato un misconosciuto Javier Adelmar Zanetti insieme al ben più noto connazionale Sebastian Rambert; un arrivo, quello di Zanetti, – il primo colpo dell’era Moratti jr. – che passa abbastanza in secondo piano, nell’anno in cui approdano a Milano campioni del calibro di Paul Ince e Roberto Carlos. Eppure, fin dalle prime partite si capisce che quel ragazzo argentino ha qualcosa di speciale: quel suo modo di portare la palla incollata al piede, la sua corsa, la facilità con cui fa avanti e indietro sulla fascia, tutte queste caratteristiche unite ad un comportamento ineccepibile, lo rendono ben presto titolare inamovibile nella squadra di Bianchi. Zanetti brucia le tappe, subentra come capitano a Bergomi e fa dell’Inter la sua nuova casa, entrando nel cuore dei tifosi grazie alla sua correttezza – solo 2 espulsioni in più di mille partite giocate -, al suo impegno e alla sua semplicità. Con la maglia dell’Inter, Pupi colleziona 856 presenze complessive, 614 in Serie A - secondo soltanto a Paolo Maldini -, vince 5 Scudetti, 4 Coppe Italia, 4 Supercoppe italiane, una Coppa Uefa, una Coppa del Mondo per Club e a Madrid solleva, commosso, la Champions League. A 40 anni, dopo l’unico infortunio grave della sua carriera – peraltro superato in tempi incredibilmente brevi -, il più grande simbolo della storia interista decide di abbandonare il prato di San Siro per iniziare una nuova avventura – probabilmente nel ruolo di vicepresidente – e lasciare il segno nell’Inter che verrà.
Campione vero.
In questo turbinio di emozioni contrastanti si gioca Inter – Lazio, la penultima giornata di Serie A, l’ultimo atto in casa per il capitano e forse anche per le altre due bandiere argentine Samuel e Milito. La partita è di quelle vere, le due squadre si giocano un posto in Europa che potrebbe riscattare – in parte – due stagioni in chiaroscuro. L’inizio gara è uno shock: pronti via e su un cross dalla sinistra di Pereirinha, una dormita generale della difesa nerazzurra permette a Cana di colpire di testa indisturbato e a Biava di ribattere in rete. Il gol è una doccia fredda che spegne tutti gli animi, lo stadio comincia a inveire contro Mazzarri e, dopo la pessima figura nel derby, si teme un’imbarcata. Non questa volta, non in un giorno così speciale; l’Inter si aggrappa al talento cristallino di Mateo Kovacic e ritorna a galla. Il croato non sbaglia nulla, gioca la sua miglior partita e illumina il gioco con lampi di pura classe; è suo lo splendido assist per il pareggio di Palacio ed è suo il tracciante geniale che mette Icardi in condizione di siglare il 2-1. La Lazio risponde, ci prova più volte, sfruttando una difesa nerazzurra a dir poco traballante, ma Handanovic conferma la sua forma strepitosa e para tutto quello che si può parare. I padroni di casa allora calano il tris, di nuovo con Palacio, e nel finale di gara c’è anche il tempo di vedere il magnifico gol dell’ex di Hernanes. Finisce 4 – 1, un risultato probabilmente troppo severo per i biancocelesti, ma forse è giusto così: era la serata del capitano.