La storia non poteva continuare così e quel giorno, dopo quattro ore in università, i colloqui per le tesi, le ripetizioni a quella mezza tacca di Marco e il dentista, ci mancava pure il chiasso dei nuovi vicini di casa.
In realtà, dal trasloco era passato più di un mese e Paola le aveva provate tutte, ma il quotidiano incivile della coppia, peggiorava anziché migliorare.
Durante i primi giorni, incontrato il marito per le scale, aveva anche fatto cenno, e sorridendo, all’attività di docenti sua e del marito, della meraviglia di una permanenza casalinga serale e del fatto che leggere, era la loro occupazione principale, ma niente.
Se le liti toccavano picchi troppo alti, Paola sparava, le casse rivolte alla parete sottile, Vivaldi e Rossini e quando esageravano, il Bach tra i più edulcorati si era rivelato un buon rimedio -un giorno le sfuggì l’Internazionale versione originale ma fu redarguita dal marito e da allora si limitò ai canti delle mondine-.
Sono anche fascisti!, ripeteva a Paolo che cercava di stemperare con battute scherzose, infilando dei “passerà” tra i meno convincenti o portandola fuori, il clima di odio che si era creato tra le mura domestiche.
Ma sua moglie era così, talvolta per una questione di principio la tirava per le lunghe in modo estenuante, voleva giustizia, pretendeva la ragione a tutti i costi e non si limitava a far sì che la questione si risolvesse positivamente, no, ci tornava sopra di continuo, come in una sindrome incurabile, un processo che a ogni appello rinnova dolore e umiliazione.
Aveva fatto così anche con sua sorella per la storia della proprietà in Umbria, e con sua madre, anche adesso, che morta e sepolta da anni non poteva neppure difendersi.
Per risolvere la questione aveva anche infilato nella cassetta della posta un paio di lettere più o meno pacate e provato a mettere in scena, stavolta con la moglie -che fatto salvo per la voce da cornacchia, le sembrava la vittima della situazione -, una breve sceneggiata su una sua presunta emicrania, ma niente.
Sono stata educata così, Paolo! Non ci si comporta in questa maniera! E... e poi... non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso, ecco, insomma!
E cercando di visualizzarli al centro di un orto attaccati per le caviglie al ramo più alto di un ulivo, andava avanti e indietro per la piccola cucina in cerca di un rimedio definitivo e indolore.
Ormai era quello il solo argomento di conversazione, un chiodo fisso, una battaglia all’ultimo sangue e Paolo, legato a sua moglie oltre che dal nome di battesimo dal modo di vedere la vita - un’esistenza fatta di angoli retti ben misurabili, priva di sorprese e dossi improvvisi, scandita dal calendario delle lezioni e delle feste comandate-, sorrideva mansueto e le baciava la fronte.
Ma nonostante i reiterati tentativi, arrivate le sette e trenta di sera e un istante dopo che Paola, acceso il PC iniziava a svagarsi un po’ dalla lunga giornata, i due cominciavano con insulti e botte da orbi, lanciandosi una tale quantità di cattiverie da torcere le budella a chiunque per il dispiacere e la rabbia.
Di chiamare la polizia non c’era ragione, sapeva che avrebbero negato qualunque violenza e la cosa si sarebbe risolta tra sguardi di odio in ascensore e dal droghiere. Certi meccanismi di omertà familiare li conosceva fin troppo bene.
E quella sera, sarà stata mezz’ora che i coniugi si lanciavano accuse, accadde il miracolo. Un doppio miracolo anzi, triplo!
Paola, che al di là dalle canoniche due uova al tegamino e una pasta condita con sugo pronto, non era in grado di servire niente di speciale, si stava dando da fare con il sugo per l’arrosto che giaceva già sul tavolo di legno assieme all’insalata. E sarà stato perché Paolo non si aspettava di trovarla in quel modo, i capelli tirati in una coda alta, la gonna stretta e un’aria stranamente rassegnata, ma gli venne la voglia di prenderla così, in cucina, senza dire parola, senza spegnere la luce, senza nemmeno salutarla. Un Nicholson imbranato con la ventiquattrore ancora in mano e i pantaloni calati alle caviglie alle prese con una Lange cinquantenne dallo sguardo sorpreso e sbavato di matita.
Oggi, Paolo non saprebbe spiegare l’accaduto: ormai al capolinea del desiderio, si accontentavano da anni –e di comune accordo- di qualche carezza serale sul divano, di un bacio appena meno casto di tanto in tanto; di certi sforzi non avevano più nessun desiderio giacché, consumata ogni curiosità, si sta uno accanto all’altra per pura fratellanza.
Ma quando il tavolo iniziò a sbattere, dapprima a un ritmo più lento e casuale, contro la parete, quando poi saliera e oliera seguiti da zuccheriera e tazzine, cominciarono a tintinnare a un ritmo più serrato, e infine, quando al culmine della passione Paola lasciò cadere posate e bicchieri, finalmente i vicini tacquero.
Non sapranno mai a cosa fosse dovuto quel silenzio improvviso, se a curiosità morbosa o a una presa d’atto della propria condizione infelice, fatto sta che da quel giorno tutti gli angoli si smussarono e anche Paola cominciò a perdonare più in fretta certi torti e a passarci sopra, come se tanto livore si disperdesse in solo istante, come se niente avesse più importanza di fronte alla musica prodotta dallo scuotimento del tavolo, del lavello, del frigorifero e del piano cottura.
(Nell'immagne: Magritte "Il bacio”)