Il ministro della giustizia indica una strada: il nemico non è Equitalia. Le fa eco il Viminale, chi colpisce Equitalia colpisce il paese. Mentre Maradona…
Non c’è pace per le ministre del governo Monti: tra ministressata Fornero, ministordita Cancellieri e la Severino, Goldoni avrebbe trovato pane per i suoi denti di commediografo veneziano.
L’ondata di comprensibili attacchi alle sedi di Equitalia e dell’agenzia delle entrate ha finalmente attirato l’attenzione su un sistema erariale che fa dell’iniquità il proprio comandamento. Napoli, Roma, Bergamo, Livorno: si deve prendere atto che in Italia è in corso una rivoluzione popolare, che ovunque ormai è lo stato ad essere nell’occhio del mirino di chi deve decidere se morire o passare al contrattacco.
La Severino difende a spada tratta Equitalia, con la stessa veemenza con cui a suo tempo difese nientepopodimeno che Salvatore Buscemi, uno dei mandanti della strage Capaci (condannato in cassazione).
Parla, la guardasigilli, della tensione che anima il paese, del fatto che i suicidi non possono solo essere ricondotti alla crisi economica. Prova a spostare i riflettori su altri aspetti, programmatici, del governo bank-o-kratico, ma le riesce male: evita soltanto di prendere atto di come gira il mondo, in Italia, in questi mesi. Continuare a negare la disperazione dell’ex ceto medio è tipico di chi è ben consapevole che non si troverà mai a dover vivere la situazione di chi si cosparge di benzina per incendiarsi dinnanzi ad Equitalia. Continuare a negar l’evidenza non porterà ad una modifica della realtà.
Anzi, difende il boia, ruolo a cui non è nuova, avendo già difeso gli assassini del mai troppo compianto Giovanni Falcone. “Le tasse? Devono pagarle tutti.” dice giustamente. Peccato che la Severino non abbia presente quell’articolo 53 della Costituzione ed i criteri di proporzionalità cui dovrebbe informarsi il sistema tributario. E probabilmente non è consapevole anche di umanità indispensabile affinché uno stato possa dirsi “modero”. Perché non sono solo i conti dell’Europa a fare forte l’Italia. Forse, nelle università private come la LUISS (già presieduta dall’attuale ministro della giustizia) non spiegano queste cose inutili, dirette al volgo di cui la classe dirigente non può e non deve far parte.
Anche la Cancellieri perde completamente il contatto con la realtà, forse smarrita tra gli scaffali con i libri di Harry Potter, in quel del salone del libro di Torino.
Annamaria Luigia LVIII rilascia una dichiarazione a metà, tra l’insensatezza di un cocktail di scampi col Martini e la megalomania di San Silvio da Arcore.
Difende il personale di Equitalia, che lavora per lo stato di cui cura gli interessi, e fin qui niente di particolarmente scomodo. Sono le parole successive a destare preoccupazione : “Lo stato siamo noi”, in perfetto stile Luigi XIV, con tanto di pluralis modestiae che tradiscono le umili origini.
Le fa eco Vittorio Grilli, uno che con la realtà ha un rapporto particolare: è un ex manager di banche elvetiche, uno che la legalità la conosce bene. Il viceministro dell’economia incalza sull’equazione Equitalia=stato, ma nessuno si preoccupa delle parole pronunciate da un membro dell’esecutivo di cui nessuno riuscirebbe a descrivere la faccia.
Tanto invisibile all’opinione pubblica quanto inascoltata la sua parola.
Prove tecniche di megalomania verbale, gravissima perché promana da chi dovrebbe garantire la sicurezza in un paese che è una bomba in orologeria in procinto di esplodere. Ferma restando la condanna dei gesti criminali, come la gambizzazione di Adinolfi (Ansaldo Nucleare), sarebbe opportuno prendere in considerazione le idee che possono impedire la già prevista recrudescenza delle ondate di protesta che sì, potrebbero condurci davvero sul baratro.
E persino Maradona coglie, è proprio il caso di dirlo, la palla al balzo per mancare di rispetto a chi si è tolto la vita per una manciata di soldi da pagare allo strozzinaggio dello stato: senza remore, dichiara di aver pensato al suicidio (chi di noi non lo ha fatto, almeno una volta nella vita? n.d.r.) negli anni bui. Indossa la casacca del perseguitato dal fisco italiano, per un bottino di 40 milioni di euro dovuti all’erario. Certo, in questo caso è meglio andare fino in fondo. D’altronde, meglio darli allo stato che spenderli in polveri bianche, vero Diego?