Lo sanno in pochissimi ma, prima di prendere le definitive sembianze della fanciulla con la margherita tra i capelli rossi disegnata da Gianni Trincanato e riprodotta su tutte le compilation dal 1980 in avanti, la Ragazza del Festivalbar era una conturbante pin-up uscita dalla matita di Milo Manara.
Il colore della fluente chioma è lo stesso, ma la posa da starlette di filmetto scollacciato, gli stivaloni rosa sopra il ginocchio, il vestitino succinto (nonché il forte sospetto che, sotto di esso, la cover-girl non indossi l’intimo) davano al volantino promozionale del Festivalbar ’76 (13° Trofeo Moccia, dal nome delle distillerie sponsor della kermesse) un sapore sexy molto in linea con lo stile luce-rossa tipico di quell’epoca in cui anche in Italia stava arrivando – con quasi una decina d’anni di ritardo rispetto al resto del mondo occidentale – la cosiddetta pornoinvasione.
Manara non era ancora il fumettista di “Playmen”, creatore di storie il cui formato tipicamente da ragazzi declinava contenuti per adulti, ma nella sua locandina per la rassegna musicale di Salvetti c’erano già tutti gli ingredienti-base di quello che sarebbe stato il successo a venire.
Nella gara per la canzone dell’estate vinse Gianni Bella con “Non si può morire dentro”.
Debuttava Umberto Tozzi con “Donna amante mia”, e Riccardo Fogli lanciava la sua carriera di solista presentando “Mondo”.
Amanda Lear sbarcava in Italia proponendo una baritonale “Blood and Honey” e Gilda Giuliani si struggeva interpretando “Amore”, brano che, per trovare una vera celebrità, dovette attendere altri diciotto anni e la cover di Mina-Cocciante.
Ma gettonatissimi furono soprattutto due 45 giri: “All by myself” di Eric Carmen e “Passar di mano” di Julio Iglesias. E, a giudicare dal palese sottotesto onanistico di questi due titoli, c’è da giurare che, sui maschi, il poster di Manara abbia avuto il suo effetto.