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Shellac: Dude Incredible, inesauribili geometrie perfette

Creato il 23 febbraio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Di nuove uscite ne sentiamo parlare ogni settimana o quasi: anche nel mondo della musica indipendente la ruota gira e qualcuno ritorna sempre a far parlare di se. Di tanto in tanto però la notizia di un nuovo album si tramuta in un avvenimento più unico che raro. Sì perché a settembre a tornare sono stati gli Shellac, una band a cui servono ben poche presentazioni, specialmente per chi di musica underground si nutre da sempre. La band di Steve Albini ritorna con un nuovo album, il quinto (sesto se si conta il mai pubblicato The Futurist) saggio di una carriera che prosegue da vent’anni secondo un criterio che nessuno ha ancora compreso del tutto. Con Dude Incredible, gli Shellac si rifanno vivi all’interno della scena alternative mondiale e lo fanno senza troppe cerimonie, come sempre, anche se il prodotto in questione possiede tutti i numeri per piazzarsi accanto all’immortale At Action Park.

Alla notizia di un nuovo album tutti gli appassionati del mondo si sono sfregati le mani fino a consumarle, e le aspettative come al solito sono state soddisfatte alla stragrande: Dude Incredible è un album che rasenta la perfezione, suonato e prodotto secondo la stessa formula che da sempre contraddistingue il genio di Steve Albini e dei suoi fantomatici Shellac. Passano gli anni, ma la magia resta senza macchiarsi degli inutili fronzoli da rockstar che ciclicamente vanno a farcire le produzioni indie rock contemporanee. E’ un disco all’insegna dell’alta fedeltà sonora: nessuna sovraincisione, nessun lavoro di post-produzione. Soltanto tre uomini, ormai divenuti leggenda, che suonano all’interno di uno studio di registrazione.

Dude Incredible è un album simbolo di chi se ne frega delle convenzioni. Nove brani per un totale di 32 minuti all’insegna della totale intransigenza, la stessa che da sempre separa gli Shellac da qualunque altra band in circolazione. Tra le (troppo poche) tracce spicca senza dubbio la title track , brano a dir poco perfetto: tagliente e vagamente orientaleggiante, con dei suoni talmente affilati da fare male, secondo la migliore tradizione Hardcore (o Post-Hardcore se preferite). Ottima performance anche in Complaint, con cui il trio di Chicago elargisce l’ennesima lezione di stile minimalista, facendosi strada con un giro di basso perfettamente lineare. Impossibile rimanere indifferenti a Riding Bikes, un lento stile Slint dal sapore amaro e umidiccio: qui emerge il sempre efficace metodo compositivo ed esecutivo di Albini, Trainer e Weston, giostrandosi tra matematici stop e ripartenze per un brano a dir poco ipnotico.

Stesso destino per Gary: ritmo lento e rimbalzante e armonie da freak show per un brano simbolo di questi Shellac degli anni ’10. Sempre gli stessi ma mai banali. Mayor/Surveyor è l’ennesimo saggio di matematica applicata alla musica: brano breve e senza voce, come prova inconfutabile di quanto sia piacevole udire tre musicisti che suonano sincronizzati come dei cronometri. In men che non si dica arriviamo a Surveyor, brano di chiusura da standing ovation. Un saggio dell’esperienza maturata negli anni, affiancata da un testo/riflessione sui padri fondatori, volto a donare un tocco di qualità anche dal punto di vista ideologico della band. E improvvisamente la musica svanisce, lasciando l’ennesima abrasione sulla pelle di chi ascolta, e un arrivederci a chissà quando.

Schellac live band

Photo credit: Michael Cory / Foter / CC BY

Chiunque conosca gli Shellac sa benissimo che un nuovo album, si può tradurre come un ennesimo piccolo frammento di ciò che il trio di Chicago ha da regalare ai loro ascoltatori. Questo disco, come i precedenti, non è altro che la prova registrata di un nucleo sonoro che non accenna a mutare, ma che racchiude un infinità di sfaccettature che sembrano non ripetersi mai. Anche questa volta gli Shellac ci regalano un album solido, di una qualità senza pari, sia per i suoni, sia per i testi, accusatori e dissacranti come sempre. Non si poteva chiedere di più, specialmente ad una band a cui non importa nulla se non esprimersi secondo le loro regole ogni volta che ne sentono il bisogno.

Un’ uscita come Dude Incredible non è certamente un avvenimento da prime pagine: fin dagli albori gli Shellac hanno preferito divulgare la propria musica in modo a dir poco asettico, partorendo i loro album a cadenza casuale, senza alcuna logica se non quella dettata dal loro volere. Le conseguenze del loro operato si possono tradurre in poche perle rarissime, che non smettono di estasiare i fan di tutto il mondo. Un concetto di musica semplice ma quasi impossibile da riprodurre per chiunque altro, che fa di questo disco (e di tutti i precedenti) un piccolo tesoro da custodire: poche pillole da razionare fino al giorno in cui gli Shellac torneranno di nuovo, senza avvertire nessuno, per regalarci un altro assaggio della loro musica quasi sacra per quanto pura.

Gli Shellac saranno in tour in tutto il mondo e non mancheranno gli appuntamenti con la loro amata Italia. Qui di seguito le tre date di Bologna, Roma e Torino.

25 Maggio – INIT, Roma

26 Maggio – Locomotiv Club, Bologna

27 Maggio – CAP10100, Torino

Tags:album,alternative,articolo,dude incredible,hardcore,indie,Italia,musica,recensione,rock,shellac,steve albini

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