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Erano i tempi in cui le major si fiondavano su qualsiasi entità dell'underground. “Nevermind” dei Nirvana aveva sdoganato definitivamente l'alternative-rock, oltre ad aver portato capitali nelle casse della Geffen, e nella corsa all'oro le grandi label avevano sguinzagliato i cani da tartufo alla ricerca di ipotetici tesori nascosti nel sottobosco. Non era raro che si scovassero patacche.
Gli Shudder To Think non erano affatto delle truffe, anzi. Messi sotto contratto addirittura dalla Sony dopo aver già pubblicato ben quattro dischi - di cui tre per la Dischord di Ian McKaye dei Fugazi - nel 1994 tirano fuori dal cilindro Pony Express Record.
Piallati i bozzi di uno stile che nel precedente “Get Your Goat” era ancora grezzo, a venir fuori è un autentico gioiello pop-core dalle molteplici sfumature.
Il cantante Craig Wedren è un funambolo che zigzaga a destra e manca con le sue melodie che non tengono alcun conto delle heavy-rotation su MTV. Le sue linee vocali sanno essere ruffiane ma senza scadere nel paraculismo (Gang Of $, Kissi Penny), ammiccano al grunge dei Soundgarden nei passaggi più power-rock (X-French Tee Shirt, So Into You), rielaborano i paradigmi faithnomoreiani di Mike Patton (Hit Liquor, Sweet Year Child). Il suo stile mi ricorda l'imprevedibilità dell'avant-prog più ostico, vedi i maestri Thinking Plague.
Il manto strumentale è spesso in contrasto con i giri vocali di Wedren, senza per questo essere entità separate. Le chitarre sono acide e iper-dissonanti, quello degli Shudder To Think è un rock che rivisita il concetto stesso di riff all'interno di canzoni sbilenche e aspre.
Fatto di hardcore made in Washington D.C. e pop, il sound della band è permeabile ad altri linguaggi musicali. Questa elasticità permette di dare vita alla ballata jazz di Room 9, Kentucky e al meta-blues di Own Me. E il quadro complessivo si mantiene assolutamente coerente.
Fa una strana sensazione pensare che un disco del genere sia uscito addirittura per la Sony. Questa è roba per orecchie abituate alle dissonanze, alle fratturazioni melodiche, ai suoni abrasivi e agli incroci stilistici più arditi.
(1994, Sony Epic)
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