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Decadenza si, decadenza no; interdizione per cinque o per due anni; voto segreto, voto palese; frattura si, frattura no, lealisti e governativi; falchi, colombe, leonesse e ora pure i falchetti. Nel Pdl, nonostante gli innumerevoli richiami di Berlusconi alla sintesi, alla pacificazione interna, le antitesi la fanno da padrone. Il final countdown per il 27 novembre, giorno in cui è stato calendarizzato dalla Capigruppo il voto definitivo in Senato sulla decadenza del Cavaliere, è partito; ma prima del giorno della sua uscita, almeno formale, dai palazzi del potere, Berlusconi ha ancora un’altra importante partita da giocare, e da vincere. Sabato infatti si riunisce, salvo stravolgimenti dell’ultima ora, il Consiglio Nazionale del Pdl per sancire in maniera definitiva il passaggio a Forza Italia. La questione di fondo è se questo ritorno al passato produrrà vittime o meno. I cosidetti “alfaniani”, o come direbbe la Santanchè “alfanini”, dichiarano che continueranno a sostenere lealmente Berlusconi, ma altrettanto faranno nei confronti del governo Letta. Rivendicano poi, per la nuova FI, l’esigenza di un partito maggiormente strutturato e più democratico; Berlusconi, che se ne compiaccia o no, non potrà più essere la punta di diamante del Pdl. L’era dell’uomo solo al comando sta raggiungendo il suo termine naturale e la “pratica” successione deve essere aperta. Al contrario, i falchi si stringono attorno al loro indiscutibile leader, spronandolo a fare saltare il tavolo, anche prima del voto sulla decadenza, senza avere però un progetto granché definito.
Se infatti l’intero Pdl togliesse la fiducia al governo, due orizzonti si prospetterebbero: un deprecabile, per quanto probabile, governo Pd-M5S, che abbia all’ordine del giorno la modifica del Porcellum oppure elezioni subito. Nel primo caso il centrodestra rimarrebbe isolato all’angolo, senza alcun possibilità di avere forza contrattuale nella redazione della nuova legge elettorale; nel secondo verrebbe letteralmente smantellato da Renzi.
Il sindaco di Firenze non aspetta altro che elezioni immediate. Proprio ora, che i sondaggi lo consacrano vincitore, sfruttando la debolezza di un centrodestra con un leader impresentabile e che non ha ancora scovato il nascondiglio del quid di Alfano, che dovrebbe essere il suo più temibile competitor.
Ecco allora che né a Silvio, né ad Angelino conviene lo strappo. Berlusconi deve rassegnarsi alla decadenza, o al meglio cercare di rinviarla ancora, magari con l’aiuto dei propri ministri. Alfano deve continuare a rimanere nella culla berlusconiana, ma alfanizzandola. Deve cioè cercare, pur sotto l’egida berlusconiana, di rifondare il partito, di purgare gli impresentabili, di fare la propria Forza Italia, senza tradirne il fondatore.
Berlusconi è stato per vent’anni il centrodestra italiano e ancora oggi gode, nonostante tutto, di un gradimento popolare su cui nessun’ altro esponente del suo schieramento può contare. Non si può eliminarlo,non ci se ne può distaccare (ameno di non volere replicare il “successo” di Fini), ma bisogna accompagnarlo alla pensione con lealtà, ricevendone in cambio l’investitura.
Sia Alfano che Berlusconi sono assolutamente consapevoli di quanto sarebbe irresponsabile e traumatica una rottura adesso. Ecco perché le discussioni di questi giorni, l’andirivieni tra riunioni nei vari palazzi del potere, non sono niente di più che naturali conseguenze di un inevitabile assestamento di un partito complesso, che deve trovare un nuovo fuoriclasse e quindi una nuova linea. Le dichiarazioni al veleno dei vari Santanchè, Bondi, Capezzone e Verdini da una parte, di Cicchitto, Formigoni e i ministri dall’altra non sono che la plastica rappresentazione di una lotta tra galline per un mozzicone di pane. Il centrodestra italiano può fare a meno di loro. Silvio e Angelino liberatevi delle zavorre mal consigliere e, con tanti giovani, riprendetevi insieme in mano il partito. Giovani competenti e meritevoli, non i falchetti della Santanchè, mi raccomando.