Si fa presto a dire Italia. Anche perché, come ha riassunto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, "ne abbiamo passate tante". All'Italia del 1861 mancano Roma, Trento e Trieste. Un
secolo esatto fa, contro l'Italietta imbelle, si muove la grande proletaria di Zvanì Pascoli con la campagna di Libia. Il socialista Mussolini è contrario, sradica binari ferroviari. I futuristi
predicano la guerra "sola igiene del mondo". Poi ci si mette anche Gabriele D'Annunzio. Le disgrazie non vengono mai sole.
Allo scoglio di Quarto il 5 maggio 1915 si inaugura il monumento ai Mille di Garibaldi con un discorso ufficiale interventista di D'Annunzio. Il governo di Antonio Salandra lo ha letto in
anticipo, decidendo: né primo ministro né re sarebbero intervenuti alla cerimonia. Il 13 maggio Salandra si dimette. Il neutralista Giovanni Giolitti ha un appoggio politico superiore a quello di
Salandra. Le sue dimissioni sono respinte dal re. D'Annunzio in un comizio al teatro Costanzi di Roma, incita il pubblico ad ammazzare Giolitti. Nel 1921 il poeta inventa la "Vittoria mutilata",
con la marcia su Fiume. L'anno dopo, altra marcia (in carrozza-letto) su Roma, di Mussolini.
I Savoia, che hanno fatto l'Italia, cominciano a disfarla. Il re non firma il decreto del governo per lo stato d'assedio. Poi il 25 luglio 1943 fa arrestare "il cavalier Benito Mussolini". Nel
1938 il re ha firmato le infami leggi razziali. La sera dell'8 settembre 1943 il re fugge con il governo da Roma. I militari sono lasciati in balìa di loro stessi. I comandanti gli dicono: "Se
riuscite ad andare a casa, potete farlo". Il 9 novembre la Repubblica di Salò li richiama alle armi.
Sino al 25 aprile 1945 il secondo Risorgimento si chiama Resistenza. Il primo aveva voluto (spiega lo storico Emilio Gentile) "affermare il merito e le capacità dell'individuo contro il
privilegio di nascita e di casta". Da qui deriva l'art. 1 della nostra Costituzione del 1948, la Repubblica è "fondata sul lavoro", per rifiutare l'idea di uno Stato basato su quel
privilegio.
Nel 1935 a Parigi gli esuli di Giustizia e Libertà hanno discusso sull'Italia generata dal Risorgimento e madre del fascismo, "prototipo della moderna barbarie, che per di più pretendeva di
rappresentare la provvidenziale conclusione del Risorgimento stesso". Sono parole dello storico Claudio Pavone. Due di quegli esuli nel 1937 sono stati uccisi in Francia, i fratelli Carlo e Nello
Rosselli. "Ne abbiamo passate tante". [1033]
Antonio Montanari
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il Ponte, Rimini, 27 marzo 2011