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Sì, siamo femministe. Ecco perché/3

Da Femminileplurale

Pubblichiamo la terza ed ultima parte della relazione che abbiamo tenuto al convegno Corpi e ruoli di genere tra stereotipi e realtà.

Dal personale al politico: un programma per il neo-femminismo

Sì, siamo femministe. Ecco perché/3
Il video che abbiamo presentato si conclude con una citazione di Simone De Beauvoir: “Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi”. Quanto segue intende spiegare il senso di quella citazione, e il profondo senso politico che – a dispetto dell’apparenza da Bacio Perugina – questa frase ha secondo noi.

Il femminismo degli anni ’70 – prima di essere, o meglio proprio per poter essere il movimento politico che è stato – è passato per un processo fondamentale, che è stata l’autocoscienza, ossia la presa di coscienza, da parte delle donne, di se stesse, del loro corpo, della loro esistenza. In questo senso il personale era politico: perché prima di tutto era necessario che le donne comprendessero che i loro problemi non erano soltanto i loro problemi, non erano cioè problemi individuali, ma avevano piuttosto una forte rilevanza politica in quanto problemi di tutte le donne, problemi di genere.

Oggi la situazione delle donne, la loro vita, il rapporto con il corpo sono completamente cambiate, da un certo punto di vista, perché è cambiato il mondo, è cambiata la nostra società, è cambiato il modo di lavorare ed è cambiato il rapporto tra i sessi: anche se questo non significa certo che le questioni legate alla vita delle donne e al loro ruolo nella società siano risolte. È necessario, tuttavia, passare ancora per quel processo di presa di coscienza che negli anni ’70 ha fatto sorgere e ha nutrito l’ondata dei movimenti femministi. Non abbiamo più bisogno di odiare gli uomini, certamente, ma altrettanto certamente abbiamo bisogno di diventare consapevoli del fatto che il nostro personale, ancora una volta, ha una forte e irrinunciabile valenza politica: è necessario, tanto per cominciare, diventare consapevoli dell’immenso e potente giogo che la dittatura della bellezza – di cui abbiamo parlato nella seconda parte della relazione – impone sulla libera espressione di noi stesse, sul tempo a nostra disposizione, sulle nostre scelte quotidiane, sul modo in cui ci poniamo nei confronti degli altri.

L’ossessione per la bellezza – ma usare il termine bellezza ci mette su una strada che a sua volta non ci piace, perché la bellezza è qualcosa a cui non vogliamo rinunciare, perché è una componente importante della nostra vita, e un diritto – l’ossessione per la bellezza e soprattutto l’imposizione di un unico, specifico modello di bellezza, impedisce di sviluppare un proprio gusto, un proprio modo di essere, impone un’idea di perfezione irraggiungibile che fa sentire costantemente inadeguate (e sempre più spesso inadeguati), conduce a investire moltissimo tempo nella missione impossibile di adeguarvisi, sottraendolo ad  altre attività, e ci pone in una relazione falsata con le persone che ci stanno intorno.

Ciò che però, a nostro avviso, rappresenta il pericolo peggiore, è che queste dinamiche mostrano una connessione molto stretta con la concezione della donna come di un oggetto – di volta in volta oggetto sessuale, decorativo ecc. ecc. E concepire una persona come un oggetto è il primo passo per non considerarla degna di rispetto e di considerazione nella sua interezza. Di qui lo svilimento del ruolo femminile sulla scena pubblica, che è stato al centro delle manifestazioni del 13 febbraio, le quali però si sono concentrate sulla decenza, sul decoro (si veda l’appello che ha lanciato “Se non ora quando”), e non tanto sulla rivendicazione forte e determinata, e dunque tradotta in richieste precise, di diritti e di uno spazio sociale riconosciuto.

Un’azione politica collettiva ed efficace, secondo noi, richiede prima di tutto una presa di coscienza dei singoli rispetto alla loro situazione personale. Uscire dalla convinzione che la propria situazione sia “normale”, o che i nostri problemi con il lavoro, con la mancanza di prospettive o di opportunità, con la violenza o con le pubblicità offensive riguardino solo noi, e farne un discorso politico di ordine generale.

Le rivendicazioni concrete di un movimento femminista oggi potrebbero essere, tanto per cominciare le seguenti:

- imposizione di una regolamentazione delle pubblicità e dei programmi televisivi: penso alla Gran Bretagna (mi pare ne parli Lorella Zanardo ne Il corpo delle donne), dove è vietato usare il corpo di una donna per pubblicizzare prodotti che non abbiano nulla a che fare con esso. Si potrebbe anche imporre, penso, la presenza maschile nelle pubblicità dei prodotti per la pulizia e la cura della casa: tanto per iniziare a pensare in modo diverso;

- promozione di campagne pubbliche contro i disturbi alimentari, che includano la predisposizione di servizi sociali e sanitari capillari su tutto il territorio, un adeguato lavoro di educazione nelle scuole e in tutti i luoghi frequentati dai giovani; naturalmente questa azione andrebbe inserita nel  contesto di un lavoro culturale molto più ampio;

- dura lotta alla pratica delle dimissioni in bianco;

- regolamentazione del lavoro precario: questo vale per uomini e donne, ma chiaramente queste ultime sono le più svantaggiate in termini di tutela della maternità, che anzi diventa un miraggio per la generazione delle attuali trentenni;

- implementazione della rete degli asili nido pubblici: questione annosa ormai da anni, che occorre risolvere;

- congedo parentale per entrambi i genitori (e qui ci sarebbero molti esempi positivi, in particolare nei paesi nordici);

- adeguato sostegno sanitario e sociale alle disabilità;

- ripristino e aumento sostanziale dei finanziamenti alla scuola per garantire tempo pieno e insegnanti di sostegno (non così);

- educazione sessuale in tutte le scuole, modifica della legge 40 sulla fecondazione assistita, piena applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza (garanzia della possibilità di ricorrere all’aborto, ed effettiva applicazione della parte relativa al sostegno alla maternità, ad esempio predisposizione dei famosi strumenti per “rimuovere gli ostacoli di natura economica”) implementazione dell’uso della RU486 (pillola abortiva), ampliamento e rafforzamento della rete dei consultori (altro che proposta di legge Tarzia LINK);

- assunzione di misure contro la violenza sulle donne da parte dello Stato: centri anti-violenza finanziati con fondi pubblici, forme di supporto all’empowerment femminile (sostegno nell’accesso al lavoro e in generale nell’acquisizione di indipendenza e sicurezza per coloro che escono da situazioni familiari di violenza e sottomissione).

Questo è soltanto un inizio: chiunque voglia intervenire con le sue proposte, è il benvenuto.

Per chi se lo fosse perso, questo è il video:


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