Internazionalismo. Parola oramai caduta in disuso, forse perchè di uso comunista, ma comunque sinonimo della cattolica fratellanza universale, volendo rabbonire i moderati. Il 1° Maggio è la festa dell’internazionalismo del lavoro, inteso come filo conduttore che unisce i lavoratori di ogni parte del pianeta, lì unisce in difesa gli uni degli altri, li unisce per il miglioramento della vita degli uni e degli altri. Oggi le realtà sovranazionali quali l’Unione Europea, Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale (giusto per citare le prime tre che mi vengono in mente) sono incapaci di governare i processi economici nei quali tiranneggia il non-sense della speculazione finanziaria. I diritti dei lavoratori sono ritenuti un’ostacolo per la ripresa economica, ma ripresa di cosa? Di questo sistema? Non ne vale la pena, c’è di più, c’era di meglio e ci sarà. Questa situazione rende indispensabile ri-identificare un nesso internazionale che difenda i diritti acquisiti con il sangue dei nostri padri, nonni e bisnonni e che costruisca i nuovi diritti per i nostri figli. C’è una splendida metafora che si cela dietro il sogno della rivoluzione come di un qualcosa che è sempre proiettata nel futuro ed è la non importanza del presente inviduale. E’ un carpe diem all’incontrario, afferrare oggi quello che ti servirà anche domani, è l’eroismo dell’uomo qualunque, di quelli che si spaccano la schiena, è la non importanza del semplice interesse personale, questo perchè c’è sempre un qualcosa di più grande per cui lottare tutti insieme, un qualcosa che come dice Gaber “oggi no, domani forse ma dopodomani avverrà sicuramente”. L’internazionalismo era questo, erano tutti i padri operai che hanno fatto la loro rivoluzione mandando i figli all’univeristà, i miei unici eroi, e che sono una specie di stella polare che ognuno, in ogni punto del pianeta, può vedere e che aiuta a stare al mondo sempre e solamente dalla parte dei popoli.







