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Sin City, una donna per cui uccidere – La recensione

Creato il 27 settembre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Maurizio Ermisino

Summary:

“Questa putrida città quello che non corrompe lo insudicia”. Parole di Nancy (Jessica Alba), la spogliarellista che avevamo conosciuto e imparato ad amare in Sin City. Sin City – Una donna per cui uccidere, che continua il discorso di Frank Miller e Robert Rodriguez a nove anni di distanza, ci conferma, in parole e immagini, quello che sapevamo: nell’universo di Frank Miller, un mondo in bianco e nero e rosso sangue, il nero avvolge ogni personaggio, fisicamente e idealmente. Lo circonda, lo penetra, lo rinchiude in una prigione da cui non potrà mai scappare. Nel secondo film della serie si incrociano altre storie di disperazione urbana: un giocatore d’azzardo (Joseph Gordon-Levitt) sfida a poker un potente senatore; la nostra amata Nancy vive con il ricordo di Hartigan (Bruce Willis), che ha dato la vita per lei, e vuole vendicarlo; ritroviamo poi Dwight (Josh Brolin, nel ruolo che era di Clive Owen), in un episodio precedente al primo Sin City, quando era ancora soggiogato dalla femme fatale Ava Lord (Eva Green), una sua ex fiamma (del peccato), che gli chiede di uccidere il marito. È lei, irresistibile, la donna per cui uccidere. In queste storie c’è anche Marv, il gigante buono di Mickey Rourke.

Un nero che avvolge e imprigiona. E lo fa ancora di più in Sin City – Una donna per cui uccidere: il nuovo formato 3D in cui è girato il film ha proprio questo effetto. Una delle curiosità maggiori in questo secondo capitolo della serie di Miller-Rodriguez era legata proprio a questo aspetto: un film/fumetto proiettato in stereoscopia è apparentemente un ossimoro.

Sin City 2014

Sin City è qualcosa di più che un film tratto da un fumetto, è un vero e proprio nuovo genere, una contaminazione/ibridazione perfetta tra due forme d’arte: gli attori, ripresi davanti al green screen, sono letteralmente incollati su sfondi che sono proprio le pagine di un fumetto, non vivono nel mondo reale ma in delle strisce stilizzate in bianco e nero. Un mondo “piatto” per definizione come quello del fumetto avrebbe potuto essere snaturato dal 3D. Invece finisce per prendere vita, per alzarsi come se stessimo leggendo un libro pop-up, per avvolgerci e trascinarci dentro a quel mondo. Il nero finisce per esplodere e per arrivare fino in sala.

Ma siamo noi ad entrare nel fumetto, e non i personaggi ad uscire. Icone stilizzate dal grande impatto, i personaggi di Sin City (su tutti il Marv di Rourke e la Ava Lord di Eva Green) funzionano fino a bucare lo schermo, ma rimangono pur sempre personaggi di carta che prendono vita. È forse per questo che non riusciamo ad appassionarci fino in fondo, ad essere avvinti completamente dalle loro storie, che forse sono troppo semplici, schematiche e leggermente ripetitive. È il solito limite del cinema di Rodriguez (e Miller, vedi The Spirit), rispetto al cinema di Tarantino, le cui figure iconiche sono così vive da farci sentire il loro dolore. Ma qui, e con il primo Sin City, Rodriguez firma comunque le sue opere migliori, in cui il B Movie non rimane cinema di serie B (come in Planet Terror e Machete), ma diventa cinema di serie A grazie alla grandissima qualità visiva. Piacciano o no, Rodriguez e Miller hanno creato uno stile assolutamente nuovo, unico, inconfondibile. È un cinema nuovo che, in un infinito gioco di specchi (a proposito, occhio all’ultima scena) riflette un fumetto che a sua volta si specchia nel cinema, quello del noir e dell’hard boiled anni Quaranta. Pioggia, cappelli a tesa larga, soprabiti sbattuti dal vento, abiti succinti e labbra rosse, uomini eterni perdenti massacrati di botte in cerca di riscatto: gli stilemi del noir ci sono tutti. E prendono nuova vita. Dentro Sin City c’è il noir di Chandler e Spillane, ma anche le luci di Caravaggio e dell’Espressionismo tedesco che “tagliano” la scena. I Marv e i Dwight di Sin City sono la versione in pixel, i cloni geneticamente modificati dei Mike Hammer e dei Marlowe, eterni perdenti dalle vite in chiaroscuro. Come le abbaglianti immagini di Sin City.

Di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net


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