Se soffro sto amando?
Le relazioni hanno una duplice valenza, possono aiutarci, possono portarci alla dannazione. Ci sono storie d’amore che ci fanno ammalare. Una convinzione che è largamente sostenuta da un punto di vista culturale è che ama davvero chi soffre chi soffre. Un po’ come tanti classici di letteratura ci hanno insegnato, pensiamo aiLeiden des jungen Werthers, nella traduzione italiana “I dolori del giovane Werther” di Goethe. Werther incontra Lotte ad un ballo, e presto scopre di non poter coronare il suo crescente desiderio affettivo, perché Lotte già promessa in sposa ad Albert. Werther non si libera facilmente dell’ossessione per Lotte ed è lei stessa a porgergli le pistole con le quali si ucciderà.
Ci sono donne, ma anche tanti uomini che sentono la propria autenticità nel patire le pene dell’inferno per conquistare il proprio amato/a, sfuggente, anaffettivo/a, strisciante. La cultura è un prodotto dell’essere umano, e tale convinzione non ha fatto altro che dilagare come un cancro nella letteratura, nelle opere d’arte, e continua ad esserci anche nelle più recenti fiction e soap opera: donne che soffrono per amore, davanti a uomini dagli occhi vitrei, algidi, dove l’unico fuoco di paglia che riescono ad attivare è un impasse sessuale. E dopo il fuoco di paglia, di nuovo il tormento. Lo stesso vale per uomini che vanno dietro a donne, il cui unico gesto d’amore é passare sopra il loro petto con i tacchi a spillo, o prenderli al guinzaglio come un cagnolino e portarli a svuotare il loro portafogli nel primo negozio di borse in pelle di coccodrillo della città. Uomini e donne la cui vista si ferma agli occhi, e al terrore di perdere lo specchio che afferma la loro bellezza e acume, che garantisce loro l’immagine di Narciso che si specchia sul lago. Spesso soffrire diventa esaltazione e glorificazione per una persona che in realtà non è interessata, e se si interessa, lo fa solo nei momenti in cui gli si fa da specchio che gli dice che è “il più bello/la più bella del reale”. Perché si, ogni tanto qualche osso senza polpa viene dato. Si, amori non ricambiati e relazioni decisamente tossiche, che dovrebbero essere interrotte immediatamente. Così tante donne e uomini, che in fondo credono che la profondità dell’amore si misuri con il grado di sofferenza provata, trovano conferma in questi esempi e cristallizzano matrici affettive con un marchio a fuoco: amare significa soffrire ed essere deprivati nei propri bisogni affettivi più profondi. E così si risprofonda in una palude, in solitudine. Tutto diventerebbe probabilmente più noioso se venissero proposti modelli di relazioni che funzionano. Relazioni mature, reciproche, che producono affetto, intimità, rispetto. E perfino certe donne, ma anche alcuni uomini, si annoiano all’idea di non soffrire per amore. Non lo sentono vero. C’è sempre l’idea di “conquistare la statua di cristallo“, e questa richiesta è spesso molto attivante in certi soggetti. La consapevolezza della pericolosità di questo messaggio sull’amore che sempre più spesso, e talvolta anche in maniera violenta viene proposta, è importante che orienti verso una graduale rinuncia di tutto ciò che è “conquista”, di tutto ciò che è “sentire il tormento” per un amore che non c’è, e accettare di essere visti da occhi che vedono, e non da occhi vitrei, essere toccati da cuori che battono, ed essere riscaldati dal calore di un abbraccio.
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