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Solaris (di S. Soderbergh)

Da Pim

(Scritto il 4 aprile 2003 per Kataweb Forum Cinema)

Solaris
Avevo addirittura superato la repulsione istintiva per i remake, i rimaneggiamenti, i rimasticamenti – chiamateli come vi pare. E anche per le Multisale berlusconiane, con i popcorn, la cocacola e tutto il resto. Avevo deciso di evitare qualunque paragone con Tarkovskij, che sarebbe stato fatale per i nervi. Mi ero imposto di dimenticare quella sera d’estate fine anni ’70, quando la Rai passò Solaris in prima serata (altri tempi): non ci capii niente, tuttavia colpì il mio immaginario con un gancio sinistro. E quando, sei o sette anni fa, lo rividi sul grande schermo in tutta la sua policroma magnificenza: non ci capii di nuovo niente, ma continuò ad affascinarmi.

Niente da fare. Più che Solaris, questo di Soderbergh è un Solarium. In ogni caso, una sòla. La risposta americana alla risposta sovietica dell’Odissea di Kubrick: nell’ospizio, più che nello spazio. Un bel marasma, insomma. Per carità: l'adattamento del mitico film del ‘71 è ben confezionato, ben fotografato, diretto e recitato con diligenza. Ma è incerto sulla direzione da prendere: in alcune parti appare vago e quasi pago di confondere lo spettatore, in altre squaderna ogni cosa sino alla ridondanza. Mischia la metafisica con l’educazione fisica, la psicologia con la parapsicologia, l’inconscio con il prosciutto un tanto il chilo. Tarkovskij sosteneva che il significato morale della vita umana non poteva essere decifrato attraverso il progresso tecnologico, e che l’idea di un mondo guidato dalla tecnologia appariva inconciliabile con la ricerca della libertà. Soderbergh trasforma invece l’allegoria cosmica nel carro allegorico di una love story supernaturale, fredda, sprovvista di pathos. E il turbamento misterioso, ossessivo, che pervadeva la versione originale si liquefa nel glamour della confezione hollywoodiana. Più prosaicamente mi chiedo: perché un regista come Soderbergh ha deciso di cimentarsi con la SF? Per dire, sarebbe come se Schumacher cominciasse a disquisire di teologia o Trapattoni si mettesse a fare l’uncinetto. E Giorgione Clooney? Sarà anche il Clark Gable del 2000, avrà le chiappe più sode del reame, ma il suo faccione è espressivo come una stufa a kerosene.

Permettetemi un’ultima considerazione. Solaris versione 2003 dimostra in modo lampante che non è questo il tempo per porsi domande di sapore esistenziale – del tipo chi siamo e dove stiamo andando. Meglio lasciar correre certe questioni. Le soluzioni ottimistiche che una certa mentalità corrente ci suggerisce (e Hollywood convalida, vedi anche Minority Report) non sono che un’illusione. La filosofia (spicciola) di questo Solaris puzza fastidiosamente di new-age, altro che “ho visto cose che voi umani…”. Dunque, meglio evitarsi certe inquietudini intellettuali e sopire il desiderio di giungere ad una risposta che non sia semplicemente consolatoria. E comportarsi piuttosto come il nostro Giorgione della pubblicità, ovvero imbucarsi in un party scacciapensieri. Con l’avvertenza di portarsi dietro qualche cassa di Martini, altrimenti correremmo seriamente il rischio di ricevere una porta in faccia. E così, dopo esserci persi le navi spaziali alle porte di Tannhäuser, perderemmo pure l’occasione per baccagliare un po’. Cosa che sarebbe davvero, davvero insopportabile.

Solaris, di Steven Soderbergh, con George Clooney, Ulrich Tukur, Natacha McEhone, Jeremy Davies (Usa, 2002, 98’). Venerdì 3 settembre, Iris, ore 21,05.

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