Magazine Astronomia

Solo un aperitivo

Creato il 26 settembre 2010 da Stukhtra

Impressioni a caldo su libro divorato in tre ore

di Marco Cagnotti

Solo un aperitivo
Io non faccio marchette. Mai fatte. Capita talvolta che un amico mi faccia recapitare il suo ultimo libro dall’ufficio stampa della casa editrice o che un’azienda mi offra un computer o un software in prova. Lo scopo è chiaro: vogliono una recensione. La prassi disgraziata invalsa nel mondo del giornalismo italiano vuole che la recensione debba sempre essere positiva. Una marchetta, appunto. Beh, io non ne faccio. E ad amici, conoscenti e PR lo dico subito: “Grazie, ma guarda che se non mi garba lo scrivo. Se devo stroncare, stronco”. Qualcuno rischia. A volte va bene, perché il libro merita, e a volte va male, perché è una ciofeca. Se proprio sono culo e camicia con l’autore del libro, di fronte all’inevitabilità della stroncatura lascio perdere e la recensione non la faccio proprio. Sicché se parlo bene di un libro vuol dire che merita davvero.

Non potrei spingermi ad affermare che Amedeo Balbi è un mio amico. Per essere amici bisogna conoscersi da tanto tempo e avere a lungo condiviso esperienze, pensieri, sensibilità, confidenze. E non è questo il caso. Però Balbi è un simpatico, giovane cosmologo che ho avuto il piacere di conoscere di persona alcuni mesi fa, quando ha accettato di venire in Svizzera per tenere una conferenza. Lo tenevo d’occhio da un po’ seguendo il suo blog, Keplero. Mi aveva confermato le capacità comunicative di Balbi una persona della quale mi fido: Corrado Lamberti. E aveva ragione: è bravo, il Balbi. La racconta bene, chiara, pulita, avvincente. E’ pure una persona simpatica e di buone letture. Soprattutto non è schizzinoso: non si fa scrupolo nel mescolare la cultura alta con quella bassa (sempre ammesso che questa distinzione abbia un senso), i classici con il pop. Una sera davanti a una pizza mi rivelò che alcune brevi biografie di astronomi scritte per Keplero erano piaciute a De Agostini e che l’editore aveva intenzione di ricavarne un libro, in quel momento già in lavorazione. “Quando esce te ne faccio spedire una copia”, mi disse. Per gentilezza, presumo: Amedeo Balbi mi sembra troppo giovane per essere già entrato nell’ottica della marchetta.

Del libro, Seconda stella a destra, Stukhtra aveva parlato in una recensione preliminare, basata su quanto era già disponibile sotto forma di ebook. La versione cartacea, più sostanziosa e completa, m’è arrivata venerdì, l’ho iniziata sabato dopo cena e l’ho finita verso mezzanotte: 200 pagine in tre ore. E’ andata giù che è un piacere: da non riuscire a scollarsi. Che poi, volendo, ci si potrebbe scollare quando si vuole. Anzi, sarebbe ideale anche come libro da comodino: capitoli da quattro o cinque pagine ciascuno, giusto il necessario prima di spegnere la luce. Ma non ci provare: questo libro, come sonnifero, è un fallimento totale. Perché alla fine di ogni capitoletto ti dici: “Dai, son solo quattro pagine. Me ne faccio un altro. Giusto solo un altro e poi smetto”. Solo che non smetti, e dopo un altro ne viene un altro ancora e alla fine arrivi all’ultima pagina e s’è fatta notte fonda.

Il sottotitolo è chiaro: “Vite semiserie di astronomi illustri”. Semiserie e sintetiche. Balbi non ha alcuna pretesa di completezza accademica nel descrivere le vicende scientifiche e umane di mostri come Galileo, Newton e Einstein, ma anche di figure meno note come Russell o Hoyle e perfino sconosciute ai più come Bradley e Payne-Gaposchkin. Non vuole saziare la tua fame. Macché: il libro è solo un antipasto, anzi un aperitivo di assaggini sfiziosi. C’è sostanza scientifica insieme a colore, aneddoti, vita vissuta. Tutto raccontato con linguaggio colloquiale e moderno. Così Galileo Galilei diventa un geek e Fred Hoyle un Pierino. C’è, soprattutto, la precisa percezione di vite vere, reali, concrete, di gente un po’ cocciuta e un po’ sfigata, geniale ma anche no, magari solo tenace nel perseguire un’idea originale. Gente che si barcamena fra carriere accademiche, mille mestieri diversi, discriminazioni di genere, paure di persecuzioni, ubbie e pregiudizi premoderni, handicap fisici. Tutti però con lo stesso denominatore: sono mossi dalla curiosità verso il cielo. Si chiedono come funzionano e come evolvono gli oggetti che lo popolano. Poi magari alcuni di loro pensano e concludono e scrivono cazzate (almeno, noi oggi le consideriamo cazzate, ma chissà quante nostre teorie saranno cazzate agli occhi degli astrofisici del XXIV secolo), ma non importa: si capisce che contano più le domande delle risposte.

Già, le domande. Il lettore comune in queste biografie sente parlare di modello ticoniano e di materia oscura così, en passant, e magari vorrebbe saperne di più. Balbi sa che l’abilità del buon divulgatore consiste nell’immedesimarsi nel target: “Se non capissi niente di questa roba, che cosa vorrei sapere?”. Ecco allora che aggiunge alla fine alcuni capitoli non biografici: gli spiegoni. Anche lì, poche pagine ciascuno. “Facile”, vien da dire. “Per niente”, vien da rispondere. Prova un po’ a raccontare le leggi di Keplero in tre pagine o l’evoluzione stellare in quattro. A scrivere articolesse son capaci tutti, ma per andare al sodo ci vogliono idee chiare e capacità di sintesi. A Balbi non mancano né le une né l’altra.

Così arrivi alla fine e t’incazzi. Perché ne vorresti ancora. Come quando i vassoi degli stuzzichini si svuotano troppo in fretta. D’altronde era solo un aperitivo, no? E Balbi è esplicito: “Se questo libro dovesse stimolarvi l’appetito per l’astronomia – cosa che mi auguro – avrete tutte le possibilità di riempirvi la pancia altrove”.


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