Ricordate lo Zuckerberg di The Social Network interpretato da Jesse Einseberg, il nervosismo dei movimenti, le parole sparate a raffica, le conversazioni dal vivo gestite come botta e risposta da chat e, in generale, il tentativo disperato di redimere con la moltitudine del virtuale il fallimento delle relazioni umane? Ebbene, Fincher ha girato Millenium - Uomini che odiano le donne come se fosse la conversazione tra Zuckerberg e la fidanzata che apriva il suo lavoro precedente: nervosa, esagitata, sul punto di esplodere. Il film non si ferma un attimo, per due ore e quaranta monta una scena dopo l'altra a ritmo sostenuto, riprendendo il proprio movimento forsennato nella velocità di movimenti di Lisbeth, che ovviamente è la segreta detentrice del racconto, che cammina, osserva, spia, indaga, scopre, dando sempre l'idea di saper quel che fa, di non fallire il colpo, come se a ogni azione ne seguisse una della stessa entità, il cui esito è previsto e determinato. Il cinema di Fincher questa volta si fa razionale e infallibile, laddove, al contrario, Zodiac si costruiva sulla supposizione incerta di un detective, sui fatti mai riscontrati di una trama omicida realmente avvenuta. Non per questo, però, Uomini che odiano le donne poggia su un impianto solido e preciso: anzi, viene il dubbio che l'agitazione che si respira per tutto il film sia creata appositamente per mascherare il nulla dietro una trama prevedibile. Sarà un caso che nella sequenza chiave del film, quella in cui Blomqvist arriva a capire l'identità del colpevole, altrettanto faccia Lisbeth, ma da un'altra parte però, e che dunque il risultato di dieci minuti di montaggio alternato sia la stessa conclusione raggiunta dai due detective, non a caso personaggi simmetrici e uno l'annullamento dell'altro? No, non credo sia un caso. Uomini che odiano le donne è un film sul doppio e sulla ripetizione come unica risorsa del racconto contemporaneo: racconto che, non a caso, manca quasi del tutto, che porta nello stesso posto in cui si è sempre stati, che nasce da una sostituzione e che a un certo punto incontra la propria soluzione e non si accorge di nulla. Credo insomma che quello di Fincher sia, nel bene e nel male, il perfetto thriller dei nostri tempi, la somma zero alla fine di un movimento eccessivo in cui ogni scena o addirittura sequenza è anestetizzata dalla seguente. Come Lisbeth, che non fallisce mai, che sa sempre tutto, che non conosce ostacoli, ma resta sempre sola.
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Ricordate lo Zuckerberg di The Social Network interpretato da Jesse Einseberg, il nervosismo dei movimenti, le parole sparate a raffica, le conversazioni dal vivo gestite come botta e risposta da chat e, in generale, il tentativo disperato di redimere con la moltitudine del virtuale il fallimento delle relazioni umane? Ebbene, Fincher ha girato Millenium - Uomini che odiano le donne come se fosse la conversazione tra Zuckerberg e la fidanzata che apriva il suo lavoro precedente: nervosa, esagitata, sul punto di esplodere. Il film non si ferma un attimo, per due ore e quaranta monta una scena dopo l'altra a ritmo sostenuto, riprendendo il proprio movimento forsennato nella velocità di movimenti di Lisbeth, che ovviamente è la segreta detentrice del racconto, che cammina, osserva, spia, indaga, scopre, dando sempre l'idea di saper quel che fa, di non fallire il colpo, come se a ogni azione ne seguisse una della stessa entità, il cui esito è previsto e determinato. Il cinema di Fincher questa volta si fa razionale e infallibile, laddove, al contrario, Zodiac si costruiva sulla supposizione incerta di un detective, sui fatti mai riscontrati di una trama omicida realmente avvenuta. Non per questo, però, Uomini che odiano le donne poggia su un impianto solido e preciso: anzi, viene il dubbio che l'agitazione che si respira per tutto il film sia creata appositamente per mascherare il nulla dietro una trama prevedibile. Sarà un caso che nella sequenza chiave del film, quella in cui Blomqvist arriva a capire l'identità del colpevole, altrettanto faccia Lisbeth, ma da un'altra parte però, e che dunque il risultato di dieci minuti di montaggio alternato sia la stessa conclusione raggiunta dai due detective, non a caso personaggi simmetrici e uno l'annullamento dell'altro? No, non credo sia un caso. Uomini che odiano le donne è un film sul doppio e sulla ripetizione come unica risorsa del racconto contemporaneo: racconto che, non a caso, manca quasi del tutto, che porta nello stesso posto in cui si è sempre stati, che nasce da una sostituzione e che a un certo punto incontra la propria soluzione e non si accorge di nulla. Credo insomma che quello di Fincher sia, nel bene e nel male, il perfetto thriller dei nostri tempi, la somma zero alla fine di un movimento eccessivo in cui ogni scena o addirittura sequenza è anestetizzata dalla seguente. Come Lisbeth, che non fallisce mai, che sa sempre tutto, che non conosce ostacoli, ma resta sempre sola.
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