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Sono senzatetto? Si facciano prestare un attico

Creato il 13 aprile 2014 da Albertocapece

untitledAnna Lombroso per il Simplicissimus

C’è poco da chiedersi perché a questo ceto politico non piaccia proprio la Costituzione, scritta da parrucconi, professoroni, sapientoni, proprio quella categoria che il presidente protervamente dileggia, preferendo loro disinvolti faccendieri, tenaci squinzie, sbrigative “intelligenze” digitali, le cui dita accarezzano il suo ego insieme agli interessi di pochi.

Ieri a Roma si manifestava per la casa, diritto primario e fondamentale, con un risvolto paradossale in un Paese pieno di case senza gente e di gente senza casa.

E una delle icone del Pantheon di Renzi, sindaco di Firenze prima di lui, che avevo proprio collaborato alla redazione della Carta, decise di darle piena attuazione laddove assegna allo Stato il compito di creare azioni positive per rimuovere quelle barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentono a ciascun cittadino di realizzare pienamente la propria personalità, rimuovendo gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza, assegnando case vuote e sfitte a nuclei familiari senza alloggio. C’è da immaginare che dall’Olimpo delle figure di riferimento del premier, La Pira precipiterà istantaneamente nel novero dei fastidiosi intellettuali dei suoi stivali, velleitari, moralisti, arcaici, come tutti quelli che sollevano obiezioni politiche, culturali, sociali, o peggio che mai, danno l’esempio, frapponendo ostacoli al suo dinamismo, al suo attivismo frenetico: metti per levare, leva per dare a altri, pochi, sempre gli stessi.

E chissà come gli avranno fatto piacere gli incidenti di ieri, a conferma che chi protesta non è più solo un disfattista, che chi reclama ed esige non è solo qualcuno che non ha saputo conquistarsi il necessario, per indolenza, inettitudine, inadeguatezza, ma è anche, naturalmente e indiscutibilmente, fuori della legalità. Quindi gli sta bene che per legge, come stabilito nel «Piano casa per l’emergenza abitativa» del Governo ci sia nero su bianco il divieto di allacciare i pubblici servizi essenziali, acqua e corrente elettrica, negli alloggi occupati abusivamente. Mentre non si fa menzione di ben altri abusi, quelli edilizi, che hanno permesso, in un regime di condoni, perdoni, semplificazioni, anticipando e confermando quella isterica lotta alla burocrazia che già si accompagna come una esplicita ostilità a regole, controlli e sorveglianza, e che hanno promosso un “costruttivismo” perverso: gli alloggi recenti invenduti sarebbero oltre un milione e mezzo a fronte di oltre 200 mila famiglie in grave disagio abitativo. Che sono poi quelle “senzatetto”, mentre il disagio significa coabitazioni incivili, l’adattamento a condizioni che ledono oltre alla dignità, il rispetto delle più elementari condizioni di igiene.

A Roma ricrescono come funghi le vecchie baracche, vergogna rimossa da Petroselli e Vetere, se le contendono immigrati e indigeni retrocessi a vite nude, nuovi slums crescono ai margini di quartieri già degradati dalla mancanza di servizi e collegamenti. Ma al tempo stesso sono appunto centinaia gli scheletri di condomini tirati su in fretta nel gas tossico di qualche bolla immobiliare nostrana. E infatti sempre grazie al Piano del governo, quei falansteri costruiti a scopo speculativo, con materiali di cattiva qualità, in evidente oltraggio delle norme urbanistiche e di qualità abitativa, potranno essere assimilati ad alloggi «sociali», ottenendo le conseguenti agevolazioni economiche e fiscali e offerti al mercato finanziario dei mutui cravattari. Ma l’avidità insaziabile dei padroni del mattone non è mai contenta e così il Piano del Governo fa una ulteriore generosa concessione: la conversione acrobatica dell’edilizia privata in edilizia assistita dai quattrini pubblici e favorita da sistemi fiscali si estende anche alle lottizzazioni che erano rimaste ferme per la crisi del settore, con la conseguenza di un crescente numero di nuove abitazioni che resteranno invendute o non affittate dopo aver “consumato” inutilmente crescenti estensioni di suolo.

Il sindaco di Roma, ben allineato alle misure governative, ha promesso di creare una banca dati degli alloggi vuoti, confermando l’intenzione di rimuovere le condizioni di illegalità, rimuovendo gli allacci abusivi ai servizi essenziali. Dovrebbe sapere che organizzazioni professionali e associazioni hanno già prodotto una ricognizione puntuali delle case vuote o sfitte e degli stabili abbandonati di Roma. Dovrebbe chiedersi se vive nell’illegalità fino a compiere un crimine chi rivendica il diritto ad abitare e a vivere una vita dignitosa. O non sia invece un reato rinnegare per funzione e legge i bisogni primari di un essere umano. O se non sia addirittura criminale che la prima ratifica del “Protocollo sull’emergenza abitativa” che prevedeva lo stanziamento di 170 miliardi di vecchie lire per gli acquisti di nuove case popolari e in più i finanziamenti per altri sei progetti di autorecupero ed altri interventi in alcune periferie romane risalga al 1999 e si sia ancora a quel punto mentre si è spaventosamente gonfiata la crisi degli alloggi, anche per l’aumento del numero dei “nuovi” senza tetto, gente che non ha più lavoro e non può pagare né il mutuo né un affitto.

Ci si ritrova a rimpiangere un Fiorentino di nome, Sullo, rispetto a un fiorentino di fatto, a avere nostalgia del piano per le case popolari di Fanfani, a guardare con rammarico alla Gescal, per non dire dell’età dell’oro di Prodi che nella Finanziaria 2007, aveva finanziato con 550 milioni di Euro, un programma di Edilizia Residenziale Pubblica, un’azione limitata certamente, ma che poteva costituire una dignitosda partenza se combinata con le tecnologie e le conoscenze che permettono di costruire case con i servizi essenziali, con minore consumo di materiali e di energia, con sistemi razionali di distribuzione dell’acqua e di gabinetti e fognature. Di costruire case con una diversa diffusione nel territorio evitando o diminuendo l’inquinamento dell’aria, curando che le fogne non esplodano e che l’acqua sporca non invada le strade e le case, che il suolo sia rispettato insieme alle elementari regole urbanistiche. Proprio quelle che grazie alla desiderata semplificazione vengono stravolte fino a cancellare le distanze tollerate tra gli stabili, la quota di verde, i requisiti di qualità e i criteri di collegamento delle reti di servizio e dei trasporti.

Negli anni sessanta del Novecento la contestazione giovanile nacque, prima in America e poi da noi, proprio dall’aspirazione ad una nuova “convivenza”, ne parlavano i libri di Patrick Geddes e di Lewis Mumford, che avevano ispirato il New Deal di Roosevelt trent’anni prima, disegnando i contorni di un’utopia realizzabile, ne parlava Keynes, auspicando che ci si accorgesse che il profitto fa rinunciare alle “delizie della vita”. La profezia era sbagliata: ci fa rinunciare ai diritti fondamentali.


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