Oggi pomeriggio ho ceduto alla nostalgia, alla curiosità.
Sono tornata a Palazzo.
In realtà, dalla nefanda estate dello scorso anno, c’ero già tornata due volte, ma entrambe per appuntamenti decisamente lontani dal basket e dallo sport, ma già allora entrare nel Madison italiano mi aveva emozionato.
La squadra è quella che è, giocare contro il Caorle, con tutto il rispetto, non è la stessa cosa che vedere il Real, il Barcellona, il Tel Aviv, eppure una vaga e flebile eco della vecchia anima Fortitudo nei mille che erano a Palazzo è rimasta.
Solo alcune cose legano il passato al presente, il vecchio inno ad inzio e fine partita e quel nome: Alibegovic.
Alibegovic, ora, come allora è la speranza a cui tenersi attaccati; allora fu Teo a salvare la storia della “F”, Teo che portò, poi, i Seragnoli, i Scariolo e gli scudetti; ora è Mirza che speri riporti fuori la storia.
Non per il valore del ragazzo, solo per il nome; in una sorta di cabala salvifica.
I poster di Leon Douglas, di Wilkins, di Myers e Basile mettono malinconia, le maglie scudettate creano rimpianti, eppure qualcosa, ancora, c’è; qualcosa, ancora, è rimasto.
E’ rimasta la follia.
La follia di crederci ancora, almeno un poco.