La notizia che George Soros, uno dei simboli più odiati della speculazione finanziaria, abbia deciso di liquidare le quote degli investitori esterni del suo Quantum Fund e trasformarlo in un fondo che gestirà esclusivamente le risorse di famiglia, non è arrivata inaspettata. Le nuove regole, imposte in nome di un minimo di decenza dalla Casa Bianca alle società finanziarie non personali, in primis la registrazione, quindi più controlli e trasparenza, hanno spinto il finanziere a operare la svolta.
Niente controlli vuol dire mantenere le mani libere per operare e speculare solo per il tornaconto personale su quei mercati internazionali che hanno permesso al profugo ungherese di accumulare, in circa 40 anni, una fortuna personale di circa 25 miliardi di dollari. E Soros che negli ultimi tempi ha avuto anche la faccia di bronzo di tuonare contro i finanzieri che investono allo scoperto, in altre parole senza disporre dei capitali necessari, non può dimenticare di avere guadagnato cifre esorbitanti proprio grazie a tale meccanismo difeso a spada tratta dai repubblicani Usa.
Ed è paradossale ricordare quanto Soros, arrivato in America nel 1956, odi il partito di George Bush e Sarah Palin e come il Quantun Fund e le società collegate abbiano invece versato consistenti finanziamenti ai democratici. La spiegazione è perfettamente consequenziale all’impostazione di base del capitalismo finanziario. Un partito come i repubblicani viene visto da Soros, e dai suoi consimili, come il partito non tanto della guerra quanto dell’industria degli armamenti che è in continua ricerca di eserciti da armare, non solo quello Usa, e che rappresenta quindi un elemento di disturbo delle strategie del capitalismo finanziario che necessita invece di una relativa calma nelle relazioni internazionali per poter spostare senza troppi problemi i capitali da un mercato ad un altro. Soros sogna e vuole una “società aperta” di tipo globale, un concetto che ha mutuato dalle idee di Karl Popper, suo professore alla London School of Economics, un filosofo austriaco fuggito in Gran Bretagna per sfuggire alle persecuzioni razziali.
Quel Popper, il cui relativismo dottrinario, l’idea che non ci siano verità certe e immutabili e che tutto possa e debba essere messo in discussione, da certe correnti politiche e filosofiche liberali o liberiste, viene presentate come il toccasana ad ogni totalitarismo. In realtà esso, nelle sue applicazioni, si trasforma in un sistema dogmatico che, per certi aspetti, è stato funzionale a far passare l’idea della superiorità del modello occidentale (soprattutto gli Usa) e della necessità di imporlo in tutto il mondo.
Una concezione politica, che è nell’originario Dna americano, e che è condivisa dai repubblicani, sia pure sotto l’influsso dei neo conservatori, e dai democratici. Se differente è il contenitore, il contenuto è esattamente lo stesso. E Soros ci ha messo molto di suo, creando lui stesso e finanziando apertamente con l’Open Society Institute (che ha filiali in circa 60 Paesi) e la Soros Foundation, diversi gruppi di giovani organizzati attraverso i quali operare un cambiamento nei Paesi europei dell’Est, appena usciti dall’esperienza comunista ma ancora non convertiti abbastanza al Mercato. Il tutto attraverso manifestazioni di piazza che non si sono limitate a
spingere sui governi ma che in alcuni casi li hanno rovesciati. E’ stato il caso di Otpor in Serbia, di Kmara in Georgia e di Pora in Ucraina. In Russia e Bielorussia, le cose sono andate meno bene perché i governanti erano fatti di un’altra pasta. Recentemente il fenomeno si è ripetuto al Cairo dove gli studenti egiziani protagonisti degli scontri di piazza sono andati a scuola dai “colleghi” di Belgrado. I gruppi sorti con i soldi di Soros, e che si sono subito collegati gli uni agli altri in una sorta di internazionalismo liberale su web, sono stati però solo la punta dell’iceberg. E’ infatti dalla caduta del Muro di Berlino che Soros si è messo a finanziarie fondazioni culturali nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia per fare passare la sua filosofia occidentalista. Si tratta pure di un retaggio culturale essendo Soros il figlio dello scrittore esperantista ebreo-ungherese Tivadar Schwartz che ben prima di Popper gli trasmise questo amore per un mondo senza frontiere, una società aperta nella quale le differenze etniche, culturali e religiosi si trasformassero in un ingombrante fardello del passato.
Soros è in ogni caso l’esempio di quel capitalismo rampante che i governi non hanno mai voluto stroncare sul nascere e soprattutto impedirgli di operare perché le sue speculazioni hanno provocato effetti devastanti per Paesi di peso sul panorama mondiale. Come l’attacco speculativo del settembre 1992 contro la sterlina che obbligò la Banca di Inghilterra a svalutare la propria moneta ed uscire del Sistema monetario europeo. Stessa sorte toccò il mese seguente alla lira con Soros questa volta in combutta con la City londinese (i grandi paradossi del capitalismo). La nostra moneta, dopo un’inutile difesa da parte della Banca d’Italia di Ciampi, che vi prosciugò le nostre riserve valutarie, venne svalutata del 30% permettendo alla finanza anglosassone di comprare scontate molte delle nostre imprese pubbliche che erano state messe sul mercato, dopo la Crociera del Britannia.
Questa sua attività tesa alla promozione della democrazia e dei diritti gli procurò incredibilmente una laurea honoris causa da parte dell’Università di Bologna il 31ottobre 1995, esattamente un anno dopo la speculazione contro la lira, con gli auspici di un Romano Prodi che gli fu accanto quel giorno alla presentazione del suo ultimo libro, accompagnata da feroci contestazioni. Il che la dice lunga su quali sono le frequentazioni di quello che all’epoca era l’Ulivo e che oggi è il Partito Democratico.
di: Filippo Ghira
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Soros chiude il suo fondo”Restituisco i soldi, ho sbagliato” – LaRepubblica.it -