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Speciale Shakespeare: Macbeth

Creato il 13 aprile 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Speciale Shakespeare: Macbeth

Pubblicato da Valentina Coluccelli «Potrà l’intero oceano del potente Nettuno
Lavare il sangue da questa mia mano? No, la mano, piuttosto,
Tingerà d’incarnato i mari innumerevoli:
Farà del loro verde un solo rosso.»


Speciale Shakespeare: MacbethTitolo: Macbeth
Autore: William Shakespeare
Editore: Newton Compton
Pagine: 208
Prezzo: 6,00
Trama: Al termine della battaglia contro le forze congiunte di Norvegia e Irlanda da cui sono usciti vittoriosi, i nobili baroni di Re Duncan di Scozia, Macbeth e Banquo, si accingono a raggiungere il loro Re. Ma sulla strada incontrano tre streghe (le Weird Sisters, come le chiama Shakespeare) che li salutano predicendo loro che il primo diverrà Re e il secondo padre di Re! Macbeth si lascia irretire dall'ambizione che le parole della profezia hanno solleticato e cede alla persuasione della moglie, Lady Macbeth, che lo convince ad assassinare il sovrano durante il soggiorno suo e dei suoi baroni nella loro casa a Inverness. Dopo la scoperta dell'assassinio, temendo per la propria vita i figli di Re Duncan, Malcom e Donalbian, fuggono in Inghilterra il primo e in Irlanda il secondo, lasciando così a Macbeth, congiunto della casa reale, via libera al trono. Diventato Re però, Macbeth si sente minacciato da Banquo (a causa della sua nobiltà e a causa della profezia che lo dichiarava padre di Re) e manda due assassini a uccidere lui e suo figlio Fleance (il quale però riesce a fuggire). Non ancora tranquillo e turbato dall'apparizione dello spettro di Banquo durante un banchetto e dalla fuga di Fleance, Macbeth, che intanto sta perdendo consenso popolare e sostenitori, torna dalle Weird Sister per essere rassicurato. Le tre streghe evocano tre spiriti che avvertono il Re di diffidare di Macduff (uno dei baroni), e gli assicurano che nessun nato da donna potrà arrecargli danno e che non potrà mai essere sconfitto sino a che il bosco di Birnan non cammini verso di lui. Macbeth è rasserenato da queste predizioni che lo mettono al sicuro, anche perché Macduff è in esilio in Inghilterra e quindi non può certo nuocergli; per ritorsione però, Macbeth manda dei sicari al suo castello e fa uccidere barbaramente tutti i suoi figli e la moglie. Macduff, già pronto ad intervenire per amore della propria patria e per senso di giustizia e ora ancor più motivato dal dolore personale,  promette fedeltà a Malcom e insieme muovono contro Macbeth. Il Re, convinto di essere inattaccabile, accetta inizialmente di buon grado lo scontro certo della vittoria. Invece, una dopo l'altra, le sue certezze cadono: la moglie, schiacciata dal peso degli orrori commessi, si lascia morire; ai soldati che muovono contro il castello di Dunsinane viene ordinato di tagliare ciascuno un ramo di albero per mimetizzare il proprio numero, facendo sì che il bosco di Birnan si muova; infine, nel duello faccia a faccia con Macduff, questi rivela di esser stato strappato dal ventre di sua madre (con parto cesareo) e quindi di non esser teoricamente nato da donna. Macduff riesce infatti a decapitare Macbeth, realizzando anche l'ultima ingannevole profezia. Malcom diviene Re di Scozia!
RECENSIONE  Commentare una qualunque opera di Shakespeare, anche omettendo un giudizio che difficilmente potrebbe allontanarsi dall’incantato e ammirato e infatuato a vita, è un’impresa che richiederebbe conoscenze filologiche, storiche, psicologiche, teatrali, letterarie e critiche che mi mancano. Generalmente infatti il mio commento a Shakespeare si limita a riportare frasi, brani o anche solo binomi, che mi hanno folgorato durante la lettura, lasciando un segno indelebile nel cuore e nell’anima. E certamente il Macbeth, nonostante sia la tragedia più breve dell’autore, come ogni altra sua opera è talmente ricco nel linguaggio, nei temi, nelle interpretazioni che offre da avere accumulato nei suoi quattrocento e rotti anni una bibliografia critica quasi sconfinata, che si è concentrata di volta in volta sulla dimensione politica, su quella psicologica, su quella linguistica, su quella religiosa e persino su quella sessista. Devo ammettere di avere impiegato più tempo a leggere l’introduzione alla mia edizione, che di queste interpretazioni critiche non riporta che una minima rappresentanza, che la tragedia stessa. Posto però che, pur non avendo le conoscenze critiche per comprendere appieno l’opera, è impossibile terminare una lettura shakespeariana senza esserne arricchiti e toccati, questa volta vorrei provare a dare voce ad alcune riflessioni che, con molta semplicità, sono nate durante la mia lettura, quando la bellezza della poesia non mi distraeva eccessivamente.

Il primo tema che pare proporsi all’attenzione del lettore è quello legato alla credibilità ed ineluttabilità della profezia. La profezia, quella delle tre Streghe nello specifico come qualsiasi altra giunta alle orecchie di chi ne è oggetto, innesca una sorta di circolo vizioso in cui si smarriscono le identità e i confini di causa e conseguenza: la profezia è indubitabilmente vera di per sé, cioè la sua realizzazione è ineluttabile, oppure lo diventa solo perché chi ne viene a conoscenza si comporta in modo tale da evitarla oppure realizzarla, facendo sì che si avveri? Le reazioni di Banquo e Macbeth alle profezie su di loro proclamate dalle Weird Sisters rappresentano in qualche modo queste due possibili verità. Banquo, cui viene annunciato che sarà “inferiore a Macbeth però più grande; non come lui felice eppure di più” (I, 3) e che sarà padre di Re, ha una reazione saggiamente diffidente che mostra di cogliere l’inganno e le insidie che possono essere celati dietro a tali grandi promesse:

“Strano, però: talvolta, per condurci alla rovina,gli agenti delle tenebre ci dicono una qualche verità;ci conquistano con minuzie oneste,per poi tradirci nelle più gravi cose del futuro.”(I, 3)
Speciale Shakespeare: Macbeth Macbeth invece, per quanto inizialmente incredulo, permette alla profezia di influenzarlo, di solleticare la sua ambizione (ambizione che forse prima non c’era o che forse invece già si annidava nel suo cuore ma ben celata anche a se stesso), e si lascia rapire dalla smania di realizzarla, calpestando quelli che sino a quel momento parevano essere stati i valori e i principi guida della sua esistenza. La verità che Shakespeare pare sostenere è che la profezia sia credibile (anche se forse non necessariamente ineluttabile), ma che si realizzi solo parzialmente e ingannevolmente: per Banquo, che non ha fatto nulla per perseguirla, non si realizza (non nel testo teatrale, perché il figlio Fleance, destinato a diventare Re secondo le Streghe,  dopo la fuga nell’atto III, 3 non compare più sulla scena e di lui non vien più detto nulla, mentre il Fleance storico sposò una principessa del Galles, tra i cui discendenti ci fu re Giacomo I, il re di Shakespeare stesso); mentre per Macbeth, che crede nella predizione e si impegna per far sì che si avveri, si realizza, ma con essa anche ciò che non ha detto (che avrebbe regnato per poco tempo e nell’avversione dei sudditi e dei suoi Baroni ad esempio) e ciò che ha abilmente camuffato (ingannandolo con le predizioni rassicuranti che sarebbe morto solo quando si fosse mosso il bosco di Birnan e che solo mano di uomo non nato da donna avrebbe potuto togliergli la vita; eventi all’apparenza impossibili ma che poi avvengono). È Macbeth stesso, infine, a ripetere parole simili a quelle che erano state di Banquo, ma con l’amarezza di chi si è lasciato ingannare e guarda ormai rassegnato la fine che si avvicina:
“Non si presti più fede a questi demoniFurfanti che ci ingannano coi loro doppi sensi,promesse mantenute ai nostri orecchima infrante poi alle nostre speranze.”(V, 6)
Dunque Macbeth diviene Re di Scozia, ma non un re amato (“Appena se n’è offerta l’occasione, piccoli e grandi gli si son ribellati: nessuno più lo serve, se non gente costretta e col cuore altrove” V, 4), e non un re giusto, perché nel giro di poche pagine da quando viene incoronato, senza spiegazione esplicita (visto che i suoi delitti non gli son ancora stati attribuiti palesemente e visto non son narrate vicende del suo modo di governare) divien sulla bocca di tutti “tiranno”. E come lui stesso dice:
“I doni che accompagnano l’età-onore, amore, ossequi, amici a frotte-io non dovrò aspettarmeli. Maledizioni, invece,non dette apertamente, ma profonde,onori a fior di labbra, fiato che il povero cuorevorrebbe rifiutare ma non osa.”(V, 3)
Speciale Shakespeare: Macbeth Eppure inizialmente, prima che ascolti le predizioni delle Weird Sisters, Macbeth è descritto come un uomo di grande onore, coraggioso, valoroso, leale, degno delle lodi dei suoi compagni e del Re che serve. Ma non è, evidentemente, nonostante le buone doti, un uomo adatto a indossare le vesti di re. Lo sono invece, e Shakespeare lo sottolinea di ciascuno in modi differenti ma non fraintendibili, gli altri tre personaggi che sono davvero di stirpe regale o che avranno discendenza regale. Re Duncan, dal cui assassinio hanno inizio la veloce ascesa secolare e il lento calo spirituale di Macbeth, è un Re dall’animo gentile, che dà voce al proprio cuore, si esprime con metafore delicate e poetiche, ed è amato dai suoi sudditi, rispettato dai suoi cavalieri, giusto nel giudicare e generoso nel premiare. Suo figlio Malcom dà mostra della sua capacità di regnante nell’atto IV – 3, che sembra voler definire la vera e giusta regalità non solo con il dialogo in cui il futuro Re mette sapientemente alla prova la lealtà e l’onestà di cuore di Macduff nel suo desiderio di muovere contro Macbeth, ma anche con il riferimento alla figura di Re Edoardo il Confessore, detto anche il Taumaturgo (altra figura quindi di regalità benevolente e non violenta ed egoista). Ma forse ancora una volta il ruolo di perfetto contraltare a Macbeth spetta a Banquo, il quale viene più volte descritto come saggio, e la cui figura appare naturalmente regale, come in questa citazione delle parole di Macbeth:
“Ha radici profondela mia paura di Banquo; la sua regalità connaturataè da temersi. È molto audace,ed alla tempra ardita del suo animounisce una saggezza che guida il suo coraggioa un contegno prudente. Nessun altro che lui io temo vivo;e al suo cospetto il mio Genio è zittito, proprio come si dice fosse quellodi Marco Antonio al cospetto di Cesare. Sgridò le tre sorellenon appena mi diedero del Re,e ordinò loro di parlare con lui. Ed a quel punto, profeticamente,fu salutato padre di una stirpe regale.”(III, 1)
Ed il lettore/spettatore stesso non può che riconoscerlo tale grazie alle parole e ai pensieri che esprime, e al contegno e all’equilibrio che mantiene, non permettendo alla profezia lusinghiera di intaccare la propria identità e di insidiare le sue certezze sul ruolo che riveste nel mondoPare così che a non rendere Macbeth un buon Re non sia una mancanza di doti positive e adatte a regnare, ma piuttosto il fatto che né le leggi della Terra né il volere del Cielo segnino per lui tale destino e quindi lo approvino. Macbeth risulta un usurpatore, qualcuno che non ha saputo stare al proprio posto, ed ha ambito a uno che non gli spettava.  
“Ora sente il suo titolo di ReCascargli addosso come i panni di un giganteSul nanerottolo che se ne è impossessato.”(V, 2)
A fare da ancelle a questa manovra usurpativa e contro Natura sono l’ambizione, solleticata dalla profezia che instilla in lui il dubbio e dall’appoggio della moglie a dissipare tale dubbio e dare compimento alla realtà predetta; e la violenza, che dal primo omicidio pare non incontrare più il rimorso e intessere orditi sempre più grandi e più atroci, in un’escalation raccapricciante. A proposito dell’ambizione si potrebbe forse osservare che abbia concorso al fallimento di Macbeth perché non innata in lui, non prevista, ma appunto sollecitata dalle Streghe e imposta dalla moglie: come se il valoroso Barone, divenuto Re col tradimento e col sangue, non abbia potuto che ritenersi indegno di regnare, perché illegittimo, e abbia quindi destinato il proprio progetto al fallimento. Speciale Shakespeare: Macbeth A proposito della violenza, invece, è interessante notare come nel Macbeth essa appaia valore, sostantivo e pertinenza prettamente maschili. Ogni qualvolta si tenti di indurre qualcuno all’assassinio o di mantenerlo saldo nelle conseguenze dell’abominio compiuto, nell’opera di convincimento l’interlocutore usa come carta vincente il richiamo alla virilità: così fa Lady Macbeth col marito usando espressioni come “Saresti ancor più uomo” (I, 7), “Ma sei un uomo?” (III, 4), e così fa lo stesso Macbeth con i due assassini cui affida la morte di Banquo e Fleance. La stessa Lady Macbeth, che sprona il compagno al regicidio, assume connotati androgini in più brani, rifiutando una natura femminea e quindi compassionevole e pietosa: “Accorrete, voi spiriti preposti ai pensieri della morte, strappatemi via il sesso e ricolmatemi dalla testa ai piedi della più disumana crudeltà” (I, 5),  “Venite al mio petto di donna e scambiatemi il latte col fiele, voi agenti di assassinio…” (I,5), e ancora “Dubito della mia stessa indole se vedo te che, osservando tali scene, mantieni l’incarnato delle guance mentre le mie sbiancano di paura” (III, 4). Eppure anche lei infine soccombe alla propria natura, lasciandosi morire per il rimorso e gli echi dei dolori inferti ingiustamente, proprio come cadono sotto i colpi della violenza coloro che hanno una natura con sfumature femminee: il gentile e puro Re Duncan, il riflessivo e mite Banquo, gli innocenti moglie e figli di Macduff sacrificati al bene superiore della patria. E allora divengon significative le prime  sanguinarie e violente parole che compaiono nella tragedia in riferimento a Macbeth, e che ne anticipano il cammino di violenza e anche la sua fine (la testa piantata sui bastioni):
“… perché Macbeth il prode (titolo che ben merita),sdegnando la fortuna, da vero prediletto del valore,si scavò il passo col suo ferro sguainatoche fumava di sanguinosa stragee giunse faccia a faccia con l’infame.Non gli strinse la mano né gli diede l’addioFinché non lo scucì dall’ombelico sino alla mascellaE piantò la sua testa sopra i nostri bastioni.”(I, 2)
Quanto ancora vorrei dire! Ogni piccolo spunto diventa anticamera ad una nuova riflessione, ad altre connessioni, a migliori approfondimenti. Si dovrebbe parlare della potenza visiva di questa tragedia, dell’incredibile livello della sua poesia, reso ancora più evidente dalle due interpolazioni nei brani in cui compare la figura di Ecate in III,5 e in IV, 1 (accreditate a Thomas Middleton), della toccante liricità della scena in cui a Macduff viene riferita la morte di tutti i suoi bambini e della moglie per mano di Macbeth:
“Pietà del Cielo!Uomo! Non calarti il cappello sulla fronte;dà parole al dolore: l’angoscia che non parlasussurra al cuore oppresso e gli ordina di spezzarsi.”(IV, 3)
Delle mille interpretazioni possibili e delle innumerevoli analisi che questo testo straordinario e inarrivabile offre, che io potrei solo assumere attraverso lo studio di altre persone e di altri critici,  so veramente poco; la mia personale semplice conclusione riassuntiva sulla tragedia, che forse la critica riterrebbe errata, è racchiusa in questo breve brano, che a mio parere contiene il messaggio centrale del testo:
“La vita è solo un’ombra che cammina, un guitto miserabileChe s’affanna e si gloria sopra il palco per la sua ora,poi sparisce sempre dal ricordo.È il racconto narrato da un’idiota, tutto frastuono e furia,che non vuol dire niente.”(V, 5)
Sono queste le parole che annunciano la resa di Macbeth davanti al palesarsi dell’inganno della profezia, al fallimento del suo progetto, alla morte che gli corre incontro. L’ombra che cammina sopra il palco rimanda all’immagine dell’attore, e quel che Macbeth ha fatto, come scrivevo sopra, è stato cambiare il proprio copione sino a recitare un ruolo non suo, ma destinato ad altri, perdendo così tale ruolo, il suo futuro, il significato e se stesso.

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