La teoria è importante ma per affrontare il mondo (del lavoro) c’è bisogno anche della pratica. E il mondo dell’università, in questo senso, spesso non è molto d’aiuto: si studiano libri e dispense immense, teorie, concetti e deliri vari di studiosi, professoroni e scienziati che vivono in un iperuranio di mondi possibili e lontani. Ma è anche vero che chiunque segua un corso universitario di qualsiasi livello, nel proprio piano di studi e curriculum universitario ha una voce (spesso inserita tra parentesi) che dice “Stage e tirocini”. Alcuni corsi universitari sono più esigenti e lo scrivono in grassetto-corsivo-sottolineato-MAIUSCOLO, obbligando gli studenti ad avere un contatto col mondo del lavoro ancor prima di conseguire la fatidica laurea. La natura e la serietà del contatto dipende ovviamente dalla serietà e dalle pretese del corso di laurea.
Ma immaginate uno studente universitario che studia Medicina per cinque o sei anni senza mai avere un contatto diretto con i malati, e così chi studia infermeria o odontoiatria. O un archeologo indottrinato che non ha mai partecipato ad uno scavo e quindi non ha la minima idea di cosa voglia dire cercare, trovare e catalogare un reperto archeologico. Così ogni corso di laurea da l’opportunità ai suoi studenti di mettere in pratica in itinere le proprie conoscenze, attraverso delle attività dedicate.
Il tirocinio o stage, l’italianismo e il francesismo sottintendono lo stesso significato, da qualche anno per alcuni corsi, e da sempre per altri, sono inseriti regolarmente nei piani di studio di tutti gli studenti universitari, anche se a volte sono considerate da studenti e da docenti esperienze facoltative e quindi tralasciate, ma non per questo si può dire che non siano contemplate.
Cosa è dunque il tirocinio universitario: è un’occasione attraverso cui poter iniziare a mettere in gioco, sul campo, le proprie conoscenze maturate attraverso anni di duro studio; un’esperienza che fa parte della propria formazione universitaria e che, senza, persino il titolo di studio rischia di perdere la sua forza e il suo valore. Proprio per questa motivazione molte università stipulano protocolli d’intesa e accordi con aziende, imprese, enti pubblici e privati che si offrono di poter dare man forte alla formazione universitaria degli studenti e futuri lavoratori.
Nella maggior parte dei casi i diversi enti “assumono” i tirocinanti senza alcuna retribuzione, spesso con un piccolo rimborso spese appena sufficiente a ricoprire le spese di spostamenti e pasti. Altre aziende invece si preoccupano di dare al tirocinante un fisso mensile minimo, attraverso cui poter ripagare la forza lavoro di cui la stessa azienda ha usufruito per fare i propri interessi. Entrambe sono scelte scaturite dalle politiche aziendali dei diversi enti, più o meno criticabili, ma che rientrano in un programma di supporto alla formazione di uno studente futuro lavoratore, a sostegno del debole ruolo giocato in questo senso dalle università.
Il tirocinio dunque è inteso come un momento importantissimo di formazione professionale. Ma i tirocini possono essere fatti anche dopo la laurea. Un’azienda, un imprenditore infatti può assumere un apprendista per impartirgli l’insegnamento necessario per la pratica di un mestiere, attraverso uno speciale rapporto di lavoro (definizione data al termine tirocinio nel Devoto-Oli). Quando si parla di “speciale rapporto di lavoro” vuol dire che il lavoro dello stagista deve essere tutelato come un qualsiasi rapporto di lavoro retribuito: “speciale” infatti non vuol dire gratis, ma che lo stagista è lì oltre che per lavorare, principalmente per imparare.
Molti enti infatti propongono stage retribuiti attraverso cui gli stagisti intraprendono un percorso formativo d’alto livello all’interno dell’azienda stessa. Spesso inoltre al termine del contratto di tirocinio l’impresa può assumere il tirocinante su cui ha investito tempo e denaro. Queste aziende serie infatti hanno compreso l’importanza di questo tipo di rapporto di lavoro, puntando e investendo direttamente su giovani e potenziali dipendenti. Inoltre la retribuzione è motivo per uno stagista di far bene e meglio senza sentire i suoi sforzi e i suoi sacrifici vani, che potrebbero inoltre trasformarsi in un lavoro a tempo pieno.
Spesso però le imprese dimostrano di avere molte lacune nei propri vocabolari aziendali: ogniqualvolta si parla di offerta di tirocinio ci sono sempre i furbetti che propongono “uno speciale rapporto di collaborazione non retribuita”, ovvero “tu, tirocinante, mi dai il tuo tempo libero e la tua forza lavoro e io, azienda, ne faccio quel che mi pare. Ma ricorda, gentile tirocinante: lo stage serve per imparare il mestiere, fa curriculum e soprattutto non è prevista alcuna forma di retribuzione. Non solo: al termine dello speciale rapporto di sfruttamento non è garantita l’assunzione. Ma è stato comunque un gran piacere aver lavorato(?) insieme!”. In questo caso l’azienda non solo sbaglia ad attuare una politica aziendale poco seria, perdendo in credibilità, ma perde l’occasione di fare un investimento che si sarebbe potuto rivelare molto utile nel medio lungo termine. Anche perché un tirocinante minimamente retribuito avrà più motivazioni a “fare bene” di uno che vede vanificare i suoi sforzi e i suoi sacrifici in un semplice e banalissimo “grazie”.