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Spiragli

Da Oichebelcastello

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SPIRAGLI

Giuseppe era lì da tre anni. A trenta anni gli sembrava di aver passato più vite. I tatuaggi visibili rappresentavano il suo vissuto, le sue vittorie, le sue sofferenze. Si poteva leggere in pochi segni un libro intero. Forse a cercar bene ci aveva fatto scrivere anche i suoi errori, per ricordarseli o farli presente agli altri, come un monito. La sua faccia poteva essere stata anche rubiconda molto tempo fa, ora certi muscoli si erano contratti in modo tale da rappresentare una maschera.
Sotto c’era lui, il ragazzone riccioluto, moro, sempre pronto allo scherzo. I giorni fluivano come pece calda. Qualcosa cambiava nel periodo invernale, le cene diventavano l’evento clou.
Non capitava tutti i giorni di avere tanti ospiti in poche ore.
Giuseppe aveva chiesto di lavorare in occasione della cena-evento.
Le cene nel carcere si ripetevano da ormai sette anni, solo nel periodo invernale.
La collaborazione di una catena di supermercati che offriva gli alimenti, una nota vinicola provvedeva ai vini ed esperti sommelier, famosi chef si prestavano gratuitamente per la serata, l’incasso poi era devoluto interamente a scopi umanitari. Tante belle cose tutte insieme.
I detenuti si prestavano volentieri e in questo modo imparavano un mestiere. Alla fine della detenzione, una opportunità in più.
Giuseppe non era di quelle parti, non conosceva nemmeno la città, quando arrivò in quel luogo non fu per turismo. Anche Lucia, la psicologa in servizio al carcere veniva da un altra regione.
Fu Lucia a spiegare a Giuseppe come si presentava da fuori quel luogo, lui non poteva vederlo.
Il carcere visto da fuori tutto poteva sembrare all’infuori di quel che è. Mura medievali del 1500 e altre parti costruite successivamente, ma con geometrie simili davano a quel luogo l’aspetto di una antica fortezza. L’interno Giuseppe lo conosceva. All’interno una chiesa simile alla basilica di San Francesco ad Assisi, anche se molto più piccola, dotata di un piano superiore (quello visibile) e un altro inferiore che nel caso delle cene viene utilizzato come “ristorante” in quanto è una parte sconsacrata della chiesa.
Anche quella sera avevano fatto il pieno di ospiti. L’aperitivo fu servito in un piazzale alberato vicino al campetto di calcio. Giuseppe provvedeva a riempire i bicchieri con il cocktail. Era un giovane molto collaborativo. Sapeva di essere lì perché aveva sbagliato, non c’era bisogno che glielo ricordasse nessuno. Per intrattenere gli ospiti poi lui si era offerto di cantare.
Aveva una bella voce, le canzoni napoletane poi gli venivano a meraviglia, e non era per l’accento.
Lui ci metteva il cuore.
Non voleva strappare lacrime a nessuno, avrebbe voluto far ridere tutti, doveva solo servire a tavola in modo corretto ed esemplare, cantare poi lo faceva per passione e gli veniva anche meglio.
Anche quella sera tutto riuscì molto bene.
Dopo crostini, tartine, e un assaggio di vellutata di zucca servita in bicchierini da caffè, gli ospiti si avviarono verso il ristorante (la chiesa inferiore sconsacrata).
La prima volta che Giuseppe entrò nella chiesa inferiore fu una sensazione molto strana.
Per arrivare al portone di ingresso si passa a lato della chiesa superiore, poi dal retro si arriva ad un portone e aperto quest’ultimo inizia una lunghissima scalinata dritta e verso il basso. Sembra di scendere agli inferi. Arrivati in fondo appare l’enorme sala, unica, senza colonne per oltre cinquanta metri di lunghezza. In occasione della cena l’altare non è visibile. Appare una distesa di tavoli apparecchiati e panche in modo da ospitare gli oltre centoventi commensali.
Entrare all’interno del carcere è concesso solo a secondini, carcerati e ditte fornitrici. Per gli ospiti delle cene quello rimaneva un giorno da imprimere nella memoria.
Agli ospiti è fatto divieto di portare telefonini, sigarette, medicinali, macchine fotografiche, documenti, oggetti metallici ecc.
Nessuno si può portare momenti della serata speciale, nemmeno Giuseppe avrà foto ricordo o altro, tutto rimarrà impresso nella memoria, come quelle carezze delle persone care.
I primi, i secondi, gli ottimi vini serviti da abili sommelier, poi il dolce e ancora qualche altra canzone. A Giuseppe quell’ambiente a contatto con gli ospiti non sembrava più nemmeno un carcere, lo considerava un assaggio di libertà.
La serata volse al termine. L’antico maniero ospitò ancora una volta persone di diverse estrazioni sociali e decine di detenuti servirono la cena. Aziende private ed enti sponsor dell’evento.
E’ successo questo, non si è trattato di un miracolo.
Sono semplici azioni allo scopo di valorizzare le persone, chiunque esse siano.
Purtroppo non molto diffuse.


Archiviato in:Racconti, Società civile Tagged: carcere, riflessioni, Società civile

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