“Strong is the new skinny”: quante volte ho incontrato questa frase nelle mie peregrinazioni virtuali tra healthy-blog, food-blog e fit-blog? Fotografie di ragazze normopeso in tenuta da palestra, con i muscoli in vista senza essere mascoline, toniche, scattanti, sorriso sulle labbra: finalmente il concetto di bellezza sta cambiando!, pensavo inizialmente, con molta ingenuità.
Purtroppo, con il passare del tempo ho cominciato a capire che per molte fit-blogger l’allenamento e l’attività fisica non erano la soluzione a un disturbo alimentare del quale avevano sofferto o nel quale avrebbero potuto incappare, quanto piuttosto la sostituzione del DCA o un suo affiancamento.
Palestra fatta allo scopo di autorizzarsi a mangiare di più, corse riparatrici di sgarri, esasperazione dell’attività fisica, condotta per altro con una programmazione inflessibile che poco può lasciare al divertimento puro, e fino al punto da rinunciare ad occasioni sociali (cene, vacanze, weekend fuori con amici) per il timore di “perdere l’allenamento”.
Complici i social network, l’esaltazione di un corpo tonico ha sostituito (in parte) la magrezza ostentata e ossuta dello scorso decennio. Dalla sua, il mondo del fitness ha il vantaggio di avere un’attenzione maggiore (anzi, direi massima) alla salute del corpo: eppure, il rapporto conflittuale con il cibo e con il proprio corpo è spesso lo stesso. Cibo visto solo in termini di carburante e di macronutrienti pre o post-workout; corpo mortificato se troppo stanco per reggere il quinto allenamento settimanale.
E l’equilibrio della mente, dove è? Alle conseguenze dello sport condotto in modo ossessivo, si pensa mai?
Ho chiesto a Chiara, la nostra personal trainer (trovare la sua rubrica qui), un commento a questo nuovo lato dei disturbi alimentari. Fino a non molti anni fa si parlava di DCA nello sport solo in relazione ad alcune discipline che richiedevano leggerezza fisica (ad esempio la danza), più recentemente è stato coniato il termine di vigoressia (ricerca ossessiva di un accrescimento della massa muscolare); attualmente, invece, non possiamo ignorare che esistano infinite sfumature dei DCA in ambito sportivo, e che a volte lo sport stesso sia vissuto con compulsione e atteggiamento malsano al di là che questo si accompagni o meno a pratiche alimentari non ortodosse.
Lo sport dovrebbe aiutare la formazione di giovani in salute, dovrebbe divertire, creare coesione tra i ragazzi, dovrebbe essere un affiancamento terapeutico a tanti problemi di autostima, o di vere e proprie problematiche di salute (scoliosi, sovrappeso, ipertensione…). Invece, a volte, finisce per essere la causa di un male più grande: un’ossessione dalla quale è difficile uscire.
Ai margini di questo fenomeno c’è poi lo sport vissuto con la frustrazione dettata dalla mancanza di risultati: quante persone prendono a destra e a manca suggerimenti sportivi, si danno al fai-da-te (spesso al fine di perdere peso), iniziano a correre tutti i giorni, a fare palestra con allenamenti senza capo né coda, e si ritrovano a distanza di un mese senza un etto in meno, ma con tanta stanchezza e frustrazione in più? Chi non ha mai pensato “più brucio, meglio è” salendo su un tapis roulant? Quante donne hanno sempre guardato con terrore la sala pesi, nel timore di diventare “grosse”? Specialmente nelle ragazze giovani, anche questo approccio dà vita a un pericoloso circolo vizioso: “se non dimagrisco con tutto lo sport che faccio, figuriamoci se prendo una settimana di pausa!”. Ed ecco che lo stress sale, l’infiammazione anche, i liquidi si trattengono, le calorie si restringono, il metabolismo si abbassa. Con Chiara avremo modo di parlare anche di questo. Per ora, lascio la parola a lei per qualche riflessione sui disturbi del comportamento alimentare e lo sport.
Chiara lavora come personal trainer
presso la palestra Vicenza Fitness di Altavilla Vicentina
Potete contattarla scrivendo a [email protected]
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“Vorrei svegliarmi e trovarmi dentro un corpo piccolissimo. Tornare indietro e avere di nuovo 5 anni. Vorrei essere la cosa più piccola nelle braccia di qualcuno.”
(18 anni, 1.73 m, 39 kg)
Quando Arianna mi ha chiesto di parlare dell’esercizio fisico in caso di DCA mi sono spaventata. Quello dei Disturbi del Comportamento Alimentare è un argomento che la madre di una bambina di dieci anni non vorrebbe mai sentire.
Eppure esiste.
Nel mio mondo, il mondo dello sport, d’elite e amatoriale, girano innumerevoli storie di atleti sconfitti da questa malattia, costretti ad abbandonare la carriera a causa di un disturbo alimentare. Cosa ancor più agghiacciante, è perfettamente noto che alcuni sport abbiano come requisito indispensabile uno stringente controllo del peso: ginnastica artistica, danza e pattinaggio sono le discipline incriminate di costringere giovani atlete ad essere sempre più “sottili” e “leggere”. Anziché essere uno strumento per valorizzare le proprie predisposizioni fisiche e rendere i bambini più sicuri di sé, lo sport a volte diventa una piaga, la genesi di una malattia.
Circa due anni fa ho ritirato mia figlia da un corso amatoriale di ginnastica artistica perché l’insegnante le aveva detto che “aveva troppa pancia”: la Signora ha dovuto fare due colorite chiacchiere con me, in seguito.
La Dott.ssa Norvegese Jorunn Sundgot-Borgen, specialista in medicina dello sport, ha coniato il termine “Anoressia Atletica”, atto ad indicare la profonda correlazione e connivenza di un alterato rapporto con il cibo, in coesistenza ad un’eccessiva, compulsiva pratica dell’attività fisica.
I malati di bulimia o anoressia sanno nascondere molto bene i “sintomi”, fino a quando la loro magrezza diventa allarmante (per inciso, la magrezza può diventare rapidamente palese in caso di anoressia, ma rimanere sempre esteriormente latente per la bulimia, facendo sì che chi ne soffre si senta ancora più incompreso, dal momento che apparentemente è in salute). Per questo motivo, gli allenamenti possono diventare un banco di prova, uno strumento ulteriore che abbiamo per monitorare la salute dei nostri figli: se notiamo un atteggiamento esagerato e ossessivo nei confronti della pratica fisica dobbiamo subito metterci in allarme. Secondo alcuni studiosi anche solo l’ossessione per lo sport potrebbe rappresentare una forma di DCA, al di là che questo corrisponda o meno ad un concreto dispendio calorico abnorme o un calo del peso.
A livello alimentare le esagerate restrizioni caloriche comportano rischi cardiovascolari, amenorrea e osteoporosi anche al di là delle variazioni di peso: la pratica eccessiva dell’esercizio fisico ha conseguenze altrettanto gravi.
Il dottor Riccardo Dalle Grave dell’associazione AIDAP Verona avverte come l’esercizio fisico eccessivo e compulsivo possa mantenere la psicopatologia del DCA attraverso i seguenti meccanismi (cito testualmente):
1. Può contribuire con la restrizione dietetica calorica alla perdita di peso e al mantenimento di un basso peso corporeo.
2. Può aumentare l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del loro controllo. Più intenso e frequente è l’esercizio per controllare il peso e la forma del corpo più aumentano le preoccupazioni su queste caratteristiche fisiche.
3. Favorisce l’allentamento del controllo dell’alimentazione e gli episodi bulimici se usato come comportamento di compenso (il paziente pensa di poter consumare le calorie in eccesso introdotte).
4. Favorisce l’isolamento sociale. La maggior parte dei pazienti si esercita da solo e inevitabilmente riduce il tempo passato con gli altri. La marginalizzazione della vita sociale può contribuire ad aumentare l’importanza attribuita al peso, forma del corpo e loro controllo.
5. Può essere usato come comportamento disfunzionale di modulazione delle emozioni. In questo caso l’esercizio mantiene il DA attraverso due meccanismi che interagiscono tra loro: modulazione del tono dell’umore e controllo del peso e della forma del corpo.
La Figura 1 mostra i principali meccanismi di mantenimento dei DCA postulati dalla teoria cognitivo comportamentale transdiagnostica, una delle più influenti teorie psicologiche in termini di trattamento, mettendo in risalto il ruolo dell’esercizio fisico eccessivo e compulsivo nel mantenimento della psicopatologia specifica del DA.
Altre conseguenze negative dell’esercizio fisico eccessivo e compulsivo sono l’aumentato rischio di lesioni da sovraccarico e, nei pazienti sottopeso, un aumentato rischio di fratture e complicazioni cardiache.
Quando ho letto questo articolo in occasione di un esame universitario mi è venuta la pelle d’oca: sono sempre stata una convinta sostenitrice dello sport sano anche per la cura nei DCA, ma mi ero resa conto di quanto sottile sia il confine tra il bene che può fare lo sport e il danno che può arrecare.
La pratica intensa dell’esercizio fisico può dunque interferire anche con le attività quotidiane, e soprattutto essere rischiosa, in quanto non verrà interrotta neppure in presenza di precari stati di salute: perdere un allenamento perché si ha un raffreddore o qualche linea di febbre? Giammai!
L’obiettivo di “liberarsi dalle calorie” porterà all’isolamento sociale e supererà la ricerca della gratificazione sportiva o del semplice “sentirsi bene”.
Che fare dunque?
So che molte lettrici sono anche madri, a voi rivolgo un appello particolare: guardate i vostri figli, osservateli e ponetevi delle domande. L’allenatore di pallavolo, di calcio, danza, ginnastica o l’insegnante di educazione fisica possono essere di aiuto nell’individuare forme latenti di DCA. Cercate sempre un dialogo con quelle figure professionali che passano diverse ore settimanali a contatto con i vostri figli, e non trascurate i sintomi di esordio.
Se invece credete di essere voi stessi vittime dell’ossessione per lo sport, prendetevi una pausa e contattate figure professionali che possano aiutarvi a trovare un equilibrio: lo sport deve essere divertimento e piacere, deve permettervi di stare meglio. Se lo vivete con costrizione, obbligo e rigidità diventerà l’ennesima gabbia moderna nelle quale ci divincoliamo, alla ricerca di una tanto ambita “perfezione”, che tuttavia ha un suo completamento nella sfera emotiva interiore, non nell’estetica.
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Aggiungo il commento di Davide C. fatto via Facebook, e la risposta che ho dato. Penso sia molto interessante a completare l’articolo.
DAVIDE: Beh.. però avrei delle domande. Personalmente vivo in un mondo (io e la gente che si allena con me) di circa 5 allenamenti a settimana (pesistica olimpica e functional training) e di un regime alimentare (più o meno paleo) abbastanza rigido. Fenomeni come “oH cacchio ieri ho fatto il porco, oggi mangio meno o faccio qualcosa per bruciare un po’ di calorie” possono capitare (a meno che non si debba crescere di peso in vista di competizioni) e credo siano normali per molti. Oppure “stasera sera non faccio tardi perché domani ho allenamento e devo essere fresco”: credo sia normale pensarlo per chi ha un’intenzione seria nello sport.. Senza questo tipo di disciplina è difficile ottenere qualcosa, sia da un punto di vista di forma fisica, sia per quanto riguarda performance sportive (specialmente se si intende competere). Sono d’accordo con il messaggio generale del post, ma leggendolo sembra quasi che tutte le persone che fanno sport a livello un pò più elevato dell’andare in palestra a fare fitness 3 volte alla settimana siano malate. Mi chiedo quale sia la linea di confine tra disiciplina e un atteggiamento malato… Che ne pensi?
ARIANNA: Non era assolutamente nostra intenzione demonizzare la disciplina agonistica, nella quale è inevitabile che lo sport diventi un “lavoro” che richiede orari e programmazione ineccepibile. Bisogna però ricordare che l’atleta non è ai massimi livelli 365 giorni l’anno: i suoi allenamenti sono finalizzati a una o più date gare, quindi si tratta di allenamenti ben pianificati, che non portano allo stremo il fisico da gennaio a dicembre. Sei d’accordo?
Ciò su cui volevamo sensibilizzare è l’esasperazione dell’esercizio fisico, qualora venisse visto come risposta a quella richiesta di “perfezione” che in realtà ha radici tutt’altro che fisiche. Si può definire ‘ortoressico’ chi cerca di mangiare sano? No. Può invece esserlo chi fa ruotare tutta la sua vita intorno al ‘cibo pulito’, che diventa un’ossessione inderogabile.
Ecco, la linea di confine è molto labile. Se mi chiedi: “quando lo sport diventa malattia?”. A mio parere, quando diventa un chiodo fisso che non viene MAI e IN NESSUN CASO superato da qualsiasi altro impegno personale, sociale o lavorativo. E, naturalmente, quando si accompagna ad un regime alimentare che non è solo “atto a migliorare la performance”, ma diviene anch’esso un’ossessione matematica di conteggio di calorie.
Per intenderci: quando off-season ti propongono di andare al cinema e tu rinunci perché alle 21 hai allenamento. Quando vai in tilt se ti si sconvolgono i piani. Quando monitori i progressi in modo ossessivo. Quando sei vittima delle tue convinzioni, giuste o sbagliate che siano, e ti senti sicuro solo aderendo a quei precetti a mo’ di dogma. Quando lo sport perde ogni significato della sua sfera di divertimento, e diventa solo ed esclusivamente competizione (con sé stessi o con gli altri).
Non è semplice, ma spero di aver risposto alla tua domanda.