I San Antonio Spurs hanno appena archiviato il primo Rodeo Road Trip perdente della loro storia, chiuso con un bilancio di 4 vittorie e 5 sconfitte. Nelle ultime sei regular season i record ottenuti dagli Spurs in questa serie di partite esterne erano stati di 4-4 nel 2009-10, 6-3 nel 2010-11, 8-1 nel 2011-12, 7-2 nel 2012-13, e 6-3 nell’annata 2013-14. Le 23 sconfitte stagionali racimolate sono già superiori a tutte quelle che i campioni in carica avevano messo insieme nella scorsa annata. Se è legittimo parlare di una crisi degli Spurs, allora conviene ricostruire l’andamento di quest’ultimo Rodeo Road Trip.
Già l’8 febbraio San Antonio capitolava, 82-87, in casa dei Toronto Raptors, per poi rialzare la testa nelle due gare successive: con la vittoria di misura, 95-92, ottenuta il 9 febbraio a Indianapolis, e quella di due giorni dopo, per 104-87, sui Detroit Pistons. Da qui sono iniziati i problemi: alla vittoria sui Pistons è seguita la pausa dell’All-Star Weekend, e alla ripresa delle partire che contano, gli Spurs si sono inceppati sul serio. Il 19 febbraio lasciano la W a Los Angeles, sponda Clippers, per 115 a 119 (nonostante una bella tripla segnata da Marco Belinelli per il momentaneo 114 a 115 con 30.8 secondi sul cronometro). Il giorno seguente non superano lo scoglio Golden State Warriors: 99-110. Il 23 febbraio è arrivata pure la sconfitta, 81 a 90, contro gli Utah Jazz (la prima, durante questo Rodeo Road Trip, con una squadra da percentuale di vittorie inferiore al .50). Con la sconfitta del 25 febbraio a Portland, per 95 a 111, il record si assesta su un deludente 2-5. Ciò significa che dopo il raduno di “stelle” a New York gli Spurs si sono ritrovati a fare i conti con ben quattro sconfitte di fila, a fronte di due partite rimanenti sul tabellino di marcia: Sacramento e Phoenix. A quel punto c’era anche la certezza di chiudere il “Rodeo” con un bilancio negativo.
A motivazione delle difficoltà incontrate, gli Spurs hanno fornito alcune valide giustificazioni. Innanzitutto gli infortuni di Kawhi Leonard e Tony Parker. Il primo ha perso 18 partite in questa stagione, principalmente a causa di un infortunio alla mano, mentre Parker non è stato disponibile per un totale di 14 match, e ha ammesso di non sentirsi ancora al cento per cento. Anche Marco Belinelli ha saltato 19 partite. Ma gli Spurs rimangono pur sempre i campioni in carica, e non conviene sottovalutarli. Il 27 febbraio è arrivata la vittoria, la prima dall’All-Star Weekend, su Sacramento, e alla sirena il punteggio diceva 107-96, il giorno dopo sono a Phoenix, dove conquistano un’altra W segnando 101 punti, mentre i Suns si fermano a 74 (a metà gara il punteggio era di 51 per gli Spurs, 24 per i Suns!). Si rivede la grande difesa di San Antonio e il miglior Leonard (22 punti e 10 rimbalzi).
Non sarà comunque facile per gli Spurs estendere a 16 il numero delle stagioni consecutive con almeno 50 vittorie all’attivo. È infatti dalla stagione 1999-2000 che gli “Speroni” non scendono sotto le 50 vittorie stagionali, e se si esclude la stagione 1998-99 (stagione segnata dal lockout, e chiusa comunque sopra il .70 di vittorie con un record di 37 vinte e 13 perse), bisogna risalire alla regular season 1996-97 per trovare un record al di sotto delle 50 W (in quell’anno gli Spurs chiusero con 20 vinte e 62 perse).
Tim Duncan ha dichiarato: «Quando si perdono delle partite, tre o quattro di fila come ci è successo, c’è chi va nel panico e vuole subito cambiare qualcosa o tutto.» Il numero 21 ha anche detto che gli Spurs, a differenza di quello che si potrebbe pensare, non sono in una situazione così brutta. Ciò di cui necessitano è di ritrovare confidenza e riguadagnare il loro ritmo di gioco. Duncan, com’è nel suo stile, predica la calma, ma è un dato di fatto che gli Spurs sono da tempo abituati ad entrare nella post-season con il vantaggio dell’home-court, mentre nella stagione in corso stanno rischiando di farsi sfuggire questo importante fattore. Chiudere la regular season al settimo posto vorrebbe dire perdere il vantaggio del fattore campo in ogni round dei prossimi playoff e si sa che a Ovest anche il minimo svantaggio viene fatto pagare caro; una situazione in cui Duncan si è ritrovato soltanto una volta nel corso delle sue 18 stagioni NBA.
Chi fra le prime quattro squadre dell’Ovest vorrebbe incontrare San Antonio al primo round? Probabilmente nessuna si offrirebbe volontaria, perché gli “Speroni” sono come una vecchia macchina dal motore buono. Ogni tanto acquistano qualche ricambio e migliorano una rifinitura, e il fatto che non sempre si vinca, non è un valido motivo – come ripete Tim Duncan – per cambiare tutto. Infatti gli Spurs non avranno forse la carrozzeria più lucida e spettacolare della NBA, ma sono comunque molti anni che continuano a viaggiare alla grande.