Fotografia su gentile concessione del dott. Boccalatte.
Da circa quindici anni ormai il San Raffaele di Milano con il supporto del Gruppo Telethon porta avanti una serie di ricerche importanti nell’ambito delle cure delle malattie genetiche e dell’uso delle cellule staminali. Vista la recente pubblicazione dei risultati positivi su due tipologie particolari di malattie grazie allo sviluppo della terapia genica, ne abbiamo approfittato per chiedere approfondimenti e spiegazioni al dottor Francesco Boccalatte, ricercatore del San Raffaele.
- Quando e come ha avuto inizio la ricerca sulla cura delle malattie genetiche?
E’ una ricerca che dura da più di cinquant’anni. Fin dalla scoperta della struttura del DNA e delle sue funzioni come “veicolo di informazione genetica” gli scienziati di tutto il mondo hanno iniziato a capire come molte malattie umane siano causate da difetti a carico del genoma. In particolare è stato scoperto che alcune patologie, anche se molto complesse, sono causate dal difetto di un singolo gene. Queste malattie, dette “monogeniche”, nella maggior parte dei casi colpiscono i bambini nei primi anni di età e sono spesso gravi, se non letali. Si tratta tuttavia di patologie relativamente rare, ragione per cui i finanziamenti per lo studio delle malattie genetiche sono da sempre stati scarsi. Per colmare questo vuoto varie associazioni di genitori e organizzazioni di beneficienza come Telethon hanno iniziato a raccogliere fondi da donazioni di privati per sostenere gli scienziati che hanno scelto di dedicarsi allo studio di queste malattie. E’ grazie alla generosità di queste persone, migliaia di persone e decine di associazioni, se oggi possiamo raccogliere risultati concreti nella lotta a malattie per le quali non esistevano cure.
- Che malattie sono la sindrome di Wiskott-Aldrich e la leucodistrofia metacromatica? Da che cosa derivano e che cosa comportano? Come vengono alla luce e quali sono le prospettive di vita degli individui afflitti?
Si tratta di due malattie molto diverse, ma accomunate dal fatto di essere le prime due patologie trattate con successo negli studi condotti all’istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (TIGET) di Milano. La sindrome di Wiskott-Aldrich è un difetto del sistema immunitario causato dal deficit del gene WASP. Oltre ad essere maggiormente predisposti ad infezioni gravi, i piccoli pazienti che ne sono colpiti sono anche soggetti a difetti della coagulazione, emorragie e un aumento dell’incidenza di vari tumori.
La leucodistrofia metacromatica (detta anche MLD dal suo acronimo inglese) è invece una patologia degenerativa a carico del sistema nervoso causata dal deficit del gene ARSA, indispensabile per il metabolismo dei sulfatidi: quando il gene ARSA non funziona a dovere, si accumulano sulfatidi all’interno del sistema nervoso e questo causa deficit cognitivi e motori nel bambino, che perde progressivamente la capacità di parlare e muoversi. Nelle fasi più avanzate della malattia si presentano difetti della deglutizione e della respirazione che determinano le complicanze più gravi e spesso letali. La forma più grave di questa malattia si manifesta nel bambino a partire dai primi mesi dalla nascita, mentre ne esistono a esordio più tardivo, intorno ai 3-10 anni o anche nell’adolescenza, anche se la diagnosi non è semplice finché non emergono i sintomi tipici.
- In cosa consistono la terapia genica e l’uso delle cellule staminali?
Le cellule staminali sono ad oggi uno degli approcci più promettenti per il trattamento delle malattie genetiche e degenerative, anche se spesso le informazioni sulla loro funzione e il loro utilizzo sono mal comprese e frammentarie. Le cellule staminali “adulte”, in particolare quelle derivate dal midollo osseo, sono cellule capaci di rigenerare vari tessuti e sono da decenni impiegate con successo in tutto il mondo nel trattamento di varie patologie genetiche e tumorali.
Fino a tempi molto recenti il principale trattamento per bambini affetti dalla sindrome di Wiskott-Aldrich o dalla leucodistrofia metacromatica è stato il trapianto di midollo osseo. Tuttavia questo approccio non era del tutto risolutivo, presentava una serie di rischi e spesso non era applicabile per mancanza di un donatore compatibile. Questo ha orientato le nuove ricerche ad un approccio che combinasse le cellule staminali alla terapia genica.
La terapia genica è un concetto relativamente semplice, ovvero quando un paziente presenta un difetto a carico di un gene specifico che causa la malattia, si cerca di introdurre nelle sue cellule una copia “corretta” del gene difettoso. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che il gene “corretto” entri con alta efficienza nelle cellule del paziente: il modo più immediato si basa sull’impiego di un virus (detto vettore virale) modificato in modo da infettare solo alcuni tipi di cellule e portare al loro interno il gene curativo. Si sfrutta cioè una proprietà naturale del virus non per creare un’infezione nociva, ma per introdurre un gene curativo solo nelle cellule dove questo è richiesto.
Nei laboratori del TIGET sono state sfruttate le conoscenze sulle cellule staminali ematopoietiche e sulla terapia genica per sviluppare una protocollo terapeutico assolutamente innovativo. Si inizia con un prelievo di midollo del bambino malato, da cui si estraggono le cellule staminali del sangue; queste cellule vengono poi infettate in laboratorio con il vettore virale. Dopo aver verificato l’effettiva espressione del gene desiderato, le cellule staminali “corrette” vengono re-infuse nello stesso paziente, senza alcun rischio di rigetto né incompatibilità. Le cellule staminali corrette sono naturalmente in grado di localizzarsi di nuovo nel midollo del paziente e di generare vari tipi di cellule figlie, tutte esprimenti il gene corretto.
- Quali sono i risultati della ricerca? Aprono la strada a nuove ricerche ed ulteriori progressi in campo medico?
Il risultato straordinario di questo tipo di studi è stato la possibilità di offrire per la prima volta ai pazienti affetti da patologie gravissime non solo un trattamento che permettesse di rallentare la malattia o controllarne i sintomi, ma una vera e propria cura. I bambini trattati con il protocollo sviluppato al TIGET sono in grado di condurre una vita normale e non mostrano, a tre anni dal primo trattamento, i segni distintivi della loro malattia. Ma questo è stato solo un punto di partenza. Nei prossimi anni si prevede di poter applicare lo stesso tipo di protocollo ad altre malattie genetiche e ovviamente proseguire la terapia della Wiskott-Aldrich e leucodistrofia metacromatica estendendola a nuovi gruppi di pazienti.
- I trattamenti curativi sono idonei a ciascun individuo avente le malattie dette oppure bisogna valutare qualcosa in particolare? Premesso ciò, come si sviluppano e quanto durano le terapie?
I risultati appena pubblicati fanno parte di un trial clinico condotto su un gruppo ristretto di pazienti e hanno avuto lo scopo di dimostrare come l’approccio genico sia non solo sicuro, ma anche efficace. Alla luce degli straordinari risultati ottenuti si passerà ora all’impiego della terapia su un numero maggiore di pazienti. Il protocollo si sviluppa nell’arco di alcuni mesi poiché richiede un ricovero, una serie di prelievi di midollo, e una re-infusione delle cellule corrette. Il paziente va quindi seguito periodicamente per valutare lo sviluppo del sistema immunitario o le funzioni cognitive e motorie (a seconda della malattia).
Occorre ricordare che al momento, almeno per quanto riguarda la leucodistrofia metacromatica, la terapia è stata sviluppata su pazienti in fase pre-sintomatica (cioè che pur avendo un gene “difettoso” non hanno ancora iniziato a manifestare i sintomi della malattia). Su questi pazienti il risultato è stato quello di impedire alla malattia di danneggiare l’organismo, anche se si cercherà presto di applicarla anche a bambini che hanno iniziato a manifestare i primi sintomi. In ogni caso, come per molte altre patologie, una delle chiavi del successo di questa terapia resta la diagnosi precoce, dal momento che quando i sintomi sono già molto avanzati la possibilità di recupero delle funzioni è scarsa.
- Di cosa tratta il Metodo Stamina?
Il metodo Stamina è un protocollo sviluppato dalla Fondazione Stamina, diretta dal dott. Davide Vannoni e prevede l’impiego di cellule staminali mesenchimali (un sottotipo di staminali del midollo, precursori di vari tessuti) che vengono differenziate in laboratorio in cellule nervose e poi re-infuse nei pazienti. Il protocollo prevede l’incubazione delle cellule in una soluzione di acido retinoico, ma i dettagli della procedura non sono mai stati resi noti. Nonostante il metodo non sia sostenuto da una solida base scientifica, dal 2011 esso viene praticato come cura compassionevole nell’ospedale di Brescia, reclutando vari pazienti affetti da patologie molto diverse tra loro. Agli inizi del 2013 il tribunale di Torino ne ha decretato la sospensione in quanto non sono rispettati i requisiti di sicurezza e le documentazioni richieste per la pratica clinica.
A seguito di pressioni da parte dei mass media e di proteste popolari a Giugno è stata avviata dal Ministero una sperimentazione clinica per valutare secondo parametri oggettivi la sua utilità e sicurezza, ma va ricordato che al momento non ci sono prove scientifiche oggettive e ripetibili a sostegno della sua efficacia, ed allo stesso tempo gli effetti collaterali ricevono non sono noti.
- Per quale motivo si sente parlare delle cellule staminali con malanimo?
Probabilmente perché poche persone sanno con esattezza di cosa si tratta, da dove si ricavano e come possono essere utilizzate.
Le cellule staminali sono un tipo particolare di cellule capaci di rigenerare ogni tessuto del nostro organismo e di auto-mantenersi. Esistono due principali tipi di cellule staminali, le cellule staminali embrionali e le cellule staminali adulte.
Le cellule staminali embrionali sono quelle che formano la blastocisti (il primo ammasso di cellule dell’embrione, quello da cui poi si origina tutto l’organismo umano). Queste cellule sono in linea di principio le più utili per la medicina rigenerativa poiché sono teoricamente in grado di ripristinare ogni organo danneggiato, tuttavia nella pratica il loro utilizzo ha presentato una serie di inconvenienti tecnici (proliferazione incontrollata e frequente rigetto del trapianto) nonché ha sollevato problemi etici, in quanto per ricavare cellule staminali embrionali si doveva ricorrere alla soppressione di un embrione, cioè potenzialmente un nuovo individuo. Per questa ragione alcuni Paesi, tra cui l’Italia, vietano il prelievo di staminali embrionali così da impedire la distruzione di embrioni a scopo di ricerca.
Tutt’altro discorso riguarda le cellule staminali adulte. Esse sono cellule presenti in quasi ogni organo del corpo umano e sono quelle che permettono a questi organi di rigenerarsi lungo il corso della vita. Si tratta di cellule più “limitate” nelle loro capacità rigenerative, in quanto possono dare origine ad una varietà di cellule più ristretta rispetto alle staminali embrionali, tuttavia il loro beneficio è stato ampiamente dimostrato su svariati tipi di patologie -cirrosi, leucemie, danni vascolari e danni al midollo spinale, solo per citarne alcuni. Inoltre l’impiego delle staminali adulte non richiede la distruzione di un embrione e pertanto non presenta alcun problema di tipo etico: il loro studio e utilizzo è permesso senza particolari vincoli in tutto il mondo.
- Quali sono i progetti per il futuro del vostro gruppo di ricerca?
L’istituto in cui ho la fortuna di lavorare si occupa di un vasto spettro di malattie genetiche e cerca di orientare ogni ricerca scientifica ad un miglioramento delle terapie disponibili per i pazienti. I successi ottenuti sui primi bambini con leucodistrofia metacromatica e sindrome di Wiskott-Aldrich vogliono essere solo un punto di partenza da cui sviluppare terapie sempre più efficaci ed estendibili ad un numero sempre maggiore di pazienti.
Il TIGET sta già sviluppando nuovi protocolli di terapia genica per il trattamento di altre cinque malattie genetiche: la mucopolisaccaridosi di tipo I, la beta talassemia, la leucodistrofia globoide, l’ADA-SCID e la granulomatosi cronica. Questo è stato possibile e continuerà ad esserlo grazie al lavoro dedicato di un grande gruppo di scienziati, due unità cliniche (l’immunoematologia pediatrica e l’unità di trapianto di midollo dell’ospedale San Raffaele), un gruppo di ricerca sulla sicurezza dei vettori e un centro di saggio GLP, tutti coordinati all’interno dello stesso istituto dal prof. Luigi Naldini, uno dei massimi esperti mondiali nel settore della terapia genica.
Credo sia importante ricordare che questo studio è nato da un gruppo di ricerca italiano che sta raccogliendo riconoscimenti importanti in campo internazionale, un piccolo ma importante segno di orgoglio per il nostro Paese e la generosità dei suoi abitanti – non da ultime le associazioni di genitori e le singole famiglie che hanno sostenuto il nostro lavoro e creduto fino in fondo in questo progetto.
Intervista e articolo di Miriam Barone.
Si ringrazia il dott. Boccalatte per la disponibilità.