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Stato islamico, quando il terrore si fa burocrazia

Creato il 08 maggio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Guardare allo Stato Islamico come a un gruppo di estremisti islamici come gli altri può essere un grave errore per chi cerca di combatterlo. La sua peculiarità sta nell’ambizione di fondare una struttura statale. E lo ha già fatto.

Grazie alla rapida avanzata delle milizie dell’autoproclamato califfo al-Baghdadi, lo Stato Islamico è arrivato a controllare vaste aree della Mesopotamia a cavallo del confine tra Siria e Iraq. La città di Raqqa, sesto centro siriano per popolazione prima dell’occupazione avvenuta a marzo 2013, è diventata la capitale de facto e il laboratorio per sperimentare metodi di governo ispirati alla rigida applicazione della sharia, la legge che emerge dall’interpretazione del Corano. Qui il video della ragazza che di nascosto filmò la vita nella capitale dello Stato Islamico.
Pensare all’IS esclusivamente nei termini di un gruppo di fanatici religiosi senza una definita visione strategica, dediti al male per il piacere perverso di praticare il male, può essere una visione semplificante e per questo (paradossalmente) consolatoria. Ma questo può significare sottovalutare il nemico e rischiare di trovarsi a combatterlo con i mezzi sbagliati.

Divisioni amministrative del territorio dello Stato Islamico

Nato da Al Qaeda in Iraq (AQI), lo Stato Islamico ha cambiato diverse volte la propria denominazione ufficiale, passando da ISI (Stato Islamico dell’Iraq) a ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) e ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), fino all’odierna sigla IS (Stato Islamico). La generalizzazione del brand rispecchia il crescere delle ambizioni conseguente alla rapida espansione che ha portato il gruppo a controllare terre (mappa interattiva) per più di 250.000 chilometri quadrati. La repentina avanzata del periodo giugno-agosto 2014 ha portato all’abbattimento del confine tra Siria e Iraq risalente fissato dagli accordi di Sykes-Picot di quasi un secolo fa. Grazie a questa operazione il califfato è stato unito sulla base di una continuità territoriale, quasi una Schengen islamica in cui i musulmani possono spostarsi senza controlli dove prima sorgeva una frontiera.

Il territorio è suddiviso in province dette wilaya (9 in Siria e 7 in Iraq) a loro volta divise in settori (qataa). Ogni provincia è guidata da un governatore (wali) affiancato da consigli di “saggi”: consiglio della sharia, consiglio della sura, consiglio militare e consiglio di sicurezza. Temporaneamente alle prese con una paradossale crisi di sovraestensione rispetto alle risorse, l’IS si prepara a future offensive militari che, nei piani del califfo, dovrebbero portare sotto la bandiera nera l’Africa mediterranea, l’Asia occidentale, i Balcani e la Spagna entro il 2020. I prossimi obiettivi nel mirino dello Stato Islamico sarebbero Libano e Giordania. In questo consiste la principale differenza con le precedenti organizzazioni terroristiche: anziché essere parassita ospite del corpo di uno stato da combattere, IS si costruisce un proprio corpo per ritagliarsi un ruolo geopolitico nella regione. Lo stesso motto, “restare ed espandersi“, inneggia al radicamento e all’espansionismo.

Forza militare dello Stato Islamico

Secondo le stime l’IS può contare su un esercito di circa 30.000 effettivi (comprendenti migliaia di foreign fighters), palesemente insufficenti a controllare la totalità del territorio e per questo affiancati da milizie tribali locali. Ai combattenti (mujahidin), addestrati al combattimento sin dall’età di 16 anni presso appositi campi, vengono assegnati appartamenti sequestrati a infedeli o abbandonati e viene corrisposta una paga superiore a quella riservata dai rispettivi governi ai militari regolari siriani o iracheni. La dotazione consiste in parte in obsolete armi sovietiche, in parte in moderni mezzi americani, bottino sottratto a depositi abbandonati dall’esercito dell’Iraq nella precipitosa ritirata verso Baghdad. Missili (anche uno Scud), blindati humvee, elicotteri Black Hawk e aerei; si è parlato anche di materiale nucleare, insufficente però a costituire un reale pericolo.

La fitta rete di spionaggio allestita da Haji Bakr come premessa alla fondazione del califfato, è tuttora efficente e ha permesso nel dicembre 2014 di sgominare una “cellula golpista” contro al-Baghdadi. I successi militari sono sfruttati dai media di stato (la rivista Dabiq, la radio al-Bayan e, in futuro dalla tv ufficiale) per fare proselitismo e ottenere finanziamenti dai paesi del Golfo. L’organo di stampa dell’IS, I’tisaam Media Foundation, ha da tempo pubblicato il secondo al-Naba (rapporto) in cui descrive dettagliatamente la conduzione degli attacchi nel periodo 2013-2014 dividendoli per tipologia e mostrandone obiettivi e risultati attraverso format e infografiche degne di un report aziendale occidentale.

Stato Islamico e amministrazione della giustizia

L’amministrazione della giustizia è uno dei principali mezzi attraverso cui perpetuare un capillare controllo del territorio. A dimostrarlo c’è la presenza di un tribunale sciaraitico retto da giudici religiosi in ogni città controllata. I giudici sono specializzati nei vari casi e fanno da intermediari tra le parti in causa per risolvere le dispute. Presso uno sportello è possibile sporgere reclami, mentre presso l’ufficio per i non musulmani un giudice riceve gli infedeli che vogliono continuare a soggiornare nelle loro terre dopo l’arrivo dell’IS. Secondo le disposizioni di un editto emanato da al-Baghdadi nel gennaio 2014, per poter restare possono convertirsi all’Islam o sottoscrivere una dhimma, un contratto di protezione che prevede il pagamento di una tassa, la jizya. L’alternativa è la morte. La polizia locale è incaricata del controllo di questi individui, affinché rispettino quanto previsto dal contratto. Alcuni reati previsti dalla legge (e le relative pene) sono: furto (amputazione della mano), adulterio o prostituzione (lapidazione), possesso, traffico e uso di alcolici (punizioni corporali come la fustigazione) e droga (pena capitale), omosessualità (lancio dall’edificio più alto e lapidazione), omicidio (crocifissione o fucilazione). Dopo la detenzione in carcere, le pene sono eseguite sulla pubblica piazza in presenza del giudice che legge la sentenza con un megafono.

La polizia religiosa (al-Hisba) pattuglia le strade per controllare che le leggi vengano rispettate e redarguiscono i trasgressori, pena l’uso immediato della forza. Tra le norme da rispettare ci sono anche rigide indicazioni sull’abbigliamento femminile. Nelle vetrine sono banditi manichini nudi e a volto scoperto, sia maschili che femminili, e poster con immagini. Vietato fumare sigarette e narghilé, ed ascoltare musica in pubblico, in auto, alle feste, nei negozi. Obbligatorio pregare in strada e nelle moschee alle ore stabilite. La hisba effettua controlli tra le bancarelle di Raqqa per verificare che gli affari vengano condotti in modo onesto, controllano i prezzi e evitano i raggiri. Lo Stato Islamico ambisce a regolare ogni aspetto della vita quotidiana, in quella che chiamano una “intromissione positiva”.

Economia e servizi: il welfare dello Stato Islamico

Lo Stato Islamico assicura i principali servizi alla popolazione che in tutto il territorio controllato è stimata di circa 11 milioni di abitanti. Grazie a tali servizi, distribuiti con efficenza, il califfato aumenta il proprio consenso sostituendo regimi corrotti ed incapaci, per quanto legittimi. Grazie al controllo delle dighe di Raqqa e Mosul e all’importazione di esperti occidentali, le forniture di elettricità ed acqua potabile non si sono mai interrotte. Viene assicurata la manutenzione delle reti idriche, elettriche e stradali. Lo stato controlla prezzi, produzione e distribuzione di beni di prima necessità come pane e farina. L’istruzione prevede l’educazione al Corano sin dall’asilo. Sotto i 15 anni si viene inviati nei campi della sharia per ricevere insegnamenti religiosi. I programmi scolastici sono stati spogliati di materie come filosofia, psicologia, sociologia, arte,  musica e studio di altre religioni. Le lezioni a ogni livello si svologno in classi separate per maschi e femmine (unica eccezione la nuova facoltà di medicina di Raqqa). La condizione della donna nello Stato Islamico non è certo delle migliori, ma peggio delle donne islamiche se la passano quelle fatte prigioniere perché professanti fedi diverse. Esse alimentano il mercato delle schiave sessuali, i cui prezzi variano a seconda della fascia d’età. Ad ogni uomo è permesso comprarne tre e la loro proprietà è trasmessa per eredità, come avviene per semplici oggetti. Ultimamente gli yazidi stanno comprando le prigioniere del loro popolo per liberarle, ma così facendo finanziano il loro nemico. Uno dei pilastri della fede, la zaqat o elemosina rituale, è stato trasformato in un meccanismo di redistribuzione della ricchezza: i benestanti versano la tassa (in contanti o in natura) e i proventi vengono redistribuiti tra i più poveri.

Ma come sostenere tutte queste voci di spesa? Diverse sono le fonti di entrata per il gruppo terroristico più ricco del mondo (con entrate per 2 miliardi di dollari): esportazioni petrolifere, contrabbando di opere d’arte risparmiate ai saccheggi, vendita di energia idroelettrica, assalto a banche e gioiellerie (429 milioni di dollari solo dalla conquista della banca centrale di Mosul), dazi sulle merci di passaggio, finanziamenti dai paesi del Golfo. Lo Stato Islamico ha fondato la prima banca a Mosul (permette l’apertura di conti e, in futuro, emetterà prestiti senza interessi, proibiti dalla religione), mentre è già attivo il sistema di riscossione tributi da artigiani, agricoltori, commercianti e imprese. La zecca dello stato batte una nuova moneta, il dinar, il cui valore è agganciato a quello aureo.

Stato Islamico: più simile a noi di quanto crediamo

La peculiarità dell’IS è quella di mirare a costituirsi in stato. Attraverso il proprio soft power lo Stato Islamico conquista le menti e si assicura un vantaggio sconosciuto ad altre organizzazioni terroristiche come Al Qaeda: si radica sul territorio trasmettendo ai sottomessi la sensazione di irriversibilità dello stato delle cose che ha instaurato con la forza. Combattere il gruppo eliminandone i vertici non può sortire effetto in questo caso, poiché sono state fondate istituzioni in grado di sopravvivere alle perdite. Inoltre, limitarsi a considerare l’IS un gruppo di barbari senza strategia può essere rassicurante, ma è un errore di valutazione, come testimoniano le frasi pronunciate dal responsabile ufficio stampa dell’IS Abu Mosa alle telecamere di Vice News.

«Non vogliamo far tornare la gente al tempo dei piccioni viaggiatori. Al contrario, trarremo beneficio dallo sviluppo, ma in un modo che non contraddice la religione».

Se alla base dell’architettura del terrore impostata da al-Baghdadi si trovano concetti a noi familiari come quelli di progresso, cominciare ad ammettere che le due parti in conflitto sono più simili di quanto entrambe sarebbero disposte ad ammettere può essere il primo passo per guardare al problema di sconfiggere l’IS nella giusta prospettiva.

Tags:Al Qaeda,Al-Baghdadi,al-hisba,dinar,foreign fighters,Haji Bakr,iraq,IS,isi,isil,isis,Islamic State,mosul,mujahidin,Raqqa,sharia,siria,sykes-picot,yazidi Next post

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