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Stefano Abatangelo: l’arte di saper colpire

Creato il 23 maggio 2013 da Sportduepuntozero

di Enrico Zambruno

Stefano Abatangelo - Foto Massimo Pinca
L’arte di saper colpire. L’arte di saper soffrire. Devi averla nel Dna, la boxe. Non è mai stato uno sport per tutti, e mai lo sarà. E’ un cocktail dinamico di tante cose: abnegazione, sacrificio, resistenza, pazienza, pressione, passione. E’ una via di fuga vera e propria. Perchè lì, sul ring, sei da solo. Tu, con te stesso. E basta. Stefano Abatangelo, per tutti “The Hammer”, ha 31 anni e gli ultimi 17 li ha trascorsi sul quadrato. Botte? Tante. Pugni presi? Una camionata. Sempre con fierezza, però. Consapevole di quello che va incontro, ogni volta. Se non ha il fuoco dentro, va a casa. I soldi non c’entrano niente, la boxe non lo mantiene, perchè il pugile canavesano per tirare avanti si alza tutte le mattine alle 5 per aprire il suo banco di salumi e formaggi al mercato di corso Racconigi a Torino. Questa è pura passione, di quelle che bruciano.

Il 31 maggio Stefano ha l’appuntamento più importante della carriera. A Rivarolo, in un palasport che si preannuncia come una pentola a pressione, va per la prima volta a caccia del titolo italiano dei pesi mediomassimi contro il detentore della cintura, il romano Emanuele Barletta. Il match della vita, dove il cuore va oltre ostacolo e avversario. Abatangelo ha un bilancio da professionista da urlo: 16 vittorie, 2 sconfitte e 1 pareggio. Non perde dal 22 giugno 2007. Sapete quanti giorni sono trascorsi, al 31 maggio? 2170. Tanti. Tantissimi. «Questo è il match che sogno da sempre – racconta il pugile -. In questi mesi ho ripercorso tutta la mia carriera, fin dall’inizio. La boxe mi ha sempre dato moltissimo. Fin dal primo giorno, quando entrai in punta di piedi in palestra, a 14 anni e per scherzo, accompagnato dal mio amico Giovanni Delisi, che ancora oggi insegna nel Canavese. Avevo deciso di provare perchè volevo dimagrire. Non ne sono più uscito. Tornai a casa e dissi a mio papà: questa è la mia strada».

Stefano Abatangelo - Foto Massimo Pinca
Stefano è un uomo lucido. Sa quello che vuole, sa che il sacrificio porta lontano. Quello non ti tradisce mai. Prende un cazzotto e va avanti. Sente un crampo e va avanti. Perde e va avanti. Prima o poi tutto torna. «I momenti belli sono stati tanti. Come quando combatto davanti a migliaia di persone. Una cosa difficile da pensare per me, nato nella piccola Montanaro. L’impatto l’ultima volta è stato tosto, sono uscito dal tunnel un bel po’ prima del match per capire che muro di gente avevo davanti. La sensazione? Un sasso sullo stomaco pesantissimo. Ma questo è il bello. Perchè poi passa, sali sul ring e sputi sangue».

E poi c’è la famiglia. Il fratello Roberto da tanti anni gioca a pallavolo con ottimi risultati. Appena non è sotto rete, parte e lo segue. Mamma e papà ci sono sempre stati. «Papà mi ha sempre seguito, prima dei match viene negli spogliatoi, sta con me. Mia mamma è tornata di recente a vedermi, prima pativa un po’. Ci può stare, la boxe non è uno sport come gli altri».
Già, non lo è. Dentro il ring vige la regola che l’avversario non è il nemico. Va rispettato, ogni volta. L’agonismo fa la differenza, quella sottile tra la vittoria e la sconfitta. E la vittoria, per Stefano, si definisce in due semplici parole. «Fatica e allenamento».

Guarda la fotogallery realizzata da Massimo Pinca


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