"Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua". Con questa premessa Stefano Benni apre il racconto Frate Zitto, uno dei venticinque raccolti nel libro La grammatica di Dio. Scoprire Benni in "non più tenera" età, come ho fatto io, vuol dire reimparare a guardare la vita, con quella smania addosso di prendere storie ovunque si guardi e provare a raccontarle. A chiunque, in ogni modo.Spiegando la solitudine e l'allegria, senza cambiare mezzo né mano. Il mezzo è la scrittura, la mano è quella sempre ferma, cinica e soffice, che permette agli occhi di vedere altrove, quando ancora incagliati, tentano di liberarsi. Gli occhi di Stefano Benni sono certo più disillusi, e le storie, seppur in maniera diversa, sembrano gridare tutte la stessa verità. "L'universo si manifesta e scompare senza parole, siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio".Non vi è verità più vera. Ed è qui che si capisce l'impresa, il miracolo della letteratura. Quando uno scrittore scrive, inventa una voce al silenzio dell'universo.Che immagine meravigliosa!I racconti di Benni, la maggior parte dei quali scritti in prima persona, mettono in circolo i pregi e le debolezze degli uomini. Le confessioni più intime, le bugie necessarie, le domande tradite dal silenzio.L'amore di Remo per il suo cane che a un tratto diventa odio, odio per quell'amore smisurato di cui solo una "bestia" è capace. Il nonnino solo che vuole morire. Un volo tranquillo, ma neanche poi tanto...e l'istante di una mattina "nata col vento". Tutte storie di uomini fondamentalmente soli, a un passo dal baratro. L'uomo, il grande bugiardo che inventa lui stesso un'infinità di storie. La malinconia e la disperazione strizzano gli occhi del lettore, attraverso rimandi, più o meno chiari, al nostro paese. Torna un ricordo nostalgico che abbraccia persino il mondo del calcio, nel racconto Solitudine e rivoluzione del terzino Poldo.Commovente e spietato, ma anche ironico, Benni sfrutta la complicità di un linguaggio semplice in grado di animare i respiri dei suoi personaggi. E in queste brevi comparse, ognuno di essi, diventa protagonista e al tempo stesso riflesso più vero di ogni qualsivoglia "io". Per ritrovare umanità, seppur nella solitudine e nella disperazione. Questo è il miracolo che compie un buon libro. Magari nessuna parola sarà quella di Dio, e magari a nessuno importa. Questa è la parola degli uomini - la nostra - la grammatica che rompe il silenzio e manda avanti l'universo. Come un'onda che si rompe a riva, i pensieri prima della fine. "Carmela chiuse gli occhiChissà se dopo volo, pensò". Questa è la battuta finale del racconto che ho amato. Di un amore che va oltre la carta, Carmela.
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"Non si dovrebbe parlare di Dio. Non conosciamo la sua lingua". Con questa premessa Stefano Benni apre il racconto Frate Zitto, uno dei venticinque raccolti nel libro La grammatica di Dio. Scoprire Benni in "non più tenera" età, come ho fatto io, vuol dire reimparare a guardare la vita, con quella smania addosso di prendere storie ovunque si guardi e provare a raccontarle. A chiunque, in ogni modo.Spiegando la solitudine e l'allegria, senza cambiare mezzo né mano. Il mezzo è la scrittura, la mano è quella sempre ferma, cinica e soffice, che permette agli occhi di vedere altrove, quando ancora incagliati, tentano di liberarsi. Gli occhi di Stefano Benni sono certo più disillusi, e le storie, seppur in maniera diversa, sembrano gridare tutte la stessa verità. "L'universo si manifesta e scompare senza parole, siamo noi a inventare una voce al suo terribile silenzio".Non vi è verità più vera. Ed è qui che si capisce l'impresa, il miracolo della letteratura. Quando uno scrittore scrive, inventa una voce al silenzio dell'universo.Che immagine meravigliosa!I racconti di Benni, la maggior parte dei quali scritti in prima persona, mettono in circolo i pregi e le debolezze degli uomini. Le confessioni più intime, le bugie necessarie, le domande tradite dal silenzio.L'amore di Remo per il suo cane che a un tratto diventa odio, odio per quell'amore smisurato di cui solo una "bestia" è capace. Il nonnino solo che vuole morire. Un volo tranquillo, ma neanche poi tanto...e l'istante di una mattina "nata col vento". Tutte storie di uomini fondamentalmente soli, a un passo dal baratro. L'uomo, il grande bugiardo che inventa lui stesso un'infinità di storie. La malinconia e la disperazione strizzano gli occhi del lettore, attraverso rimandi, più o meno chiari, al nostro paese. Torna un ricordo nostalgico che abbraccia persino il mondo del calcio, nel racconto Solitudine e rivoluzione del terzino Poldo.Commovente e spietato, ma anche ironico, Benni sfrutta la complicità di un linguaggio semplice in grado di animare i respiri dei suoi personaggi. E in queste brevi comparse, ognuno di essi, diventa protagonista e al tempo stesso riflesso più vero di ogni qualsivoglia "io". Per ritrovare umanità, seppur nella solitudine e nella disperazione. Questo è il miracolo che compie un buon libro. Magari nessuna parola sarà quella di Dio, e magari a nessuno importa. Questa è la parola degli uomini - la nostra - la grammatica che rompe il silenzio e manda avanti l'universo. Come un'onda che si rompe a riva, i pensieri prima della fine. "Carmela chiuse gli occhiChissà se dopo volo, pensò". Questa è la battuta finale del racconto che ho amato. Di un amore che va oltre la carta, Carmela.
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