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Stefano Testa – Il cercatore di aculei di istrice

Creato il 27 novembre 2014 da Carusopascoski

Prima o poi cercherò di far scrivere una storia alle persone che conosco innamorate delle montagne tra Toscana ed Emilia, farne un libricino piccolo e prezioso, anche solo per me che adoro leggerle, scoprirle, infine tentare di diffonderle da questa modestissima piattaforma di lancio. Stefano Testa, musicista coi fiocchi che ho voluto incontrare fortemente da quando sono quassù, è uno dei primi a cui andrei forte a romper le scatole, perché ama questi crinali e mi sta insegnando ad abitarli Quando ci parli ti osserva come ti osservano i boschi: ti senti studiato ma non ti senti solo. Come in questo racconto fatto di presenza boschive inattese che vanno e vengono e ti scavano dentro, forse solo sognate, viste soltanto o neppure dal cane. Inoltrarmi in questi boschi mi fa lo stesso effetto dell’incontro col cercatore di aculei di istrice di Stefano: misterico ma mai spaventoso, alfine di una gentilezza antica, quasi un senso di protezione sconosciuto ma profondo – accadra ciò che deve accadere e nient’altro -. Intanto, qui Stefano si racconta con Tobia nei boschi, negli incontri che accadono o che si immaginano: alla fine non c’è differenza per chi si impegna a viver bene la propria vita tanto le proprie fantasie sul mondo. Accompagnano il testo una fotografia scattata da Stefano a Tobia nel luogo esatto in cui è ambientato il racconto e una canzone il cui video narra l’ombra di una passeggiata tra i due, e per questo lo ringrazio evi invito alla lettura.

Stefano Testa – Il cercatore di aculei di istrice

Non avevamo voglia, io e Tobia, di andare per boschi. Era un giorno di novembre grigio e umido e le prime nebbie dell’autunno pesavano sul paesaggio e sui cuori.
La fiamma nel camino ballava indolente nella penombra del crepuscolo e mi sentivo preso da una strana sonnolenza,
– se dobbiamo proprio andare, è meglio che ci sbrighiamo, tra un’ora sarà buio…
gli feci, alzandomi dal divano.
Il fatto era che, da un po’ di tempo mi costringevo ogni giorno a camminare per due chilometri rigorosamente sulla punta dei piedi, seguendo i consigli di un australiano conosciuto in rete, il quale mi aveva assicurato che, in tal modo, avrei sconfitto definitivamente il mio atavico freddo ai piedi. Incredibilmente, la cosa funzionava e io ero felice di assaporare, dopo decenni, il piacere voluttuoso regalato da estremità calde.
Così, di buon passo, ci incamminammo verso la madonnina di Lucaiola, lui davanti ed io, in malfermo equilibrio, dietro.
All’ingresso della pineta di Madognana, come faceva ogni volta, Tobia si fermò a far pipì sulle cacche pelose lasciate dai lupi, guardandomi con occhi di domanda, ma io avevo fretta di ottemperare al mio obbligo e tirai diritto, non rispondendogli con le consuete parole rassicuranti.
Avevamo calcolato male i tempi: stava scurendo velocemente.
Vidi, in fondo al rettilineo, un uomo che, appoggiato alla Maestà, stava fumando.
Ero contrariato, perché quella presenza metteva a repentaglio il mio proposito salutistico: se fossi tornato indietro, non avrei compiuto la distanza terapeutica, se fossi arrivato alla madonnina camminando sulle punte, avrei fatto certamente la figura del matto.
Decisi di arrivare lì, ma camminando normalmente, a scanso di spiacevoli equivoci.
Era un uomo di una certa età, alto e segaligno, con il volto olivastro immune da rughe, vestito in modo stranamente elegante, considerando il luogo e le circostanze.
Mi salutò con gentilezza, chiedendomi, senza alcun preambolo, se per caso conoscessi boschi frequentati da istrici.
Alla mia risposta che, sì, effettivamente da qualche tempo, forse in seguito ai cambiamenti climatici, anche gli istrici erano arrivati qui da noi e che, anche lì, nel bosco sotto alla Madonnina, a volte se ne potevano vedere, senza indugiare, fece per scendere la scarpata.
– la sconsiglierei di entrare nella boscaglia adesso, tra un quarto d’ora non si vedrà più nulla..
Si voltò a guardarmi con un’espressione furba, aprendo il gabardine e mostrando trionfante una grossa, antiquata torcia elettrica.
– credo che anche con quella risolva poco, poi qui ci sono i lupi…fossi in lei, tornerei domani mattina e mi apposterei vicino alla pozza in fondo al bosco…a volte vanno lì a bere…
– disgraziatamente, non mi è possibile: domattina sarò su un treno per Zurigo e devo assolutamente avere con me una buona quantità di aculei di istrice.
Mi ricordai dei due vasi pieni di aculei, frutto di anni di passeggiate, che tenevo sulla libreria e, in un impeto per me inconsueto di generosità, sortomi dalla visione della sua faccia quasi disperata, mi offrii di donarglieli.
Ci incamminammo verso casa, mentre Tobia gli annusava continuamente con strano nervosismo il fondo dei pantaloni.
– mi scusi la curiosità, ma che se ne vuol fare degli aculei degli istrici?
– io, da un po’ di tempo, lo faccio per lavoro. Li raccolgo per conto di un ricchissimo svizzero, fanatico pescatore di salmerini, che è convinto che i galleggianti fatti con gli aculei siano di gran lunga i migliori. Me li paga profumatamente e, così, attualmente sopravvivo.
Ora, pareva quasi allegro e camminava con baldanza, mentre io azzardai, attento a non esser visto, qualche passo sulle punte.
– ho avuto una strana vita, io…- mi disse aspirando con grazia la sua Chesterfield.
– ero un giovane molto dotato, avrei potuto fare tutto: a scuola eccellevo sia nelle materie letterarie, che in quelle scientifiche. Pensi che a diciott’anni vinsi un concorso mondiale di matematica e che, al conservatorio mi diplomai a pieni voti in pianoforte e composizione. Avevo iniziato una promettente carriera concertistica e, al contempo, all’università ero vice responsabile del centro di calcolo…
Insomma, modestia a parte, ero considerato un genio a tutti gli effetti…
Poi, qualcosa successe…subii un torto, un irreparabile torto…anzi, lo subirono anche altre persone della mia famiglia, e io individuai il responsabile di questo delitto in mio padre…
Da quel momento, la mia vita fu dedicata esclusivamente a colpirlo in quello che lui aveva di più caro: l’ambizione sfrenata che nutriva per il mio futuro…
Mi volli spegnere, godendo del mio venir meno e delle delusioni che, anno dopo anno, riuscivo a procurargli, riducendolo, alla fine, finalmente, in un vecchio solo e sterile.
Lo so,ormai sta passando anche la mia vita, ma era la cosa che ho voluto fare.
Ho fatto diversi mestieri in tutti questi anni, tutti assolutamente modesti e insignificanti. La mia penultima avventura è stata la gestione di un bar, un tantino malfamato, vicino alla stazione centrale, a Milano. Poi, sono fallito ed ora, eccomi qui, in cerca di aghi di istrice…
Eravamo arrivati a casa che era buio, lo feci entrare e gli offrii un bicchiere di vino.
Con un giornale, gli feci un pacco con gli aghi di istrice e gli indicai la scorciatoia per arrivare alla stazione.
Mi bussò ai vetri della cucina per salutarmi e scomparve nel vasto buio.
Tobia, stanco, si accovacciò ai piedi del divano. Nuovamente tranquillo.
Mi accorsi con sorpresa che i due vasi pieni di aculei erano ancora al loro posto. Lì, sulla libreria.


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