[Articolo pubblicato nella Webzine Sul Romanzo n. 2/2013, La difficoltà dell'inizio. Il coraggio del primo passo]
Portrait of the Artist as a Young Man di James Joyce è noto in Italia come Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane (Adelphi 1976, traduzione di Cesare Pavese). Fu pubblicato, per la prima volta, a puntate sulla rivista The Egoist tra il 1914 e il 1915 e, poi, in volume nel 1916. Vengono narrati gli anni formativi della vita di Stephen Dedalus: l’infanzia, gli anni in collegio e il periodo universitario si dipanano in cinque capitoli, attraverso la costruzione di un affresco metaforico della figura dell’artista e della fatica per la sua affermazione, mettendo in scena come la liberazione dall’esterno, cioè, dalle condizioni pre-esistenti che limitano l’avverarsi dell’inizio estetico-artistico, sia propedeutica all’esordio, che viene a connotarsi non come un gesto, ma come un vero e proprio processo.
Il nome del protagonista è già di per sé emblematico: Stephen è il primo martire cristiano – Santo Stefano – e, in una curiosa contrapposizione, il cognome si riferisce alla figura mitologica di Dedalo, un abile artigiano che costruì per Minosse il labirinto dove fu rinchiuso il Minotauro e dove venne imprigionato lo stesso Dedalo, il quale fabbricò due ali di cera per sé e per suo figlio Icaro per scappare. Icaro, però, non diede ascolto alla raccomandazione del padre e volò in alto, troppo vicino al sole, così la cera che legava le piume si sciolse e cadde nel mare. Un martire cristiano, dunque, e una figura mitologica sono il nome e il cognome del protagonista di questo romanzo, che, assieme a Gente di Dublino e all’Ulisse, costituisce uno dei tre libri più importanti di James Joyce.
Stephen vive a Dublino, la sua famiglia è molto cattolica e permeata da forti sentimenti nazionalistici. Fin da bambino, viene mandato dai genitori a studiare presso il collegio gesuita di Clongowes. La vita del collegio è dura: un fitto insegnamento si accompagna a un clima austero e alle angherie dei compagni. Il giovane vi si adatta, ubbidiente, da un lato, alla disciplina impartitagli e, dall’altro, maturando un progressivo senso d’inadeguatezza, come quando Wells lo fa cadere in un canale di scolo e Dedalus si ammala, finendo in infermeria, o quando, a causa di un incidente nel quale gli si rompono gli occhiali da vista, viene esonerato per qualche giorno dagli studi; ciononostante, viene preso a bacchettate dal prefetto Padre Dolan, il quale riteneva che quella del ragazzo fosse solo una scusa e non una causa impediente. I colpi della bacchetta reiterati per ben sei volte sulle mani gli dolevano nell’animo come una punizione immeritata: «Era ingiusto; era iniquo e crudele: e seduto nel refettorio Stephen soffrì di momento in momento nella memoria la stessa umiliazione». Il prefetto aveva anche ironizzato sul suo nome, schernendolo oltre modo davanti alla classe; con occhi incolori gli aveva raddrizzato la mano con le dita morbide, per colpirlo meglio e con più forza. Il giovane prende coraggio e va a lamentarsi dal rettore per il torto subito.
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