L’estate può essere spietata se non hai il mare a portata di mano. E’ la lezione che un pugliese trapiantato in Emilia apprende ogni volta che i pulviscoli dell’afa estiva calano a milioni su quella sterminata contea di Hazzard che è il piano padano. Per chi come me proviene da una terra in cui il paese più lontano dal mare vi dista 20 km, la lezione poi è ancora più dura da accettare passivamente. E dunque ci si industria. Se uno vive nell’Emilia nordoccidentale non ha una gran scelta: l’adriatico è lontano 200km, e di certo le sue torbide acque reflue prive di correnti e di pesce non meritano una sgroppata del genere durante il week end. Il tirreno ed il mar ligure invece sono ad un tiro di schioppo, si far per dire: 100 km di autostrada, in teoria un’oretta abbondante, ma non di più. Se ci vai d’inverno, ovviamente.
Perchè invece d’estate tutto il nord-ovest cala sulla esigua striscia ligure manco fossero arrivati gli unni. Lombardi, piemontesi, emiliani, toscani, tutti al mare in Liguria. La quale, notoriamente, ha un bel mare ma non ha spiagge nè parcheggi, e le ben 4 autostrade che la stuprano da parte a parte generano mostruose code da 40 km. Soluzione? Se vuoi passare una bella domenica al mare nel Levante ligure devi alzarti alle 5 di mattina e ripartire verso l’1 di notte, per evitare il traffico. E devi prepararti ad estrarre un assegno per finanziarti il parcheggio, a calpestare la gente che troverai nelle lillipuziane spiagge ciottolose, a pagare una focaccia allo stracchino tre volte quanto la paghi d’inverno. Sarà che il mare me lo sono sempre trovato vomitato in faccia, sarà la mia proverbiale pigrizia, sarà quel che sarà, ma io passo ed aspetto settembre-ottobre per godermi la Liguria.
Mare scartato, va bene. Cosa rimane? Beh, il suo surrogato artificiale presente in ogni dove, la piscina ovviamente. Peccato che nelle assolate domeniche di luglio vi si riversino come acqua dallo sciacquone migliaia di famiglie e giovani e anziani che entrano a spintoni dentro vasche che dovrebbero contenere al meno la metà della gente che vi si dimena. Il risultato che è che le persone entrano calve ed escono con una parrucca di capelli altrui. La piscina poveretta fa quel che può, pompa acqua di ricambio, pompa cloro su cloro, ma non riesce a ripulire la vasca se ci fanno entrare una quantità orripilante di persone unte, sporche e senza una cazzo di cuffia (ditemi: perchè per nuotare d’inverno è obbligatoria mentre d’estate no?). E dunque se cerchi l’acqua in piscina dovrai accettare anche migliaia di capelli sulla superficie dell’acqua, sulla tua schiena, nella tua bocca, dentro le tue orecchie. Una roba che se ci pensi troppo nel bel mezzo della piscina ti vien da vomitare.
Via dalla piscina, diobono, via! Ma che rimane? Ecco, qui in Emilia ci sono ancora i fiumi. Discreti torrentelli appenninici che se li risali, a qualche km dalla fonte, trovi ancora dei posti di chiare fresche e dolci acque. E allora io e Sunofyork, altra pugliese incastonata in Emilia, siamo andati a scoprire il fascino del turismo fluviale.
In macchina ci si mette un’oretta scarsa, ma la vista degli appennini che ti nascono davanti è rilassante, e la strada sale e scende senza strappi, doucement. Certo non ci si può godere troppo la strada se in macchina con te c’è Sunofyork. La quale anzitutto comincia a curiosare dappertutto alla ricerca di cd musicali da sentire. Questo fa schifo, questo mi fa cacare, sei troppo vecchio, ma che musica ascolti, i Police che noia, Dylan che lagna, insomma non le va bene niente. Quindi si attacca alla radio. Dice che l’emozione di beccare una canzone che ti piace in radio non ha prezzo. E dunque ignora il panorama là fuori e cerca ostinatamente di provare la sua teoria dell’emozione via radio. Dopo mezz’ora passata a cliccare nervosamente sulle stazioni, e dopo che la canzone più emozionante trovata sarà stata Prendi questa mano zingara di Iva Zanicchi, la nota blogstar si rompe le palle, e decide di analizzare meglio i cd. Trova The Bends dei Radiohead, e se ne compiace. Tiro un sospiro di sollievo. Però succede che a quanto pare Sunofyork ascolta i cd come i bambini mangiano le big-bubble: dopo che il sapore della fragola è scomparso, le buttano via e ne masticano un’altra. E quindi Fake plastic trees dura 20 secondi, High and dry 5, Planet telex 4. Dopo di che intervengo io a scagliare il cd fuori dalla macchina, imprecando. Allora lei dice che possiamo cantare qualcosa, e mette su un cd di De Andrè. Ok, va bene, è parecchio che non lo canto, dico io. Comincio a cantare, e lei si ammutolisce. Canto come un idiota da solo per mezz’ora. Me ne chiedo la ragione, per fortuna che però arriviamo al fiume.
Il posto è molto carino. C’è abbastanza acqua nel torrentello da immergersi tutti e stendersi sulle pietre levigate, in equilibrio sospinti dietro dalla corrente. L’acqua è limpidissima piacevolmente fresca, la corrente ti regala un vibromassaggio naturale e godurioso. Per chi vuole acque più profonde, più avanti c’è una pozza di diversi metri di profondità, e gente che si getta dalla roccia. Noi ci immergiamo nell’acqua poco profonda e ci adagiamo. Sunofyork con le sue consuete iperboli dice che è il posto più bello del mondo, ma non bisogna dare molto adito quello che dice, visto che se lo dimentica 5 minuti dopo. Io trovo un posticino ove la corrente mi sospinge al punto giusto, i pesciolini mi azzimano i piedi e l’acqua scorre che è un piacere. Chi mi si trova vicino riesce anche a sentire mugugni di piacere con me che disteso come Caracalla sospiro ad occhi chiusi “Si, fiume, dammi tutto quello che hai…”.
Dopo due ore di intenso relax, andiamo a mangiare un boccone nel chiosco del fiume, laddove Sunofyork, che me l’ha menata tutto il tempo che ormai non mangia più carne da quando ha una coinquilina vegana, si strafoca inspiegabilmente con un panino con 4 etti di prosciutto dentro. Al ritorno al fiume, stiamo per entrare in acqua quando io, seduto sulla roccia intento a togliermi le scarpe, noto nello specchio davanti a me qualcosa muoversi, anzi, risalire da un piccolo anfratto, spuntare sinuoso fuori dall’acqua e mostrare la sua lingua biforcuta. Un serpentello d’acqua.
Dunque allora le reazioni del sottoscritto potrebbero essere state di due tipi:
1) Paperoga il Re.
Alla vista del serpente, Paperoga si lancia in acqua con un coltello da caccia ben saldo nei denti, e dopo 30 secondi di lotta e schizzi nell’acqua ne riesce con il coltello insanguinato in una mano, e il serpente stecchito nell’altra, trionfante davanti a tutti, vittorioso e inneggiante a se stesso: “Paperoga è il Re! Paperoga è il Re!”, e tutti i bagnanti si uniscono convinti e gridano tutti insieme, Sunofyork compresa, “SI! SI! Paperoga è il Re!”.
2) Paperoga lo stambecco ferito.
Alla vista del serpente, Paperoga diventa catatonico, incapace di muoversi e di proferire altro che un grido atterrito “O mio dio un serpente…O MIO DIO HO V I S T O U N S E R P E N T E!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”, dopo di che fa un salto all’indietro verso la nuda terra ciottolosa e comincia a correre zompando tra un sasso e un altro a centinaia di metri di distanza strappandosi i capelli, provocando una reazione sdegnata del popolo del fiume, che lo ricopre di “BUUUU!” (Sunofyork compresa).
Ora, forse le cose non sono andate in nessuno dei due modi, ma forse la verità non sta proprio nel mezzo, conoscendo il mio proverbiale coraggio. Ad ogni modo ci trasferiamo per mia volontà ferrea ad una cinquantina di metri più a valle, da quel momento timorosi di ogni movimento delle acque. Mio fratello sapientone mi dirà dopo che era un serpentello innocuo, e che non ci sono vipere d’acqua in appennino (non porgo le mie chiappe per verificarlo, caro il mio Piero Angela dei poveri, e le mie nozioni di biologia si fermano alla convinzione che qualsiasi animale che abbia una lingua biforcuta è anche velenosissimo…ndr.)
Finito il bagno, mi siedo infine ai bordi del fiume, a guardar passare veloce l’acqua col sole che mi cala di fronte, e la sensazione non è meno piacevole che starci dentro. Mentre Sunofyork ancora sguazza dentro il fiume, io mi rilasso e quasi naturalmente in testa mi arriva una canzone di tanto tempo fa, che mi culla per ancora qualche minuto prima di prendere zaini e borse e tornarcene nell’afa estiva. Filosofia spicciola al tramonto, sensazioni liquide, un profondo benessere dell’istante, un fermo immagine di serenità, mentre attorno tutto continua a scorrere ben più veloce di un torrente di montagna.