Mussolini a spasso col suo autista e la piccola leonessa
Il cucciolo di leonessa ha l’aria annoiata. Si chiama “Italia” e sta in grembo al suo padrone. In giacca di cuoio nero e bombetta, il giovane Mussolini siede accanto al guidatore e guarda verso l’obiettivo con aria rilassata.
La foto è del 1924 e fa rapidamente il giro del mondo.
Al volante della decappottabile, in secondo piano, scorgiamo un uomo sulla trentina. Porta i baffi alla Clark Gable e indossa un berretto con visiera. Guarda lontano, di tre quarti, con un vago sorriso sulle labbra. Il suo nome è Ercole Boratto, autista personale del “Duce del Fascismo” per un periodo lunghissimo, dal 1922 al 1943.
Di lui si sa poco. Piemontese, soldato nella Grande Guerra, una carriera in Polizia. Poi, dal 1919, driver di Nitti, Giolitti, Bonomi tra i palazzi della politica nella Città Eterna. Fino all’incontro fatale con l’“Uomo della Provvidenza” all’indomani della Marcia su Roma.
Le confessioni di Boratto sono riemerse dieci anni fa negli Archivi nazionali degli Stati Uniti, a College Park, nei pressi di Washington. Per caso, come spesso avviene ai ricercatori che si ostinano a curiosare tra le carte ingiallite dal tempo.
Nell’estate del 2004 eravamo intenti a studiare le centinaia di fascicoli dell’Office of Strategic Services (Oss), il servizio segreto americano degli anni Quaranta, quando ci capitò tra le mani una grossa busta gialla. Al suo interno, decine di foto che riproducevano un lungo testo battuto a macchina. Titolo: Un autista racconta.
Alle immagini era allegato un breve rapporto dei Servizi a stelle e strisce di stanza in Italia.
La mattina del 20 febbraio 1946, dice il documento, l’ex chauffeur di Mussolini varca la soglia dello Strategic Services Unit (Ssu) in via Sicilia 59, a Roma, a due passi da via Veneto. Le spie informano Washington che, qualche mese prima, l’agente “Dusty” ha avvicinato “un certo Ercole Boratto, ex autista dei Capi di Governo italiani. Ora è arrivato nella Capitale, da Torino”. Obiettivo: vendere alla stampa il “diario” da lui redatto con l’aiuto dell’intelligence statunitense.
E’ un sottile senso di angoscia a guidare le sue mosse. Un’ansia giustificata dal caos politico e sociale che regna sovrano a quasi un anno dalla fine del secondo conflitto mondiale. Tempi duri per questo funzionario dello Stato che per vent’anni ha scarrozzato il Duce in lungo e in largo per il Belpaese.
Boratto teme vendette e pone condizioni precise, ossia che il suo memoriale non esca in Italia e il suo nome sia “omesso”. Desidera poi “ricevere in dono un piccolo camion, non del denaro, in cambio della consegna dello scritto”. Gli agenti dell’Ssu lo rassicurano. Con loro al suo fianco, nulla potrà accadergli. A sua insaputa, però, fotografano pagina per pagina il lungo racconto. Finirà negli archivi della Cia – a Langley, in Virginia – fino alla sua desecretazione avvenuta mezzo secolo più tardi, nel 2000.
Ignoriamo se “il piccolo camion” sarà mai donato a Boratto, tantomeno se i suoi rapporti con lo spionaggio d’oltreoceano andranno avanti anche negli anni successivi.
Sappiamo solo che l’ex pilota del Duce viene affidato alle cure dell’“agente JK 12, che d’ora in poi seguirà il caso”.
Di tale oscuro personaggio parlano alcuni dispacci yankee del 1946, classificati top secret: “Giornalista indipendente a Roma, molto conosciuto e con relazioni nel campo diplomatico. E’ corteggiato da editori di destra e di sinistra perché assuma la direzione dei loro giornali. Da dodici anni, è amico personale di James Angleton [il capo del controspionaggio Usa in Italia]. In politica, è filoamericano e indipendente. JK12 va considerato un agente di lungo periodo. Occorre favorire il suo lavoro in merito a certi giornali italiani, per un periodo di un mese o due.”
Singolare la vicenda di questo spione nostrano. Nelle stesse settimane incontra anche un giovane politico democristiano. Il suo nome è Giulio Andreotti, ha appena ventisette anni e farà molta strada. Nel frattempo, il futuro “Belzebù” pensa bene di spifferare a JK12 (e ad Angleton) ciò che il Capo del Governo, Alcide De Gasperi, pensa e dice nel corso di varie “conversazioni private” con amici e collaboratori.
Produce ben presto i suoi frutti la collaborazione tra Boratto e il misterioso reporter italiano. Tra il marzo e l’aprile del 1946, una parte del memoriale esce a puntate su “Il Giornale del Mattino” di Roma. E’ tuttavia forte il sospetto che JK12 abbia messo ampiamente mano al “diario”, un testo troppo fluido e scaltro per essere attribuito unicamente a chi, per tutta la vita, si è occupato più di motori che di lettere.
Il quotidiano “la Repubblica” gli dedica un servizio di cinque pagine nel novembre del 2004, arricchito da foto, schede e commenti di Nicola Caracciolo, Attilio Bolzoni, Tano Gullo. Nel marzo del 2008 esce per la prima volta in versione integrale – nella collana “Top Secret” diretta dal giornalista e scrittore Fabio Amodeo –, ma solo nelle edicole del Friuli Venezia Giulia, assieme al quotidiano triestino “Il Piccolo”.
Questa petit histoire del Ventennio viene ora pubblicata da Castelvecchi e distribuita in tutta Italia. Sarà il lettore a giudicare se l’autore è sempre sincero nei suoi giudizi. Soprattutto, se sono tutti veri i molti eventi narrati su un regime totalitario e il suo controverso Duce.
Più umilmente, noi un’idea ce la siamo già fatta.
E’ al cinematografo che va il pensiero dinanzi a questo libello di memorie sparse. O meglio alla commedia all’italiana, un genere che conquisterà il mondo durante il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Opere dal sapore agrodolce che mescolano sapientemente umorismo, dramma, comicità, tragedia.
Provate ad immaginare Alberto Sordi nei panni di Ercole Boratto. Pensate ad alcuni memorabili film del geniale artista romano: Tutti a casa, I due nemici, La Grande Guerra, Una vita difficile, Polvere di stelle. L’Albertone nazionale sarebbe stato l’interprete perfetto di questo signor nessuno del Novecento, con le sue ingenuità e furbizie, meschinità e paure, eroismo e codardia.
Una pellicola che avrebbe fatto la sua gran bella figura nella celebre Storia di un italiano, la fortunata serie prodotta e trasmessa dalla Rai negli anni Settanta e Ottanta, grazie all’intuizione di un autore televisivo di razza come Giancarlo Governi, che di Sordi era grande amico e collaboratore.
A spasso col Duce è forse un fumetto sgangherato e un po’ confuso, un polpettone italiano che più italiano non si può. Ma ha un grande pregio. Mette impietosamente a fuoco una storia antica come il mondo, la saga tragicomica di un uomo qualunque scaraventato dal destino nel bel mezzo di eventi enormi e terribili.
Sempre accanto al suo capo. Nel bene e nel male.
Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino
***