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Storia (parecchio alternativa) della letteratura italiana

Da Aquilanonvedente

Storia (parecchio alternativa) della letteratura italianaAntonella Landi è un’insegnante toscanaccia che gestisce anche un blog e un sito e che ha scritto questa storia un po’ “alternativa” della letteratura italiana, partendo dal duecento fino a D’Annunzio (e saltando a piè pari – con soddisfazione – il Carducci).

Perché “alternativa”? Perché fa un po’ di gossip sugli autori, sulle loro manie, le loro fissazioni, le loro ansie. Insomma, su quello che in genere a scuola non ci insegnano (o per lo meno non ci insegnavano).

San Francesco, poeta folle e delicato e Jacopone da Todi, che si converte quando alla morte della moglie scopre che indossava un cilicio.

Jacopo da Lentini, Jacopo Mostacci e Pier della Vigna che discutono dell’amore e ne mettono in versi la dinamica, sempre uguale e sempre la stessa: vedo uno/a che mi garba, mi scarabattolo tutto dentro e piglio una botta che mi ripiglio dopo tre o quattro anni. La passione si scatena, straborda, esonda, poi col tempo si attenua e alla fine non ci si ama più.

Gli stilnovisti che elevano la donna a angelo e fanno impazzire le ragazze toscane, ai quali si contrappongono quelli della scuola comicorealista (“quelli chiacchierano, chiacchierano, chiacchierano, ma ‘un battono un chiodo!”).

Dante Alighieri, troppo grande, troppo completo, troppo bravo; mediocre di statura, il naso a becco d’aquila e le mascelle larghe alla Ridge Forrester. Educato in casa da Brunetto Latini, il gay più erudito di tutta la città, che stimò profondamente ma che nella Commedia butta tra i sodomiti, perché gli omosessuali non li digerì mai.

Francesco Petrarca, anima inquieta che lotta per fare il poeta, polemico e pesante, scrive in latino e schifava i suoi contemporanei.

Giovanni Boccaccio, mandato dal padre a studiare scienze bancarie a Napoli, mentre moriva pure lui dalla voglia di fare il poeta. E a Napoli incontra Maria dei Conti d’Aquino, “bella tonda e soda”. Lui non era come Petrarca (“l’amo, non l’amo, l’amo, non l’amo…”), lui ci dava dentro senza riserve.

Ludovico Ariosto (che scrive l’Orlando furioso dedicandolo all’amico Ippolito d’Este che dice “Un libro così brutto non l’avevo mai letto” e allora lui lo riscrive) e Niccolò Machiavelli, che scrisse quello che pensava senza tanti peli sulla lingua e ne pagò le conseguenze.

E poi Torquato Tasso (sparare su di lui sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, che pure uno come Leopardi pianse sulla sua tomba); Galileo Galilei (che abiurò di fronte a nostra madre chiesa per non finire sul rogo come Giordano Bruno); Carlo Goldoni (espluso dal collegio Ghisleri di Pavia per avere scritto una satira contro le donne pavesi); Ugo Foscolo, sempre impegnato in ginnastica erotica e che quando si innamorava emetteva torrenti di parole, che si trasformavano in fiumi di carta scritta.

Alessandro Manzoni, che da l’avvio alla moderna prosa italiana ed è moderno, attuale per niente bigotto e moralista. I genitori si separano quando era piccolo e viene spedito in un collegio cattolico. A diciotto anni finalmente esce libero (“Il primo che mi parla di Cristi e Madonne lo sfondo!” pare abbia detto una volta a casa) e se ne va a a trovare la madre a Parigi, respirandone l’aria molto diversa da quella della padania. A Parigi Manzoni diventa amico di Claude Fauriel, illuminista, e scopre l’esistenza di una cultura laica, lui che per anni aveva recitato rosari su rosari.

Giacomo Leopardi, infelice per definizione, ma che non era quel pessimista che icono le antologie scolastiche. Esagerato nello studio, nel quale si perdeva, a quattordici anni padroneggiava tre lingue antiche (latino, greco e ebraico) e si esprimeva in inglese, francese e spagnolo, tant’è vero che un giorno il suo precettore si licenziò perché “questo ne sa più di me e mi fa le domande a trabocchetto per vedere se ci casco”. Desideroso di andarsene da Recanati, non ci riuscì mai, finché i suoi lo spedirono a Roma, che però lo deluse parecchio (“Tutto qui? – pare abbia detto – Questa città mi sembra piena più che altro di burini.”) e quando tornò a Recanati, gli faceva schfi più di prima (come succede sempre a me quando mi sposto dalla padania, insomma).

E poi gli Scapigliati; Giovanni Verga, con la sua umanità disgraziata di contadini curvi, minatori, ribelli, sfruttati; Giovanni Pascoli, voce italiana del decadentismo e Gabriele D’Annunzio e la sua storia della costola.

E’ un gustoso libretto che lega questi personaggi alle loro opere in maniera originale e anche divertente. Leggerlo è stato un po’ come compiere un salto all’indietro agli anni del liceo.

Sto diventando troppo nostalgico. Sarà la vecchiaia…



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