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Su Pete Seeger, due parole di mio papà

Creato il 29 gennaio 2014 da Nicola_pedrazzi @Nicola_Pedrazzi
   Volevo tanto spendere due parole su Pete Seeger, ma non sapevo cosa scrivere. Di fatto io di Pete Seeger non so niente, se non che è uno che nella vita ha spaccato, e di brutto. Vista la qualità delle mie argomentazioni, e visto che qui non siamo al bar, mi stavo predisponendo a tacere, quando ho scoperto che, come spesso accade, ci aveva già pensato mio papà. L'articoletto che segue uscirà nel prossimo numero di «Riforma» (il settimanale delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi). Ho pensato che potesse interessare anche a chi, inspiegabilmente, a quel giornale non è abbonato; così ho immediatamente effettuato richiesta formale di pubblicazione all'autore. Ho testè ricevuto l'assenso, purché si tenga conto che l'articolo «non è affatto esauriente, ci sarebbero molte altre cose da dire, ad es. sul suo repertorio e sulla fortuna che alcuni suoi pezzi (originali o tradizionali da lui recuperati) hanno ottenuto in interpretazioni altrui (a cominciare dai Byrds), a volte con significati del tutto differenti (caso limite: «Datemi un Martello» di Rita Pavone). Anche sulla sua posizione politica sono stato un po’ evasivo, e forse fuorviante, finendo con l’assimilarlo alla stagione della nuova sinistra americana, mentre lui in realtà era un epigono della vecchia sinistra comunista degli anni trenta-quaranta. Va be’ comunque in poche righe non si può dir tutto, e per di più gratis, tu mi capisci. Ciao». Grazie papà, e buona lettura a voi tutti.
   Molti, specie tra i più giovani, hanno conosciuto Pete Seeger quando, nel 2006, Bruce Springsteen ha pubblicato un album interamente dedicato alla sua musica. Altri lo hanno forse visto la prima volta quando, dopo l'elezione di Obama, salì su un palco a festeggiare, arzillo vecchietto, insieme a vecchie glorie degli anni sessanta. Altri ancora non sanno chi sia o non lo ricordano. Invece Pete Seeger è una persona, e un artista, che merita di essere ricordata.
   Ha dedicato tutta la vita, fin da giovanissimo, alla riscoperta, alla conservazione e alla trasmissione dell'immenso e così vario patrimonio folk americano e non solo americano, viaggiando molto anche in Africa e in Europa. Parallelamente, ma inestricabilmente al suo impegno musicale, si è sempre battuto per cause sociali o diciamo pure politiche, accompagnando le varie stagioni della storia americana, in battaglie ora sindacali, ora ecologiste, ora pacifiste e, soprattutto, nel campo dei diritti civili. In entrambi questi ambiti, che però nel suo caso sono un tutt'uno, ha dato prova, per un periodo così lungo, di una grande coerenza e di un'inesauribile e invidiabile energia. Questo anche a costo di essere un po' monocorde dal punto di vista artistico e di apparire un po' fissato dal punto di vista politico-sociale. Altri artisti, ad esempio Dylan, di cui fu inizialmente il mentore, hanno preso le mosse dalle stesse posizioni ma poi si sono evoluti su strade diverse e personali. Ma ognuno deve scegliere cosa essere, e lui la sua scelta l'ha fatta e la ha mantenuta con coerenza per lunghissimi anni.
   In questi giorni si è scritto molto su di lui, rievocando il periodo in cui, insieme a Woody Guthrie e ad altri intellettuali della scena newyorkese, dava vita a un minuscolo ma tenace movimento di folk revival, attraverso la pubblicazione di numerosissimi dischi per etichette specializzate. Allegati a quei dischi erano sempre anche i testi, e saggetti introduttivi per meglio inquadrare i brani eseguiti, rigorosamente al banjo o alla chitarra acustica. Intenti quindi per nulla commerciali ma semmai storico-filologici. Per la verità il gruppo degli Weavers di cui faceva parte ottenne, all'inizio degli anni cinquanta, anche un grande successo commerciale con il brano Goodnight Irene. Ma nel complesso la sua attività rimase a lungo poco conosciuta dal grande pubblico.
   All'inizio degli anni sessanta il clima complessivo nel paese cominciò a cambiare e, come testimoniato da un disco registrato dal vivo alla Carnegie Hall, si aprivano spazi per un seguito più largo. E' questo il periodo più fertile non solo di incisioni ma di iniziative, a partire dal folk festival di Newport, replicato per vari anni, dal cui palco spiccarono il volo prima Joan Baez poi Bob Dylan e dove trovarono una occasione di rilancio vecchi e grandi bluesman dimenticati come Mississippi John Hurt.
   In quegli stessi anni Seeger teneva una rubrica televisiva nella quale, in un clima di grande semplicità, venivano ospitati musicisti anziani e giovani, bianchi e neri (emblematica in questo senso una partecipazione, insieme, del reverendo Gary Davis e di Donovan). Parecchio di questo materiale è facilmente reperibile su You Tube. Andarlo a vedere e ad ascoltare mi sembra il modo migliore per ricordarlo. Spesso lui non canta quasi, lasciando spazio agli altri, e anche questo ci rivela un lato bello, e piuttosto raro, della sua figura di artista.

Carlo Pedrazzi

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