Mentre la registrazione della trasmissione sulle scie chimiche di venerdì scorso è già on line, ascoltabile qui o scaricabile da questo link, mercoledì 23 novembre sempre su RADIO IES e sempre grazie a David Gramicciolisi parlerà della critica alla teoria infettiva dell’AIDS (Sindrome da Immunodeficienza Acquisita) con una intervista a Corrado Penna
La radio di Roma trasmette sui 99,8 Megahertz in FM per Roma e provincia, canale 635 del digitale terrestre e si può ascoltare anche in streaming. Prima di riportare alcune “incredibili” rivelazioni sull’AIDS prese da una intervista al cosiddetto co-scopritore del virus (che sostanzialmente ammette che nessuno, riguardo all’HIV, ha mai portato fino in fondo la tecnica standardizzata e riconosciuta valida per l’isolamento dei retrovirus, come dire che nonostantre i finanziamenti miliardari dopo quasi 30 anni non abbiamo una prova degna di questo nome nemmeno sull’isolaento del virus), faccio notare come nella trasmissione di venerdì diverse persone cui era stato rivolto l’invito a parlare in trasmissione si sono rifiutate: il meteorologo Giuliacci ha affermato di non avere tempo, Piero Angela ha affermato di non voler partecipare ad una trasmissione a cui partecipava anche Massimo Mazzucco, e i dirigenti dell’ENAV hanno affermato di non volere partecipare ad una trasmissione a cui partecipava anche Rosario Marcianò … di cosa hanno paura costoro? Per altro era stato loro chiarito che non si trattava di un confronto con le voci in simultanea, ma solo una sequenza di interviste indipendenti le une dalle altre.Per approfondimenti sull’AIDS vedi
Dottor Marco Ruggiero, Università di Firenze: AIDS di origine chimica in Italia L’isolamento del virus HIV è stato mai ottenuto? sieropositivi ed in buona salute http://digilander.libero.it/scienzamarcia/aids.htmhttp://scienzamarcia.blogspot.com/search/label/aids
E’ STATO VERAMENTE LUC MONTAIGNER A SCOPRIRE L’HIV? “RIBADISCO, NOI NON LO ABBIAMO ISOLATO!” Rivista Continuum 1997 vol 5, numero 2 Questa intervista farà parte di un libro che verrà pubblicato quest’anno chiamato “Una conversazione sull’AIDS col Professore Montaigner” dove lo scienziato francese racconta all’autore Djamel Tahi aspetti della ricerca sull’AIDS. [nel frattempo la pubblicazione del libro è avvenuta - n.d.t.] Nel presente articolo le risposte di Luc Montaigner sono state numerate per agevolare il riferimento per l’analisi. D.T.: Un gruppo di scienziati dell’Australia afferma che nessuno finora ha isolato il virus dell’HIV. Secondo loro non sono stati rispettati con attenzione i criteri per l’isolamento dei retrovirus HIV. I criteri sono: coltura in vitro, purificazione del materiale per ultracentrifugazione, fotografie al Microscopio Elettronico (EM) di tale materiale il quale appare in bande alla densità dei retrovirus, definizione di queste particelle, ed una conferma della infettività delle particelle. L.M.: No, ciò non è quello che viene ritenuto (scientificamente) un isolamento. Abbiamo eseguito l’isolamento perché noi “abbiamo trasmesso” il virus, abbiamo fatto un coltura del virus. Ad esempio Gallo disse: “Loro non hanno isolato il virus … e noi (Gallo e la sua equipe) lo abbiamo fatto emergere in abbondanza in una linea cellulare immortale.” Comunque prima di farlo emergere in linee cellulari immortali, lo abbiamo fatto emergere in colture di linfociti normali provenienti da un donatore di sangue. Questo è il criterio principale. Avevamo un qualcosa che potevamo trasmettere in serie, che potevamo conservare. Ed era anche definito come retrovirus non soltanto per le sue proprietà visibili, ma anche per quelle biochimiche, cioè l’attività di transcriptasi inversa (RT), la quale è veramente specifica dei retrovirus. Abbiamo avuto anche le reazioni degli anticorpi contro certe proteine, probabilmente si trattava di proteine interne. Lo dico probabilmente per analogia con la conoscenza di altri retrovirus. Non avremmo potuto isolare questo retrovirus senza la conoscenza di altri retrovirus, ciò è ovvio. Comunque credo che abbiamo seguito i criteri di isolamento. Totalmente. 1 D.T.: Torniamo al protocollo di isolamento di retrovirus che è: coltura in vitro, purificazione alla densità dei retrovirus, fotografie EM del materiale alla densità dei retrovirus, definizione delle particelle, verifica della capacità infettiva delle particelle. Sono state eseguite tutte queste fasi per l’isolamento dell’HIV? Prendendo in considerazione svariati articoli scientifici pubblicati dal gruppo di ricerca australiano è risultato inoltre che l’RT non risulta unicamente specifica per i retrovirus. Avrei il piacere di domandarle, è vero che il vostro lavoro per trovare l’RT non è stato portato avanti sul materiale purificato? L.M.: Credo che abbiamo pubblicato su Science (maggio 1983) un gradiente che mette in mostra che l’RT aveva per la precisione 1.16 di densità. Quindi avevamo un massimo, il quale era RT. Di conseguenza abbiamo soddisfatto questo criterio per la purificazione. Comunque trasmetterlo in serie è difficile perché quando si mette del materiale di questo tipo in un gradiente per venir purificato, occorre sapere che i retrovirus sono molto fragili, quindi si rompono a vicenda perdendo il loro potere infettivo. Penso che comunque siamo riusciti a conservare un po’ del loro potere infettivo. Allora non era tanto facile quanto lo è oggi, perché le quantità di virus erano non di meno molto basse. All’inizio ci siamo imbattuti su un virus che non uccideva le cellule. Il virus proveniva da un paziente asintomatico e di conseguenza è stato classificato tra quei virus che non formano sincizio, virus non citopatogenici che usano il co-ricettore ccr5. E’ stato il primo virus BRU. Ne avevamo molto poco, e non potevamo trasmetterlo in una linea di cellule immortali. Abbiamo provato a farlo per diversi mesi, ma non c’è l’abbiamo fatta. C’è l’abbiamo fatta molto facilmente invece con il secondo ceppo. Però là si trova il problema abbastanza misterioso della contaminazione di quella seconda discendenza ad opera della prima. Ciò era stato chiamato LAI [HIV]. 2 D.T.: Perché le fotografie EM da voi pubblicate provengono da un coltura cellulare in vitro e non dalla purificazione? L.M.: C’era talmente poca produzione di virus che risultava impossibile vedere cosa poteva esserci in un concentrato di virus da un gradiente. Non c’era sufficiente virus per far questo, anche se lo cercavamo fin dall’inizio nei tessuti ricavati dalla biopsia. Abbiamo visto alcune particelle che però non avevano la morfologia tipica dei retrovirus. Erano molto diverse. Relativamente differenti. Di conseguenza con la coltura in vitro abbiamo impiegato diverse ore per trovare le prime fotografie. E’ stato uno sforzo gigantesco! E’ facile criticare tutto questo a posteriori. Ciò che non avevamo, e lo ho sempre riconosciuto, era il fatto che fosse veramente la causa dell’AIDS. 3 D.T.: Come è possibile,senza le fotografie al microscopio elettronico (EM) della purificazione, sapere se queste particelle sono virali e che appartengono ad un retrovirus, addirittura a un retrovirus specifico? L.M.: Beh, c’erano le fotografie della proliferazione. Abbiamo pubblicato immagini della proliferazione le quali sono caratteristiche dei retrovirus. Avendo detto ciò, non potevamo dire che si trattava veramente di un retrovirus basandoci solamente sulla morfologia. Ad esempio, uno specialista francese di foto all’EM di retrovirus mi attaccò pubblicamente dicendo: “Questo non è un retrovirus, si tratta invece di un arenavirus”. Perché ci sono altre famiglie di virus che fuoriescono anch’esse dalla membrana cellulare e che presentano punte nella loro superficie, ecc. 4 D.T.: Perché questa confusione? Le fotografie EM non mostrano chiaramente un retrovirus? L.M.: In quel momento i retrovirus meglio conosciuti erano quelli di tipo C, i quali erano molto tipici. Il retrovirus di cui stiamo parlando non era del tipo C ed i lentivirus erano poco conosciuti. Io personalmente lo ho riconosciuto nella biblioteca guardando fotografie del virus dell’anemia infettiva equina, e dopo del virus VISNA. Ma ribadisco, non è stata solo la morfologia e la proliferazione, c’era RT…è stato l’insieme di queste proprietà ciò che mi fece affermare che si trattava di un retrovirus. 5 D.T.: Riguardo l’RT, la si trova nella coltura in vitro. Quindi se si trovano particelle retrovirali significa che è avvenuta la purificazione. Comunque a questa densità ci sono molti altri elementi, tra cui quelli che vengono chiamati “simili ai virus”. L.M.: Certo, certo. In altre parole, non è solo una proprietà ma l’insieme delle proprietà ciò che ci fece affermare che si trattava di un retrovirus appartenente alla famiglia dei lentivirus. Presa isolatamente, ciascuna delle proprietà non è veramente specifica. E’ invece il loro insieme che conta. Quindi avevamo: il gradiente di densità, l’RT, le fotografie della proliferazione (gemmazione) e l’analogia con il virus VISNA. Queste sono le quattro caratteristiche. 6 D.T.: Ma come fanno tutti questi elementi a provare che si tratta di un nuovo retrovirus? Alcuni di questi elementi potrebbero appartenere ad altre cose, a delle particelle “simili a virus” per esempio… L.M.: Certo, e addirittura abbiamo retrovirus endogeni i quali delle volte esprimono particelle, ma di origine endogena che non hanno quindi ruoli patologici, in ogni caso non nell’AIDS. 7 D.T.: Allora come si può fare la distinzione? L.M.: Perché siamo riusciti a trasmettere il virus. Abbiamo trasmesso l’attività RT in nuovi linfociti. Abbiamo ottenuto replicazione cellulare. Abbiamo seguito la traccia del virus. L’insieme delle proprietà ci ha fatto affermare che si trattava di un retrovirus. E perché nuovo? La prima domanda che ci è stata sollevata dalla rivista Nature era: “Non si tratta per caso di una contaminazione da laboratorio? Si tratta per caso di un retrovirus di un topo o di un retrovirus animale?”. A ciò potevamo dire di no! Perché avevamo dimostrato che il paziente aveva anticorpi contro una proteina del proprio virus. L’insieme di questi fattori ha una logica perfetta! Comunque è importante prenderlo come un insieme. Se si prende ciascuna proprietà in maniera indipendente, non sono specifiche. E’ l’insieme che rende la specificità. 8 D.T.: Comunque alla densità dei retrovirus lei ha osservato particelle che sembravano retrovirus? Un nuovo retrovirus? L.M.: A densità 1.15, 1.16 avevamo un massimo di attività RT, la quale è l’enzima caratteristico dei retrovirus. 9 D.T.: Ma potrebbe essere stata un’altra cosa? L.M.: No … secondo me era molto chiaro. In questa maniera, non potrebbe essere stato nient’altro che un retrovirus. Visto che l’enzima caratterizzato biochimicamente dal mio collega F. Barre-Sinoussi era privo di magnesio, un po’ come l’HTLV. Aveva bisogno della matrice, lo stampo, anche del primer il quale era totalmente caratteristico di una RT. Su ciò non c’erano dei dubbi. Nel settembre 1983 a Cold Spring Harbour, Gallo mi chiese se ero sicuro che si trattava di RT. Lo sapevo, F. Barre-Sinoussi aveva fatto dei controlli. Non si trattava di una semplice polimerasi cellulare, ma di una RT. Funzionava soltanto con primer di RNA, faceva DNA. Questo era sicuro. 10 D.T.: Lei ha seguito la stessa procedura e ha trovato le stesse difficoltà con gli altri retrovirus che ha trovato lungo la sua carriera? L.M.: Le direi che per quanto riguarda l’HIV è un processo facile. In confronto con gli ostacoli che si trovano con altri…perché il virus non emerge, o addirittura perché l’isolamento è sporadico, ce la facciamo una volta su cinque tentativi. Sto parlando di ricerca normale in altre malattie. Possiamo citare il virus della sclerosi multipla del Professore Peron. Mi ha fatto vedere il suo lavoro una decina di anni fa e ci ha messo dieci anni circa per trovare alla fine una sequenza genetica che è molto vicina a un virus endogeno. Lo capisce…è molto difficile. Visto che non è riuscito a trasmettere il virus, non è riuscito a farlo emergere in coltura in vitro. L’HIV spunta come la gramigna. Il ceppo LAI [HIV], ad esempio, spunta come la gramigna. Per questo motivo ha contaminato gli altri. 11 D.T.: In questo modo ha coltivato i linfociti dei suoi pazienti? Con la linea cellulare H9? L.M.: No, perché non ha funzionato in assoluto con l’H9. Abbiamo adoperato molte linee cellulari ed i linfociti Tambon è stata l’unica linea cellulare che siamo stati in grado di coltivare. 12 D.T.: Comunque adoperando questo tipo di elementi è possibile introdurre altre cose in grado di indurre una RT, e altre proteine, ecc… L.M.: Sono completamente d’accordo. E’ stato il motivo per cui alla fine non eravamo molto interessati ad adoperare linee cellulari immortali. Per coltivare il virus, grosso modo andava bene. Ma non per caratterizzarlo, perché sapevamo che avremmo introdotto altre cose. Ci sono linee cellulari MT che sono state trovate dai giapponesi (MT2, MT4) le quali replicano l’HIV molto bene e che vengono contemporaneamente trasformate dal HTLV. Quindi abbiamo un misto di HIV e HTLV. E’ un vero miscuglio. 13 D.T.: Ciò che è molto più importante, non è possibile che i pazienti fossero infettati da altri agenti infettivi? L.M.: Potrebbero esserci dei micoplasmi…potrebbero esserci un sacco di cose. Comunque per fortuna avevamo l’esperienza negativa con virus associati ai tumori e ciò ci ha aiutato, perché avevamo già constatato tutti questi problemi. Ad esempio, un giorno avevo una reazione molto debole di RT, che mi è stata consegnata da Barre-Sinoussi, con una densità un po’ più alta, 1.19. E l’ho controllata! Si trattava di un micoplasma, non di un retrovirus. 14 D.T.: Col materiale purificato alla densità tipica dei retrovirus, come è possibile distinguere tra ciò che è virale e ciò che non lo è? Perché a questa densità ci sono un mucchio di altre cose, incluse particelle “simili a virus”, frammenti cellulari… L.M.: Certo, è per questo motivo che risulta più facile con la coltura cellulare in quanto si vedono le fasi della produzione di virus. Abbiamo la gemmazione. Charles Dauget (uno specialista EM) ha osservato direttamente le cellule. Certamente guardò il plasma, il concentrato, ecc…non ha visto niente di importante. Visto che se si fa un concentrato c’è bisogno di fare una sezione sottile (per guardare un virus con l’EM), e per fare una sezione sottile bisogna avere un concentrato di almeno la misura della testa di un ago. Per poter far questo occorre avere enormi quantità di virus. In contrasto, si fanno sezioni sottili di cellule molto facilmente ed è in queste sezioni sottili dove Charles Dauget trovò i retrovirus, con diverse fasi di gemmazione. 15 D.T.: Quando si guardano le fotografie al microscopio elettronico pubblicate, essendo lei un retrovirologo, è chiaro per lei che si tratta di un retrovirus, di un nuovo retrovirus? L.M.: No, a quel livello non si può affermare. Le prime fotografie della proliferazione potevano riferirsi ad un tipo di virus C. Non si riesce a distinguere. 16 D.T.: Potrebbe trattarsi di qualcos’altro rispetto ad un retrovirus? L.M.: No… beh, dopotutto, sì…potrebbe trattarsi di un altro virus, in fase di gemmazione. Comunque c’è un…abbiamo un atlante. E’ l’esperienza che ci fa capire se si tratta di un retrovirus o no. Dalla morfologia si può distinguere, ma bisogna avere una certa esperienza. 17 D.T.: Perché non la purificazione? L.M.: Ribadisco che non abbiamo purificato. Abbiamo purificato per caratterizzare la densità dell’RT, la quale era solidamente quella di un retrovirus. Ma non siamo arrivati al massimo, o non ha funzionato….perché se si purifica, si danneggia. Quindi per quanto riguarda le particelle infettive, è meglio non toccarle molto. Di conseguenza si preleva semplicemente ciò che galleggia alla superficie della coltura dei linfociti i quali hanno prodotto il virus e lo si mette in una piccola quantità su alcune nuove colture di linfociti. E ne consegue che si trasmette il retrovirus in serie e sempre si ritroveranno le stesse caratteristiche e aumenta inoltre la produzione ogni volta che avviene la trasmissione. 18 D.T.: Quindi lo stadio di purificazione non è necessario? L.M.: No, no, non è necessario. Ciò che è fondamentale è trasmettere il virus. Il problema che Peron aveva con il virus della sclerosi multipla era che lui non riusciva a trasmettere il virus da una coltura all’altra. E’ questo il problema. E’ riuscito a farlo un po’, ma non sufficientemente per caratterizzarlo. E attualmente caratterizzare significa soprattutto farlo a livello molecolare. Se si desidera, la procedura va più velocemente. Quindi per farlo bisogna partire da una sequenza di DNA, clonare questo DNA, amplificarlo, sequenziarlo, ecc. Quindi abbiamo il DNA, la sequenza del DNA la quale dimostra che si tratta veramente di un retrovirus. Si conosce la struttura dei retrovirus, tutti i retrovirus hanno una struttura genomica che assomiglia ad un gene che è caratteristico. 19 D.T.: Quindi per l’isolamento di retrovirus lo stadio di purificazione non è obbligatorio? Si possono isolare retrovirus senza purificare? L.M.: Certo…non è obbligatorio trasmettere materiale puro. Sarebbe meglio, ma esiste il problema che si danneggia e si diminuisce la proprietà infettiva dei retrovirus. 20 D.T.: Senza passare attraverso questo stadio di purificazione, non esiste per caso il rischio di confusione riguardo le proteine che vengono identificate e anche riguardo l’RT, la quale potrebbe provenire da qualcos’altro? L.M.: No … dopotutto, ribadisco che se abbiamo un’attività di RT a densità 1.15, 1.16 ci sono 999 possibilità tra 1.000 che si tratti di un retrovirus. Ma potrebbe trattarsi di un retrovirus di origine diversa. Ribadisco, ci sono alcuni retrovirus endogeni, pseudo particelle che possono venire emesse dalle cellule, ma comunque, provenienti dalla zona del genoma che produce i retrovirus. Vengono ereditate e permangono nella cellula per un lungo periodo di tempo. Comunque penso che alla fine, per avere la certezza – perché le cose evolvono alla pari della biologia molecolare consentendo una caratterizzazione ancora più facile attualmente - bisogna passare molto velocemente al clonaggio. E ciò è stato fatto molto velocemente, sia da Gallo che da noi stessi. Clonare e sequenziare, è lì che si trova la completa caratterizzazione. Ma ribadisco, la prima caratterizzazione è quella dell’appartenenza alla famiglia dei lentivirus, la densità, la proliferazione ecc., le proprietà biologiche, l’associazione con le cellule T4. Tutto ciò fa parte della caratterizzazione, e siamo stati noi a farlo. 21 D.T.: Ma si arriva a un punto che bisogna fare la caratterizzazione del virus. Ciò significa: quali sono le proteine di cui è composto? L.M.: Certo. Quindi allora, l’analisi delle proteine del virus richiede produzione massiccia e purificazione. Bisogna farlo. Ed è qui che dovrei dire che ciò è fallito parzialmente. J.C. Chermann era incaricato di far questo, almeno per le proteine interne ed ha avuto delle difficoltà a produrre il virus, quindi non ha funzionato. Ma questa era una delle strade possibili, l’altra era quella di avere gli acidi nucleici, il clonaggio, ecc. E’ questa la strada che ha funzionato molto velocemente. L’altra possibilità non ha funzionato perché avevamo all’epoca un sistema di produzione che non era sufficientemente vigoroso. Non avevamo abbastanza particelle prodotte per purificare e caratterizzare le proteine virali. Non potevamo farlo. All’epoca non si poteva produrre molto virus perché questo virus non emergeva nella linea cellulare immortale. Siamo riusciti a farlo con il virus LAI [HIV], ma all’epoca non lo sapevamo. 22 D.T.: Gallo è riuscito? L.M.: Gallo?…Non credo che abbia purificato. Non lo credo affatto. Credo che si sia buttato molto velocemente sul campo molecolare, cioè il clonaggio. Ciò che in realtà ha fatto è il Western Blot. Io e la mia équipe abbiamo invece adoperato la tecnica RIPA, quindi ciò che il gruppo americano ha fatto di nuovo era l’identificazione di alcune proteine che non erano state viste bene con l’altra tecnica. Qui abbiamo un altro aspetto della caratterizzazione di un virus. Non si può purificare, ma si conosce qualcosa che ha anticorpi contro le proteine del virus e si può purificare il complesso anticorpo/antigene. E’ ciò che abbiamo fatto. E di conseguenza avevamo una banda visibile, etichettata a livello radioattivo, che sono state chiamate proteine 25, p25. E Gallo ne ha viste delle altre. C’era la p25 che lui chiamò p24, c’era la p41 che noi stessi avevamo visto… 23 D.T.: Riguardo gli anticorpi, numerose ricerche hanno dimostrato che questi anticorpi reagiscono con altre proteine o elementi che non fanno parte dell’HIV. E che non possono essere sufficienti per caratterizzare le proteine dell’HIV. L.M.: No! Perché noi controllavamo. Avevamo della gente che non aveva l’AIDS e che non avevano anticorpi contro queste proteine. E le tecniche che adoperammo erano le stesse che io stesso avevo affinato alcuni anni prima, per trovare il gene src. Anche il gene src è stato trovato tramite l’immunoprecipitazione. Era il p60 (proteina 60). Ero molto abile, e anche il mio assistente, con la tecnica RIPA. Se si ottiene una reazione specifica, è specifica. 24 D.T.: Ma sappiamo che i pazienti di AIDS vengono infettati da altri molteplici agenti infettivi che sono suscettibili di… L.M.: Beh, sì, comunque gli anticorpi sono molto specifici. Sanno come distinguere una molecola in un milione. C’è una grossa affinità. Quando gli anticorpi hanno sufficiente affinità, si pesca qualcosa di veramente molto specifico. Con l’ausilio degli anticorpi monoclonali si tira fuori in realtà UNA proteina. Tutto ciò viene adoperato per trovare antigeni a scopi diagnostici. 25 D.T.: Secondo lei la p41 non era di origine virale e perciò non apparteneva all’HIV. Secondo Gallo era la proteina dell’HIV più specifica. Perché questa contraddizione? L.M.: Tutte e due avevamo abbastanza ragione. Ciò vuol dire che io nella mia tecnica RIPA…difatti ci sono proteine cellulari che si trovano ovunque, c’è un “rumore di fondo” non-specifico, e tra queste proteine una è molto abbondante nelle cellule, cioè l’actina. E questa proteina ha un peso molecolare di 43000kd. Quindi, era lì. Quindi io avevo abbastanza ragione, ma Gallo ha visto che, dall’altra parte, c’era la gp41 dell’HIV, perché lui stava usando il Western Blot. E ciò lo ho riconosciuto. 26 D.T.: Secondo Lei la p24 era la proteina dell’HIV più specifica, ma per Gallo no. Si vede grazie ad altri studi che gli anticorpi indirizzati verso la p24 spesso venivano trovati in pazienti che non erano infettati dall’HIV, e anche in certi animali. Difatti attualmente, una reazione anticorpale con p24 viene considerata non specifica. L.M.: Non è sufficiente per diagnosticare l’infezione da HIV. 27 D.T.: Nessuna proteina è sufficiente? L.M.: Un proteina non è sufficiente in nessun modo. Comunque all’epoca il problema non si era rivelato così. Il problema consisteva nel conoscere se era un HTLV o no. L’unico retrovirus umano conosciuto era l’HTLV. E abbiamo dimostrato chiaramente che non si trattava di un HTLV, che gli anticorpi monoclonali di Gallo contro la p24 dell’HTLV non riconoscevano la p25 dell’HIV. 28 D.T.: Alla densità dei retrovirus, cioè 1.16, ci sono molte particelle, ma soltanto il 20% appartiene all’HIV. Perché l’80% delle proteine non sono virali mentre le altre lo sono? Come si fa a distinguerle? L.M.: Ci sono due spiegazioni. Da una parte, a questa densità abbiamo ciò che vengono chiamate microvescicole di origine cellulare, le quali hanno circa la stessa misura dei virus, e poi lo stesso virus, nella fase di gemmazione, porta proteine cellulari. Difatti queste proteine non sono virali, sono di origine cellulare. Quindi, come distinguerle? Onestamente, con questa tecnica non lo si può fare con precisione. Ciò che possiamo fare è purificare il virus al massimo con gradienti successivi, e sempre ci troviamo con le stesse proteine. 29 D.T.: Le altre spariscono? L.M.: Diciamo che le altre si riducono un po’. Le microvescicole vengono eliminate, ma ogni volta si perde molto virus, quindi bisogna avere molto virus per iniziare affinché se ne possa conservare un po’ quando si giunge alla fine. Fondamentale è l’analisi molecolare, è infatti la sequenza di queste proteine che ci consentirà di affermare se sono di origine virale o no. Questo è quello che abbiamo cominciato per la p25, che poi fallì … e l’altra tecnica è quella di fare il clonaggio, e quindi dopo si ottiene il DNA e dal DNA si ottengono a loro volta le proteine. In seguito si deduce la sequenza delle proteine, la loro misura e, un’altra volta, ci si imbatte su ciò che avevamo già osservato con la immunoprecipitazione o con l’elettroforesi del gel. Conoscendo le misure delle proteine di altri retrovirus, per analogia si possono dedurre queste proteine. Quindi abbiamo la p25 che è vicina alla p24 dell’HTLV, abbiamo la p18 … alla fine abbiamo le altre. Dall’altra parte quella che era molto differente era la proteina molto grossa p120. 30 D.T.: Attualmente sono stati risolti i problemi relativi alla produzione in serie del virus, purificazione, fotografie EM alla banda di 1.16? L.M.: Sì, certo. 31 D.T.: Esistono fotografie EM dell’HIV provenienti dalla purificazione? L.M.: Sì, certo. 32 D.T.: Sono state pubblicate? L.M.: Non saprei risponderle … ne abbiamo qualcuna da qualche parte … ma non interessano, in nessun modo. 33 D.T.: Attualmente, con la produzione in serie del virus, è possibile, dopo la purificazione, vedere un EM di un gran numero di virus? L.M.: Certo, certo. Totalmente. Si possono vedere, si possono anche vedere delle bande molto nitide. 34 D.T.: Quindi secondo Lei l’HIV esiste?
L.M.: Beh, è chiaro. L’ho visto e l’ho incontrato. 35