Soprattutto nelle ultime settimane, le cronache dei giornali si sono riempite di notizie relative a persone che hanno scelto di uccidersi perché schiacciate da tutte quelle preoccupazioni e tensioni connesse al non avere un lavoro o al trovarsi costretti a licenziare per fare andare avanti l’azienda. Sul legame che può esserci tra alcuni suicidi e la crisi economica ho già scritto. Torno sull’argomento per sottolineare che, tra i tanti fattori che spingono una persona a togliersi la vita, può esserci anche, in alcuni casi, il modo in cui i media parlano dei suicidi.
Media ed effetto Werther
Che l’uomo sia un animale sociale, le cui scelte dipendono in parte da quello che fanno gli altri, è cosa nota sin dai tempi di Aristotele. E non sempre i comportamenti che imitiamo sono comportamenti di salute.
Per indicare l’influenza che i media – giornali, trasmissioni televisive e radiofoniche, siti Internet, etc. – possono avere sulla decisione di suicidarsi, Phillips, sociologo statunitense, propose il termine “effetto Werther”.
L’effetto Werther prende il nome dal romanzo di Goethe I dolori del giovane Werther, in cui Werther, respinto da Lotte, si uccide: dopo la pubblicazione del romanzo, nel 1774, in tutta Europa tantissime persone decisero di imitare il gesto di Werther e si suicidarono.
Stessa ondata di suicidi nel 1962, all’annuncio del suicidio di Marilyn Monroe.
Davvero i media ci influenzano?
È ovvio che, se bastasse leggere che una persona si è suicidata per suicidarsi a propria volta, non ci sarei neanch’io qui a scriverne.
Il modo in cui reagiamo alle cose della vita è quanto mai soggettivo e complesso e, dietro la decisione di uccidersi, ci sono soprattutto fattori legati alla personalità: in primis, stati di depressione e poca capacità di mettere a frutto risorse personali e sociali per affrontare la depressione e in generale momenti critici e stress, cioè una bassa resilienza. Accade così che, per alcune persone, sapere che altri hanno scelto la via del suicidio legittima a fare altrettanto. Soprattutto se vengono ravvisate somiglianze con quelle persone, se sembra di avere gli stessi problemi e difficoltà, meccanismo che in psicologia si chiama identificazione, è possibile che l’altro venga preso come modello da imitare.
Dunque, le notizie di suicidi in alcuni riecheggiano in modo tale da fare da molla, in altri creano dolore e pietas.
Parlare dei suicidi con qualche accortezza
Questo significa che, nel parlare dei suicidi, è necessario che i media usino qualche accortezza. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stilato al riguardo un elenco di consigli:
- dare corrette informazioni sul tema del suicidio;
- evitare un linguaggio sensazionalistico o normalizzante e non presentare il suicidio come un modo ragionevole per risolvere i problemi;
- evitare di collocare la notizia in primo piano, ad esempio in prima pagina o in apertura di telegiornali o giornali radio, e di ripeterla;
- evitare dettagli sul metodo di suicidio o tentato suicidio o sul luogo dove esso è avvenuto;
- prestare attenzione all’utilizzo delle parole nel titolo e all’utilizzo di fotografie o riprese video;
- prestare particolare attenzione alle modalità di presentazione di suicidi di personaggi famosi;
- mostrare rispetto e cautela per le persone in lutto a causa del suicidio di un parente o conoscente;
- tenere presente che gli stessi giornalisti possono essere emotivamente colpiti da un evento come il suicidio.
Meglio chiedere aiuto.
Sempre secondo le linee guida dell’OMS, i media dovrebbero fornire informazioni sui centri di prevenzione, help line e servizi a cui rivolgersi e incoraggiare chi è in difficoltà a chiedere aiuto.
Seguendo questo consiglio, ricordo che a Roma esiste il Servizio per la prevenzione del suicido presso l’Ospedale Sant’Andrea, help line attiva da lunedì a venerdì dalle 9:30 alle 16:30 al numero 06.33777740.
Photo credit: bplanet
Rosalia Giammetta