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Sul senso dell’immaginazione nella scrittura

Da Marcofre

Se dico immaginazione, molti ritengono che sia la qualità indispensabile se si sceglie di scrivere, e che se ne debba avere in grande quantità. Io penso che bisognerebbe avere soprattutto talento, ma è un discorso che non desidero affrontare; lo faccio già troppo spesso.
Sono d’accordo sull’immaginazione, però non nel senso che si crede di solito.

L’immaginazione non deve essere nella storia, ma soprattutto nelle parole, e nella scelta delle parole. Un buon metodo che si utilizza nelle case editrici per capire chi è che scrive, è appunto vedere quanta immaginazione c’è nella scrittura dell’aspirante autore. Ecco perché bastano poche righe per comprendere se per esempio è necessario continuare la lettura, o interromperla dopo due righe.

A questo punto, l’aspirante autore si indigna, perché vorrebbe una lettura più consapevole e completa, e solo dopo, alla fine del romanzo, il giudizio.

Purtroppo questo non è possibile, e non solo perché manca il tempo. Bensì perché è evidente la mancanza di immaginazione nella scelta delle parole. Sono ovvie, sono lì sulla pagina non per avvicinare i lettori all’esperienza del protagonista, ma per rendergliela il più possibile distante.

Noi viviamo in una realtà dove si parla e si scrive troppo, e spesso senza che ci sia davvero la necessità di farlo. La parola non viene usata per comunicare, ma per segnalare la nostra presenza: siamo qui, ci vedete? Questa stortura penetra anche nella narrativa, dove spesso la questione della scrittura, la sua qualità, è ignorata.

L’immaginazione e solo questa, diviene il viatico per la narrativa. L’immaginazione nella scrittura, quindi l’impegno a scovare una prosa efficace e di valore, distante dalla sciatteria quotidiana, molto meno.

C’è anche un altro attore che non aiuta: la televisione. Non intendo dire che è il male, ma in troppi credono che sia sufficiente usare il suo linguaggio per essere efficaci. Non comprendono che la pagina è proprio un altro pianeta, con le sue leggi: o ti adatti o soccombi. E quel pianeta sopravviverà comunque, con o senza di te. Anche perché non ama la sovrappopolazione, anzi.

C’è un ulteriore equivoco: si dice che occorre parlare alle persone usando il loro linguaggio. Ma è un argomento che non regge. Prima di tutto occorre rammentare la sostanziale debolezza della scrittura, i suoi limiti. Proprio a causa della debolezza della scrittura, rispetto all’oralità, diventa evidente che occorre in chi scrive un’attenzione per la scelta delle parole.

Queste non devono essere utili a noi, ma al contrario rendere le esperienze (nostre, o dei personaggi) nel modo più onesto possibile. Non uniforme, o banale: onesto. Quindi rieccoci nel cuore di questo post: il lavoro che si deve svolgere sulle parole richiede la vera immaginazione, perché è necessario fornire al lettore una lingua personale, un tono riconoscibile.

E assieme a questo, una prosa corretta, efficace, distante dalla banalità che inquina la lingua di ogni giorno.


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