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Sull’addio di Ferruccio de Bortoli al Corsera: “I giornali deve sono essere scomodi e temuti”. Del parere di Sheldon Cooper e dell’incipit de “Il vecchio e il mare”.

Creato il 30 aprile 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
ErnestHemingwaydi Rina Brundu. “Con il tempo, cari lettori, ho imparato che i giornali devono essere scomodi e temuti per poter svolgere un’utile funzione civile” scrive oggi l’ormai ex direttore del Corsera Ferruccio de Bortoli nella sua lettera di saluto. Sentire parlare il direttore del Corsera di questi tempi di giornali che debbono essere “scomodi e temuti” é un poco come prestare orecchio al Matteo Renzi che “minaccia” (e pur lo ha fatto solo ieri) di “superare” qualcuno a “sinistra”: più facile che un camello passi attraverso la cruna di un ago, etc, etc…

Scrive poi il direttore (ripensandoci tolgo l’ex perché i “direttori” italiani sono come i sacerdoti e restano direttori a vita): “Il Corriere non è stato il portavoce di nessuno, tantomeno dei suoi troppi e litigiosi azionisti. Non ha fatto sconti al potere, nelle sue varie forme, nemmeno a quello giudiziario. Ha giudicato i governi sui fatti, senza amicizie, pregiudizi o secondi fini”. Direbbe Sheldon Cooper, il mitico fisico teorico fictional creato dalla fantasia di Chuck Lorre e Bill Prady – “I have paper that proves otherwise”, cioè “Ho carte che provano altrimenti”. Nello specifico basta anche solo sfogliare le pagine di questo stesso blog per rivedere “eternati” tutti i preziosi poster-lenzuolo (per la serie crepa d’invidia Kim Jong-il, supremo leader della Repubblica Democratica di Corea) con il quale, durante l’ultimo anno, l’ex prestigiosa testata (qui l’ex è d’obbligo) di Via Solferino ha sostenuto “militarmente” e in ginocchio l’avvento del renzismo.

Eppurtuttavia gli editoriali agiografici e i farewell strappa-anima-e-core già si sprecano sull’odierna Home del Corriere.it, a cominciare da quello del Severgnini di lotta (couch-potato). Come blogger che specialmente negli ultimi anni ha sempre seguito attentamente le attività del Corriere (é l’unico giornale italiano che leggo, ostinandomi a pensare che sia un patrimonio culturale da salvare), posso solo dire che Ferruccio de Bortoli si è sempre comportato da gentiluomo nelle sue apparizioni pubbliche, nello stile di quei gentiluomini che usavano una volta, mentre le sue maniere calme e pacate sono senz’altro un esempio per tanti suoi colleghi e per tutti noi. Ma questo è tutto. Da un punto di vista strettamente tecnico-giornalistico io credo infatti che questa separazione di strade tra il giornale e il suo direttore sia cosa buona è giusta. Per tanti versi indispensabile.

Verità purtroppo vuole che il Corriere di De Bortoli – vuoi per l’asservimento quasi totale all’Esecutivo politico di turno, vuoi per l’engagement sociale diventato deriva gossipara senza argine o contenimento (vedi l’odissea guardaroba di Kate Middleton o gli amori di Buffon), vuoi per una chiara mancanza di know-how nei troppi pezzulli di “riempimento”, vuoi per un editing della scrittura digitale che a volte fa a pugni con le minime regole grammaticali e di buon senso – si sia trasformato, nel tempo, nello spettro del grande giornale che fu di Montanelli, della Fallaci e di tanti altri ottimi giornalisti.

Concordo invece con il direttore quando dice che un grande giornale deve essere soprattutto scomodo e temuto, e quindi mi chiedo: perché non ha seguito quella retta via? Assicuro infatti che si contano a decine i blog di attualità molto più “scomodi” e “temuti” della testata da lui diretta. Ne deriva che augurando ogni bene alla Sua persona e al suo futuro di pensionato d’oro, se fossi stata una giornalista del Corriere il mio pezzullo d’addio sarebbe stato molto diverso da quello del pur nobile Servegnini e probabilmente si sarebbe risolto in un paragrafo che sarebbe stato un mero copia e incolla dall’immortale incipit di “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway: “Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne”.

Featured image, Ernest Hemingway working at his book For Whom the Bell Tolls at Sun Valley, Idaho in December 1939


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