Tasi: la Chiesa non la pagherà
Nuovo Governo, vecchie regole. Tasi, Tari e Imu. Sembra quasi una filastrocca invece è una minestra riscaldata quella che ci apprestiamo a bere. Di nuovo.
Con l’introduzione della IUC, ovvero dell’Imposta Unica Comunale, suddivisa nelle tre tasse (Tari, Tasi e Imu, per l’appunto) sembrava che con il neonato Governo Renzi si fosse raggiunta una decisione alla quale molti avranno guardato con un sospiroso “Finalmente!”.
Di cosa stiamo parlando? Degli immobili della Chiesa Cattolica dislocati sul suolo italiano.
Da sempre sotto attacchi più o meno pesanti, mediatici e non, la questione Imu sì-Imu no si era risolta in direzione di quest’ultima possibilità.
Gli immobili di proprietà della Chiesa non a fini commerciali non devono pagare l’Imu. Chiese e cattedrali incluse, ovviamente. Ma anche case parrocchiali, alloggi, stabili, insomma: tutto ciò che è proprietà ecclesiastica.
Erano nata un’accesa discussione sul tema, con tanto di pagine dissacranti sui social network.
Oggi la storia si ripete.
Il Governo aveva infatti deciso di far pagare la Tasi, la tassa sui servizi indivisibili, anche agli immobili ecclesiastici. La Tasi comprende ciò che viene fornito dai Comuni: illuminazione, pulizia delle strade e così via.
Ma così non sarà. La Tasi seguirà le stesse regole dell’Imu.
Pagheranno solo gli immobili a uso commerciale, o le loro porzioni adibite a tale scopo. Un appunto che però cozza contro la natura della tassa. Se per l’Imu un ragionamento del genere poteva filare, con la Tasi il discorso non c’entra. Non si sta parlando di valore commerciale, o di reddito che l’immobile viene a creare. Bensì di servizi forniti dal Comune che saranno erogati ugualmente e che sono, per l’appunto, indivisibili dall’esistenza dell’edificio.
Alla base della decisione, il voler rispettare i Patti Lateranensi del 1929. Nonostante una sentenza del Corte di Cassazione del 2012 che parla chiaro: l’Università Gregoriana deve pagare i rifiuti evasi. Come tutti gli altri.
La Congregazione di Propaganda Fide aveva risposto, proprio nel 2012, che solo a Roma “La Chiesa ha versato 1,95 milioni euro in Imu”.
L’Università Gregoriana è solo una dei 25 immobili esentati inizialmente dalla Tasi. Tra essi, anche il Palazzo di Propaganda fide, che affitta negozi e attività commerciali, o il palazzo del Vicariato, sede del centro del turismo religioso: l’Opera Romana Pellegrinaggi.
Il motivo? Sono ritenute come ambasciate di una potenza straniera.
Ah già: anche quelle non pagano le tasse. Non pagano, né le hanno mai pagate, moltissimi immobili oltre alla Chiesa. Scuole, ospedali, cliniche, fondazioni non a scopo di lucro, associazioni assistenziali, sedi di sindacati e partiti.
La motivazione dell’estensione sta tutta nel loro importante ruolo assistenziale e culturale, esattamente come i vitti e le mense ecclesiastiche per i poveri e gli emarginati, che mettono un cerotto (senza spese per lo Stato) dove il welfare fallisce.
Impossibile però capire la reale rendita catastale del Vaticano. Secondo L’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), esso ammonterebbe a soli 50 milioni di euro. Ma sono contati solo i valori storici nella città dove vengono lasciati immobili alla Chiesa tramite testamenti per quasi 10mila unità all’anno.
Il problema è quella enorme zona grigia di case, oratori e possedimenti trasformati in attività commerciali, palestre, ristoranti e alberghi, sui quali poco si sa. Come quando la Cassazione ha obbligato l’Alma Mater, la clinica delle Suore infermiere dell’Addolorata di La Spezia, a pagare 38.327 euro di Ici perché lavorava a fine di lucro con pazienti privati.