Pride, marzo 2012 – “Voce amica risponde pronto senza chiedere ‘chi parla?’”, “Telefono amico apre una breccia nell’indifferenza”, “Offriamo aiuto e ascolto a chi ha un problema”. Proviamo, giusto per risolvere qualche dilemma gay, a fare uno squillo?
Facciamo un respiro profondo e componiamo l’199284284, il Telefono amico Italia, una associazione che riunisce diversi gruppi di aiuto telefonico locale sotto un unico numero nazionale, offrendo un generico servizio di solidarietà via cornetta. La linea, attiva ogni giorno dalle 10 alle 24, sembra adatta a risolvere, stando a quanto asserisce il sito, anche le insormontabili difficoltà di un giovane gay che invariabilmente prova “solitudine, angoscia, tristezza, sconforto, rabbia”, “disagio emotivo”, o, più propriamente, “difficoltà legate alla sessualità”.
“Tu… tu-tu… tu… Pronto? Telefono amico”, risponde una voce maschile. “Buongiorno, ho bisogno di dire una cosa che non riesco a dire a nessuno… Posso parlare con voi? È anonimo?”, mi introduco un poco titubante. “Sì, senza nessun tipo di problema”, replica l’operatore. Rilancio, a bruciapelo: “Credo di essere omosessuale e non so che cosa fare”. Il volontario incassa, tace per un po’, mugugna, infine prende tempo: “Come.. come… mmm… co… come ha capito di questo… suo stato?”. Espongo allora, il più classico caso di velataggine giovanile gay in un crescendo di genuina difficoltà: “Ho 22 anni, nessuno sa di me, mi piacevano i miei compagni di classe. Ho cercato di andare con le donne… ma niente da fare. Ho paura, ma la cosa mi fa schifo e mi… attrae”. Evidentemente non dimentico che “non credo sia naturale” e un impeccabile “sono curabile?”.La voce amica tace, riflette un po’, elabora e poi prova a spiegarmi che “a 22 anni la conformazione sessuale (sic!) ha già [silenzio] diciamo, una [silenzio] situazione definitiva… dovrebbe chiedere l’aiuto di uno psicologo, oppure ci sono dei centri di psicoanalisi per vedere se sono cause legate, non so, a esperienze negative fra sessi diversi… oppure anche se è dovuta a una conformazione ormonale, ecco!”.
L’amico, convinto ormai della bontà delle teorie esposte invece di confessare candidamente di non essere in grado di offrirmi risposte sensate, insiste nel sostenermi: “Secondo me le conviene prima sondare se la natura di questo suo interesse è, diciamo, semplicemente psicologica. Si ricorda se ha avuto esperienze negative nei rapporti con l’altro sesso? Da quello che mi dice mi sembra sia un fatto ormonale… ci sono poi situazioni familiari con una prevalenza di educazione femminile… esser vissuti sempre con la mamma o con sorelle”. L’invito conclusivo di Telefono amico Italia a un giovane che esprime serie difficoltà ad accettare la propria omosessualità è per “un controllo del livello di testosterone per vedere se è un fatto naturale e per vedere se il suo organismo è portato a relazioni con lo stesso sesso che dovrebbe vivere appieno… tranquillamente… è sufficiente un centro Asl locale…”.
Piange il telefono, per lo psicoterapeuta Paolo Rigliano (autore insieme a Jimmy Ciliberto e Federico Ferrari, del libro fresco di stampa Curare i gay? per Raffaello Cortina editore) invitato a offrire un giudizio sulla chiacchierata: “Questa telefonata illustra bene la cultura media e cioè l’ignoranza reale a confrontarsi con le questioni che le persone gay pongono. Queste risposte sono esemplari soprattutto per i tanti luoghi comuni e frasi fatte che contengono. E per fortuna la conclusione della chiamata invita a vivere tranquillamente l’omosessualità… un atteggiamento molto “liberal”, ma lo dico in senso ironico”.
Ma, al di là dei contenuti imbarazzanti, e persino dannosi se esposti a un individuo che si trova in difficoltà, il servizio si aggiudica una misera nota di merito: è l’unico, dei molti numeri composti, che ha almeno risposto. Tutti gli altri servizi generici, peggio di qualunque centralino pubblico, farebbero desistere chiunque dal contattarli.
Ne abbiamo chiamati davvero tanti, ripetutamente, senza ricevere nessuna risposta e sopportando pazientemente repulsive musichette di attesa, infiniti segnali di libero o voci registrate come “il numero è inesistente o momentaneamente non disponibile”…
E sono tutti servizi, tra numeri disattivati e siti mai aggiornati, che, ammiccando al sofferente, tendono caritatevolmente la mano al finanziamento pubblico o privato, elemosinando il 5 per mille o sbandierando il proprio IBAN per eventuali donazioni. Comuni, province e regioni si mostrano in alcuni casi particolarmente munifici nell’“aiutare” le cornette “da conforto”, sovvenzionando corsi di formazione per i volontari o progetti per mantenere in vita linee forse indispensabili ma non sempre irreprensibili.
Comunque non ci perdiamo d’animo e scavando a lungo sul web incappiamo nel sito, persino troppo artigianale, del telefono amico Milano sud, lo 028240185, gestito dalle stanze della parrocchia di S. Ambrogio di Rozzano. A sorpresa, questa volta, rispondono. Mi spaccio per un trentenne investito improvvisamente, grazie a maschi e maschietti nudi nello spogliatoio della palestra, dal risvegliarsi dei desideri gay repressi in gioventù. Che orrore…
Mi accoglie una voce maschile dai modi spicci: “Questo a lei crea un grosso problema?”, rilancia. “Non voglio essere gay” spiego. “Sì, questo è un suo desiderio, però non c’è niente di male, non è una malattia…” “Ma perché, è una malattia?” “Assolutamente. Per quanto mi riguarda io non la considero una malattia”, ribatte. La telefonata, che inizia con buoni auspici, sfuma per problemi di connessione in un infinito “pronto?”, “pronto?”, “E pronto!”. Purtroppo non riesco a ricontattare lo stesso operatore.
Ci resta però il dubbio, rispetto a Telefono amico Italia, di essere incappati nella voce amica sbagliata. Richiamiamo allora l’199284284 per un ulteriore confronto. Impersonerò il padre arrabbiato di un 15 enne che ha appena fatto coming out: “Non so se parlarne con mia moglie”, “È malato”, “Cosa ho fatto di male?”…
Senza fare una piega replica un ragazzo gentile: “La concezione che l’omosessualità sia una malattia è superata, capisco il suo stato d’animo… non credo che ci sia stato da parte sua un errore nell’educazione”. La chiacchierata è ineccepibile: “Suo figlio le sta chiedendo vicinanza, sarebbe un male per lui sapere che poi… magari i genitori di fronte a questa notizia, come dire, tra virgolette, hanno ripudiato il figlio”. Telefono amico suggerisce, questa volta giustamente, di “fargli sentire che non mancherà il vostro sostegno” e lascia aperta qualche possibilità rasserenante al padre che ora fa la voce grossa (“insomma un figlio frocio… proprio no”): “Se il figlio è magari disposto a un percorso con uno psicologo – mi spiega il volontario – magari nella fase particolare della sua età potrebbe, magari avere queste tendenze che poi magari in futuro si rivelano non veritiere, diciamo, ma poi può anche non essere. Un colloquio con uno psicologo sicuramente, però vostro figlio deve essere d’accordo… Lui non ha una malattia ha un’attrazione in questo senso. Quindi non ditegli che è una malattia, ma parlatene ”.
Lo scambio è senza dubbio più corretto, ma il problema della non uniformità nelle risposte sull’omosessualità rimane: solo la fortuna può assistere l’eventuale gay che chieda aiuto a un telefono amico non specializzato sull’argomento. Il Telefono amico gay di Arcigay Milano, che ovviamente risponde in modo appropriato all’utente gay, si è messo a bussare anche alle porte delle altre linee per offrire la propria esperienza nell’accoglienza e nell’ascolto degli omosessuali. Federico Gasparri, coordinatore della linea, spiega: “Proprio sulle tematiche glbt organizziamo qualche lezione ai futuri volontari di altre linee, contattandole direttamente. Mi è capitato di avere di fronte persone di chiaro orientamento cattolico che non riescono ad affrontare serenamente il discorso, sino a dirti che “l’omosessualità è un vizio”. Devo dire che le linee amiche sono attente nella selezione di chi risponde e cercano di non accettare questi tipi di approcci che creano problemi su numerosi temi. Ma, di questi tempi, i telefoni hanno fame di volontari…”.
Per Gasparri, che ci conferma che gli omosessuali “soprattutto giovani” chiamano queste linee, l’imperativo di chi risponde è “accogliere, non offrire ricette, evitare il senso di colpa, richiami alla medicina. Se non si sa che dire si deve invitare l’utente a richiamare”. Quanto alle linee che proprio non rispondono mai ci conferma che è “calato il numero di volontari, alcune saranno scomparse, altre faticheranno a coprire i turni”.
Sul web infine, di questi tempi, è comparsa una importante novità nella solidarietà da ascolto: le chat amiche. Dopo le disavventure telefoniche non esitiamo a provarle collegandoci con amico.net, domenica sera dopo le 21, esattamente in orario per parlare. Il sistema chiede di inserire nome, e-mail e un messaggio. Compilo e nel messaggio scrivo: “Credo di essere omosessuale, esiste una cura?”. Il sito non si scompone, e apre una finestra che mi liquida con un bel “Grazie! Un operatore ti ricontatterà il più presto possibile” e aggiunge un “Si ricorda che chiudendo la finestra verrà interrotta la comunicazione con l’operatore”. Non chiudo la finestra, ma di “operatore”, “amico”, “volontario”, in questa stanza virtuale, non c’è nemmeno l’ombra. Proviamo allora la chat di punto giovane.net. Si apre e al mio “c’è qualcuno?” risponde, per mezz’ora una sconfortante eco virtuale. Anche qui nessuna voce amica… solo vane promesse di ascolto.
Il giorno dopo amico.net mi spedirà questa tardiva e-mail: “Caro amico, hai scritto solo una breve frase, ma che mi fa capire quanto ti angoscia la tua situazione. Forse se riuscissi a parlarne più ampiamente con chi non ti giudica, ma vuole solo raccogliere il tuo disagio e starti vicino, sarebbe un primo passo per guardare dentro di te e fare chiarezza su come affrontare questa situazione. Francamente non so se in te c’è qualche cosa da curare, ma probabilmente c’è l’esigenza di capire più a fondo te stesso. Se vuoi puoi telefonare, usare la chat o tornare a scrivere. Ti sono vicino, un amico”. Peccato che io abbia esattamente provato a usare la chat e che, se, invece che un giornalista rompiscatole fossi stato realmente disperato, potrebbe anche essere troppo tardi per telefonare, usare la chat o tornare a scrivere…