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«Un rutto: "Parmacotti". Campeggiava sulla prima pagina de il Fatto il giorno dopo la vittoria del grillino Pizzarotti. Io tornavo dalla Francia, dalla festa per Hollande. L'ho letto e ho detto basta».
Con questa dichiarazione al Corriere della sera, Luca Telese annuncia il suo divorzio dal Fatto quotidiano: fonda un nuovo giornale. Si chiamerà Pubblico. 20 pagine in edicola dal 18 settembre, a 1,50 euro («Il coraggio si paga, ma per questo chiediamo a tutti di abbonarsi»). Età media dei redattori: 35 anni. Lo seguirà una squadra di sette altri “frondisti” del Fatto, qualche nome proveniente da Unità e Liberazione, e poi ci saranno firme come Ritanna Armeni, Corrado Formigli, Mario Adinolfi, Marco Berlinguer e Carlo Freccero. Tra gli azionisti, Lorenzo Mieli e Fiorella Mannoia, oltre allo stesso Telese.
Perché gli faccio tutta questa pubblicità? Perché lo comprerò sicuramente (nonostante Ritanna Armeni). Lo comprerò perché da subito mi sembra che Telese si voglia porre come l’ ”antirutto”, cioè uno dei tanti che non ci sta alla retorica del “no” e lo dice chiaramente: “La mission di quel giornale si è esaurita. Non è passato dalla protesta alla proposta”.
Per quanto riguarda il “rutto”, mi trovo perfettamente d’accordo: lo stesso titolo (Parmacotti), non a caso se lo spartirono sia Il Fatto che Libero. Dovrebbe essere indicativo di come il giornale di Padellaro sia diventato ormai retorico e “ruttante” tanto quanto quelli rispetto ai quali si è sempre posto come alternativa. Il Fatto è inoltre diventato ormai l’"organo ufficiale" del Movimento 5 Stelle, e Padellaro, così come una redazione intera, sembrano ostaggi di Travaglio. Anche questo Telese tiene a rimarcare, ma forse in questo caso l’astio prende il posto dell’oggettività: “Diciamo che al Fatto eravamo divisi tra Bosnia-Erzegovina e Croazia. E che politicamente, a un certo punto, hanno preso il potere i croati. Così dopo il primo turno delle amministrative Beppe Grillo è diventato Gesù. Casaleggio un guru. Ma il povero Tavolazzi non lo si poteva intervistare... Troppo per me”. Ci ha provato, dice, a cambiare la linea “nichilista-gesuitica” di Travaglio, “giovane vecchio che vive nei miti della sua infanzia. Due culture diverse avrebbero potuto convivere. Ma con Marco non si parla. In una discussione ha due reazioni: se è arrabbiato gira il collo a 37 gradi da un lato, tace e gli si gonfia una vena. Se non è d'accordo sorride. Non è interessato al dibattito democratico”.
Sarà vero che al Fatto Casaleggio era diventato un guru? Su questo ho i miei dubbi. Che il grillismo fosse diventata la bandiera da sventolare era ormai palese, ma ho letto anche diversi articoli (almeno sul Fatto on-line) scettici nei confronti del manager di Grillo. Per quanto riguarda le invettive contro Travaglio è evidente che il contrasto esula dalle ultime derive grilliste della linea editoriale dell’ormai ex giornale di Telese: quando leggiamo “giovane vecchio che vive nei miti della sua infanzia” io penso subito a Montanelli. Devo però dire che anche in questo caso (così come per Grillo) non ho mai capito perché Marco Travaglio avesse certe venerazioni. Sappiamo bene che ci sono stati tanti Montanelli. Uno di questi era quello che diventò antiberlusconiano solo dopo che Berlusconi lo mise con le spalle al muro dicendogli “lei farà politica della mia politica”. Troppo tardi. Un altro Montanelli ad esempio è quello che quando morì il generale Dalla Chiesa e il di lui figlio Nando andava accusando la DC andreottiana del delitto, titolò: “ Il sasso lanciato dal figlio comunista di Dalla chiesa” (Nando Dalla Chiesa, Delitto Imperfetto, Mondadori, 1987, pag. 173). Neanche Feltri avrebbe saputo fare di peggio.
Ma veniamo al presente. Come sarà questo Pubblico di Telese? Sentiamo lui stesso: “Costruito sul modello di un garage della Silicon Valley. Voce ai giovani contro la casta dei 60enni. Cambiare l'agenda di sinistra”.
Auguri.
Comunque se anche quello di Telese dovesse rivelarsi uno dei possibili “organi anticasta” o “pro-rottamazione”, la novità rispetto al suo ex giornale sarebbe che da settembre avremmo la stereofonia: Pubblico e Il Fatto. Speriamo di no, perché ci bastava già la stereofonia cacofonica dei loro opposti: Libero e Il Giornale.
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