Ci ripensava adesso mentre il paesaggio cambiava man mano che risaliva la penisola. Da quella pianura brulla da cui era partita adesso si ritrovava a costeggiare il mare che aveva perso quella costante di azzurro, verde, blu che lo aveva accompagnato per tutta l’estate per fare posto – in quel mattino di fine autunno – ad un grigio acciaio che si confondeva con la linea dell’orizzonte. “Secondo me il mare è sempre bello da guardare, non solo l’estate quando ci fa sognare notti romantiche”. Quella frase l’aveva colta di sorpresa. La ragazza dal volto pallido e gli occhi neri che fino ad allora aveva tenuto lo sguardo incollato al libro l’aveva distolta dai suoi pensieri. “Mi scusi – continuò – l’avevo vista così assorta a guardare le onde. Oggi è così agitato, sembra quasi che voglia esplodere. Forse anche lui non ne può più”. Lo aveva detto quasi con rassegnazione come se quegli occhi così giovani avessero visto già troppo. “Ha ragione – dissi – il mare è sempre bello da guardare anche d’inverno quando è grigio e le onde si infrangono sulla spiaggia”. E oggi era così: grigio e cupo, agitato, come i pensieri che le si affollavano nella mente. Affrontava questo viaggio con la stessa ansia del primo giorno di scuola, del primo appuntamento, del primo bacio. Per un attimo le parve di averlo accanto come nella notte dei fuochi d’artificio in spiaggia, si erano guardati solo per una manciata di secondi ed era stato come se intorno non vi fosse nient’altro. Solo loro due, occhi negli occhi per riconoscersi in un’anima sola, in quelle risate complici, in quello sguardo su un mondo nuovo, il resto era stato soltanto l’anticamera di questo viaggio. Adesso, però, non voleva star troppo a pensare ai momenti passati o che stavano per arrivare, guardava ancora fuori dal finestrino e come in un album di foto, il paesaggio era cambiato ancora. La pianura si perdeva a vista d’occhio e quasi si aspettava che da un momento all’altro il paesaggio fosse avvolto dalla nebbia e potesse sciogliersi come in una dissolvenza. “Conto i giorni che ci separano e mi sembrano infiniti, contro i minuti delle nostre telefonate e mi sembrano volati via in un secondo. L’unica cosa che questo tempo mi concede è poter pensare a te”, le aveva scritto qualche giorno prima e adesso il tempo dell’attesa era finito. Si vedevano le montagne, erano già cadute le prime nevi, il viaggio era al termine. Quando aveva chiesto al tassista di lasciarla un paio di chilometri prima della sua destinazione, le era sembrato di leggere in quegli occhi muti una sorta di intuizione felice, come chi alla domanda conosce già la risposta e pregusta il momento di svelarla. Imbruniva e sentiva solo il rumore dei suoi passi mentre i primi lampioni iniziavano a far luce. Tanti piccoli puntini luminosi sulla montagna, i suoi fuochi d’artificio. Il viaggio era concluso.
Lucia la Gatta