Due termini, tra gli altri, concorrono nel determinare l’eccellenza in un tè verde giapponese: tezumi e temomi.
“Tezumi” sta per raccolto a mano, dunque un tè le cui foglie abbiano beneficiato di una attenta selezione qualitativa affidata ad esperienza e sensibilità umane, in contrapposizione all’indiscriminato automatismo delle macchine (si tenga a mente che il Giappone è il paese produttore di tè più ampiamente e risolutamente meccanizzato).
Poi, però, nella stragrande maggioranza dei casi – inclusi i gradi più pregiati, i cosiddetti “competition grades” – l’uomo a questo punto si fa definitivamente da parte, lasciando il resto della complessa e delicata lavorazione agli appositi macchinari.
Stampa antica (1890 circa) su carta salata, successivamente colorata a mano, da un’immagine scattata da fotografo ignoto. Tratta dall’album di Okinawa Soba (licenza)
Eppure c’è un passo successivo, affascinante quanto anacronistico, che affonda nella tradizione e che ancora persiste e osa, anche se sempre più raramente: la lavorazione completa a mano, indicata dal termine “Temomi“: non solo raccolta, quindi, ma anche impastatura/rollatura manuale: il massimo dell’eccellenza e della ricercatezza!
Lascio che siano le immagini a parlare, a spiegare con impeccabile eloquenza la differenza che corre tra un verde giapponese lavorato a macchina – per quanto finemente – come quelli a cui siamo abituati e un temomicha. Ecco alcune foglie di un Sencha Temomi lavorate a mano da un allievo del noto tea master Yoshiaki Hiruma (una celebrità nel campo del temomicha – nel quale è conosciuto soprattutto col nome Gokuchajin – e vincitore di numerosi premi), prima e dopo l’infusione, tratte dal blog Poetry in Tea (thank you Michal! :-)
Personalmente non ho mai avuto la fortuna di imbattermi in foglie così meravigliosamente formate: lunghe, intere (ammetto di non averle mai viste prima in un verde giapponese!), brillanti e dai contorni nitidissimi: da rimanere a bocca aperta.
Ma le conseguenze dell’impastatura manuale non si fermano certo alle apparenze: questo procedimento, infatti, non serve solo a modellare più finemente le foglie di tè; lo scopo principale è quello di riuscire ad estrarne il miglior aroma possibile: è la raffinatezza di gusto, dunque, il decisivo spartiacque tra un tè temomi (purché ovviamente nato da mani sufficientemente esperte) e uno la cui lavorazione sia stata affidata alle macchine. Un gusto che, osservando quelle foglie, io non posso far a meno di immaginare prossimo alla perfezione :-)
Vedere questo tè e desiderarlo in tazza per assaggiarlo almeno una volta è stato tutt’uno, ovviamente, e credo che ormai alcuni di voi l’abbiano intuita, la testardaggine un po’ bizzosa che mi caratterizza quanto mi nasce la voglia di un nuovo tè, per quanto di difficile reperibilità possa essere: inizio a pestare metaforicamente i piedi – be’, sì, quasi sempre metaforicamente… ;-)) – fino a che non riesco a farlo mio… e stavolta non fa eccezione. I temomicha di Mr. Hiruma – ma diciamo pure i temomicha tout court, per quanto ne so – arrivano in Europa grazie a Martin Spimr (santo subito!!!), titolare di Teamountain, rivenditore online con base nella Repubblica ceca e nient’affatto “internazionalizzato”: testi e descrizioni esclusivamente in ceco, prezzi in corone e nessuna prassi consolidata per quanto riguarda eventuali ordini provenienti dal resto d’Europa. Ma ci vuol altro per scoraggiarmi! Ed ecco che, armata di santa pazienza, Google Translate, convertitori di valuta e del mio fantasioso inglese da battaglia, sono riuscita a stabilire un contatto che lascia ben sperare. Vi terrò aggiornati sull’impresa! (suona un po’ come una minaccia, nevvero? ;-)
L’arte dell’impastatura manuale consiste in una sorta di cerimoniale che dura ore, e come ogni cerimonia cova in sé una sacralità che implica un rispetto ed una cura tutte particolari: un ossequio che si concretizza, per esempio, nel bisogno di indossare un’apposita veste pulita e candida al momento di mettersi all’opera.
Lenta, lunga e complessa, l’impastatura a mano è quasi una danza tra uomo e foglie, con i suoi movimenti codificati scanditi da tempi precisi, con quell’unione di forza e armonia che trae il suo fascino da secoli di tradizione e di saperi tramandati di generazione in generazione, di mano in mano: tanto che i tea masters più esperti in quest’arte sono considerati in Giappone alla stregua di “tesori culturali intangibili” (con tanto di attestato rilasciato dal governo! :-).
A chi fosse interessato, oltre alla lettura diretta del post di Michal da cui ho tratto ispirazione (e non mancate di esplorare il resto del blog se siete appassionati di tè giapponesi!), consiglio di dare un’occhiata anche a questo post (in francese) apparso sul blog “Teamasters” e a quest’altro (in inglese) su “Me and my tea”.
Non prima però di aver visto questo imperdibile video tratto da una trasmissione della tv giapponese: è così chiaro e completo che avrei potuto benissimo postare solo lui, risparmiandovi tutte le mie chiacchiere! Però ve lo illustro lo stesso, pedissequamente, a beneficio dei più masochisti tra voi e a tutto vantaggio della mia logorrea galoppante ;-)
Ci troviamo nella prefettura di Shizouka, una delle regioni più stimate per quanto riguarda la produzione di tè in Giappone. Il tea master è Mr. Yukio Kondo, nominato “tesoro culturale intangibile” grazie alla sua abilità nell’arte dell’impastatura manuale del tè.
Quando Mr. Kondo mostra la piantagione all’intervistatore si nota che la parte superiore di essa è più “disordinata”, nel senso che i cespugli non presentano la tipica forma a botte cui siamo abituati; tale forma perfetta e ripetuta di filare in filare, che tanto ci affascina con la sua pulizia, è com’è facile intuire dovuta al passaggio delle macchine raccoglitrici delle foglie, che “potano” i cespugli tutti alla stessa altezza, conferendogli quella forma stondata.
La parte superiore della piantagione, dunque, lungi dall’essere trascurata, è invece la più preziosa, consacrata com’è ad una raccolta esclusivamente manuale (tezumi), punto di partenza imprescindibile alla nascita di ogni tè temomi (che debba cioè andare incontro, come abbiamo già detto, ad una lavorazione totalmente manuale). Inoltre, mentre normalmente le foglioline raccolte sono quattro, nel caso dei temomicha ci si limita alle prime due, in assoluto le più tenere.
Le foglie, subito dopo la raccolta, vengono sottoposte al vapore per una ventina di secondi (passaggio necessario ad interrompere immediatamente il processo di ossidazione e a fissarne l’aroma), com’è consuetudine nella lavorazione del tè in Giappone; una volta raffreddate, sono trasferite su un apposito tavolo (chiamato hoiro) riscaldato ad una temperatura di circa 40° e rivestito di carta washi *.
Ed ecco che inizia l’impastatura/rollatura vera e propria: nella prima fase le foglie vengono agitate in aria per circa un’ora in modo da agevolare una prima evaporazione dell’umidità; nella seconda fase si tratta invece di “spremerla via” letteralmente dalle foglie, attraverso un movimento di energica impastatura che richiede un discreto sforzo fisico. Seguono poi altri passaggi, volti a trarre e sviluppare il miglior aroma possibile, che vedono le foglie variamente agitate, rollate, sparse sulla superficie del tavolo e nuovamente radunate… L’intero procedimento dura in tutto circa 4 ore, durante le quali ogni misurazione – temperatura, aroma, consistenza, etc. – è affidata esclusivamente alla sensibilità dei palmi delle mani del tea master.
L’ultima fase consiste nello sfregare le foglie le une contro le altre, per affinarne la forma e dar loro lucentezza; fino alla divisione finale della massa, che rivela un meraviglioso incastro di sottili aghetti verdi: il tè è pronto! (e io resto incantata).
Interessante anche il metodo di conservazione adottato per le foglie di temomicha una volta terminata l’impastatura: in un sacchettino di carta washi, a sua volta inserito in una giara e attorniato da altre foglie di tè in frantumi, che presumo lo terranno perfettamente al riparo da umidità e odori indesiderati, preservando al meglio freschezza e aroma e assorbendo ogni urto.
Particolarmente significative anche le scene finali, una volta rientrati nello studio televisivo: pare un orripilante ibrido tra “La prova del cuoco” e “Mattina in famiglia”, in salsa giapponese! Argh! ;-D