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Test di Rorschach: tra percetto e proiezione. 1° parte

Da Psychomer
by Chiara Polizzi on ottobre 10, 2012

La fase del trattamento definita “psicodiagnosi” non può che essere considerata come un tassello essenziale per il progresso ed il decorso terapico: il soggetto porta con sé vissuti, contenuti, emotività e, a volte, devianza, tutti elementi che non emergono facilmente senza che vi sia alleanza, o senza che avvenga elicitazione esplicita. Alcuni aspetti intrapsichici non possono tuttavia venire espressi “a comando”: per potersi palesare e per poter affiorare con spontaneità è utile che questi vengano adeguatamente sollecitati, mediante l’utilizzo di particolari tipologie di reattivi definiti come “test proiettivi”: essi sono così chiamati in quanto, a causa della sostanziale scarsa strutturazione degli stimoli che li compongono, portano l’individuo a “proiettare” e a rivelare una parte della sua personalità, riflettendo quindi l’incontro tra il percetto e le proprie dinamiche interiori, in quanto lo stimolo con cui ci si confronta è inusuale e la risposta è organizzata mediante l’integrazione tra esso e l’esperienza (Exner, 2000).

Uno dei test più famosi e noti per tale scopo è quello delle Macchie di Rorschach: esso si compone essenzialmente di 10 tavole, su cui è riportata una macchia d’inchiostro simmetrica; 5 sono monocromatiche, 2 bicolori e 3 colorate. Le tavole vengono sottoposte all’attenzione del soggetto una alla volta e, per ciascuna e senza limiti di tempo imposto, gli viene chiesto di esprimere tutto ciò cui, secondo lui, la tavola somiglia. I pazienti con difficoltà di simbolizzazione, ad esempio, vedono semplicemente macchie, nonostante le elicitazioni date dalla consegna (autori diversi hanno modalità di presentazione differenti del test, alcuni concentrandosi sulle componenti percettive –Che cosa vede?-, altri su quelle proiettive –A cosa le fanno pensare?-).

Gli elementi di interesse per l’indagine clinica del test di Rorschach sono di vario genere: tra questi, ad esempio, si ricordano alcuni aspetti “cognitivo – intellettuali”, cui la capacità ed efficienza intellettuale (rendimento durante il test, produzione, ecc), il tipo di comprensione (coerenza, pensieri bizzarri, creatività), il potere di osservazione, l’originalità di pensiero (produzione di risposte originali, non solo popolari), la produttività (numero di risposte) e l’ampiezza di interessi (che si riflettono nelle tavole).

Ancora, è utile non tralasciare i contenuti “affettivo – emotivi” (tonalità emotiva generale, sentimento di sé, reazione agli stress emotivi, controllo degli impulsi, “shock al rosso”, e così via), oppure dati riguardanti il “funzionamento e la tenuta dell’Io”, come zone conflittuali, forza dell’Io, difese (Klopfer, 1956).

Tutte le tavole del test si basano, come detto, sulla simmetria, immediatamente percepibile nelle macchie (esse evocano la simbolizzazione del corpo, come prima rappresentazione del Sé). Si ha quindi una prima suddivisione in “tavole unitarie” (I, IV, V ,VI e VIII) con struttura massiccia e compatta, “tavole bilaterali”, composte da 2 corpi analoghi, e “tavole ambigue” (IX e X). Esse possono poi essere “aperte” o “chiuse”, in relazione alla quantità di bianco o di colore che è presente; di solito, le tavole aperte rimandano a un immaginario simbolico legato al femminile, le chiuse a immagini maschili; ciò dà informazioni circa la capacità di identificarsi con le caratterizzazioni sessuali, con la femminilità e la mascolinità.

I colori utilizzati hanno una carica altrettanto significativa: il nero, ad esempio, rimanda a vissuti depressivi – malinconici e persecutori (lutti, perdite, ecc); il bianco al vuoto e alla carenza, mentre il rosso ricorda la pulsionalità. Le tinte pastello sono indicative delle relazioni con il mondo esterno, con l’ambiente di vita, mentre il chiaro – scuro evoca vissuti regressivi connessi al contatto primario (Aliprandi, Rosso, 2008).

Sinteticamente, è possibile descrivere le principali caratteristiche delle tavole, ritenendo ognuna di esse specifica e determinata da elementi distintivi: la I tavola, ad esempio, dà l’idea della tenuta del soggetto davanti a un compito nuovo, inusuale, considerando anche l’eventuale fatica ad accedere all’area transizionale. Per alcuni, questa tavola dà un’auto – rappresentazione del soggetto (è compatta e chiusa, con predominanza di nero); la risposta popolare (più frequente e immediata) è data da “pipistrello o farfalla”. La tavola sollecita inoltre un livello primitivo di angoscia, in quanto è totalmente nera: si considera come si elabora questo vissuto, riuscendo ad essere percettivamente efficace e a mantenere una buona tenuta psichica. Da un punto di vista simbolico, contiene sia elementi sessuali maschili, che femminili.

Continua…


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