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Thatcher, la Lady di Ferro

Creato il 09 aprile 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

Thatcher

Adesso che se n’è andata è scattata la solita, ridicola gara a chi la conosceva meglio: mai tanti esperti della vecchia Maggie come in queste ore. Non è perciò un’analisi sul suo operato – fra serie e partigiane, in giro, ne circolano già a sufficienza – quella che qui ci interessa, bensì, per quanto possibile, un ritratto personale di Margaret Thatcher (1925 – 2013), al di logiche partitiche e recinti ideologici. Perché la domanda interessante, in fondo, rimane una: chi era davvero, politica a parte, la famigerata Lady di Ferro? Il quesito, ce ne rendiamo conto, ha un che di paradossale se si considera il legame fra l’identità di questa donna e ciò che è stata in politica: apparentemente un tutt’uno. Eppure qualcosa, su di lei, forse è comunque possibile dirlo separandolo dalla sua carriera istituzionale.

Di più: è proprio la sua carriera ad essere pienamente comprensibile solo a partire dal suo vissuto personale. Un’esperienza, quella della futura inquilina di Downing Street – la prima donna ad entrarci da Primo Ministro -, che fu segnata dal grande fascino che lei provava nei confronti di tale Alfred Roberts: suo padre. Un uomo, diremmo oggi, che “si è fatto da solo”, e che quando Margaret visse i primi anni della giovinezza migliorò le proprie condizioni economiche (era figlio d’un calzolaio) fino a divenire proprietario di due negozi di alimentari per un totale di cinque dipendenti a Grantham, nel Lincolnshire. Precisamente la Lady di Ferro nacque sopra il secondo negozio, quello di North Parade, comprato due anni prima. Perfino il suo luogo di nascita rappresentava dunque, per la sua famiglia, il simbolo di un sudato progresso economico.

La stessa Thatcher ricordava con estrema chiarezza quel periodo, che la vide crescere a fianco di genitori perennemente al lavoro: «Vivere “casa e bottega” è qualcosa di più di un semplice modo di dire: si è sempre la lavoro […] Sapevano tutti che vivevamo per servire il cliente: era inutile lamentarsi e nessuno lo faceva […] Di chiudere il negozio e andare tutta la famiglia in vacanza per lunghi periodi, inutile dirlo, non se ne parlava neppure […] quel senso del dovere mi è tornato molto utile» [1]. Fu dunque in quel clima di grande laboriosità amalgamato al fervore religioso metodista  che si formò il futuro Primo Ministro inglese. Un clima che contribuì in modo decisivo ad orientarla al contempo verso il pragmatismo e verso la determinazione.

La laurea, il matrimonio con Denis Thatcher, i figli e la carriera politica non sono infatti che dirette conseguenze di quegli anni. Anni che, dicevamo, gettarono le basi affinché la «figlia del droghiere», come l’apostrofò con poca eleganza il Principe Filippo, potesse divenire la donna potente che sappiamo. Una donna che, memore di quell’infanzia passata nel retrobottega di famiglia, vide essa stessa sovrapporsi vita privata e politica. Nel poderoso volume – quasi 800 pagine – che scrisse per ricordare gli anni in cui fu Primo Ministro, annotava infatti come il n. 10 di Downing Street per lei fosse: «più di un ufficio. E’ concepito – aggiunse – per essere la casa, il focolare domestico del primo ministro […] Come eravamo soliti dire fin dai tempi della mia adolescenza a Grantham, mi piaceva “vivere in bottega” […] L’appartamento n. 10 divenne ben presto per me un rifugio dal resto del mondo» [2]. Vita e lavoro come tutt’uno, dunque.

Senza voler dare giudizi di ordine politico – esercizio che, come dicevamo in apertura, lasciamo volentieri ad altri –, si deve comunque riconoscere che la Lady di Ferro bene o male fece del proprio impegno politico una ragione di vita. Arrivando perfino ad infischiarsene, parole sue, della ricerca del consenso: «Per me seguire il consenso significa abbandonare tutte le convinzioni, i principi, i valori e le politiche per cercare qualcosa in cui nessuno crede…Per quale grande causa si sarebbe mai combattuto, e vinto, sotto la bandiera del consenso?» [3]. Questa professionalità ferrea nell’indifferenza di quel consenso che pure, negli anni, riuscì ad avere – e più volte – fra i suoi concittadini, unitamente alla correlata determinazione, non le risparmieranno, a detta di alcuni, la diretta responsabilità di aver portato alla crisi il partito conservatore da cui proveniva [4]. Ma queste, insistiamo, sono valutazioni che ci interessano fino ad un certo punto.

A noi interessa di più tratteggiare la personalità di questa donna dal carattere forte. Una donna che quando, da Primo Ministro, venne presa a male parole da un altro premier – Pierre Trudeau (1919-2000), Primo Ministro canadese – rimase calma al punto che il Presidente Ronald Reagan (1911-2004), presente al rimprovero, non si trattenne dall’interrogarla della sua indifferenza alle forti critiche ricevute. E lei, fredda e sicura, rispose così: «Una donna deve sapere quando un uomo si sta semplicemente comportando in modo infantile». Una manciata di parole che confermano e giustificano pienamente il soprannome di Lady di Ferro. Soprannome che, al di là di scelte politiche spesso impopolari, lei non fece nulla per togliersi di dosso; anzi, col suo atteggiamento sempre fermo seppe farsi detestare da più organizzazioni, comprese quelle gay che, nel suo terzo mandato (1987-1990), la presero di mira per un articolo del Local Government Act, definito “clause 28”, che proibiva la promozione dell’omosessualità negli enti locali e nelle scuole.

La cosa singolare è che, di fronte a critiche anche feroci e potenti, Margaret Thatcher, lo abbiamo visto, non si scomponeva mai. Persino quando la informarono che il potente Club Bilderberg guardava a lei con forti criticità, lei rimase sulla sua linea ribattendo così: «Essere messa sotto a accusa dal Bilderberg è un grande onore» [5]. Per non parlare del fronte femminista. La Lady di Ferro, nel corso della sua lunga carriera politica, «si è opposta nettamente alle femministe è si è sempre rifiutata di prendere in considerazione i problemi da esse sollevati» [6]. Questo tuttavia non le impedì di valorizzare e rafforzare la presenza femminile in politica, come quando, per esempio, scelte di portare per la prima una donna indiana, Shreela Flather, alla Camera dei Lord [7]. Difficile quindi accusare la Thatcher di non aver dimostrato, col suo esempio, quanta carica e sicurezza una donna possa portare all’interno delle istituzioni.

Sicurezza che metteva soggezione agli stessi colleghi maschi. Basti qui ricordare il caso di François Mitterrand (1916-1996), Presidente francese negli anni ’80, che dichiarò pubblicamente una vera ossessione per il Primo Ministro britannico, al punto di parlarne anche con il proprio psicanalista, in quanto la Thatcher gli incuteva timore quando dovevano discutere.[8]. Eppure la signora piacque a più di qualche intellettuale ed alto militante del suo partito, anche se lei non considerava utile, anzi deplorava l’eccessiva ricerca di femminilità al pari delle superflue dimostrazioni di forza: «Essere potenti è come essere una donna. Se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei», disse una volta questo Primo Ministro dalle grandi capacità intuitive. Basti dire che previde, con decenni di anticipo, la correlazione fra i guai dei Paesi d’’Europa ed il protagonismo della Germania: «La potenza tedesca è un problema: per i tedeschi quanto per il resto d’Europa. La Germania è troppo grande per essere niente più che uno dei partecipanti alla partita europea, ma non abbastanza per imporre un’incontestata supremazia sui suoi vicini» [9].

Non sarà stata simpatica né ha mai cercato di esserlo, Margaret Thatcher. Tuttavia col suo esempio ha dato una grande lezione politica in merito, quanto meno, alla capacità di scegliere, di decidere – mesi fa il «Wall Street Journal», forse esagerando, ritenne la Lady di Ferro un termine di paragone adatto a definire il decisionismo di Mario Monti [10] – e di governare senza pensare solo al consenso. Doti, comunque la si pensi, che purtroppo oggi mancano a tanti, troppi uomini politici. Che pur essendo uomini, appunto, avrebbero molto da imparare dalla donna scomparsa ieri. Dalla sua biografia, dalla determinazione – immobile come la sua pettinatura – e dalla glaciale professionalità, cui derogò solamente quando, undici anni e mezzo dopo dal suo ingresso, lasciò  Downing Street: «Cercai di trattenere le lacrime, che però sgorgarono liberamente» [11]. Nulla di grave, Primo Ministro.

Note: [1] Thatcher M. Come sono arrivata a Downing Street, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1996, pp. 4-5; [2] Thatcher M. Gli anni di Downing Street, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1993, p. 16; [3] Thatcher M. cit in Maxwell J.C. Le 21 qualità indispensabili di un leader, Fazi, Roma 2009 p. 133; [4] Cfr. Gray J. La forza oscura, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2009, p. 107; [5] Thatcher M. cit in Ronson J. Loro: i padroni segreti del mondo, Fazi, Roma 2003, p. 93; [6] Goldman A., Le donne entrano in scena, Giunti, Firenze 1996; [7] Cfr. Una lady indiana alla Camera dei Lord, «La Repubblica», 6/4/1990, p. 19; [8] Cfr. Nava M. Mitterrand sul lettino: la Thatcher, un incubo. «Corriere della Sera», 21/11/2005, p. 14; [9] Thatcher M. Come sono arrivata a Downing Street, p. 462; [10] Cfr. Vespa B. Il palazzo e la piazza. Crisi, consenso e protesta da Mussolini a Beppe Grillo, Mondadori, Milano 2012, p. 216;  Thatcher M. Gli anni di Downing Street, p. 729.


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